Quel giorno in cui illuminasti Palermo…

110326

Palermo è casa mia.

Ci sono nata trentasei primavere fa e l’ho vissuta appieno per cinque anni.

Ma ancor prima che l’università prospettasse l’irrinunciabile esigenza di abitare in città, da bambina mi recavo quasi tutte le Domeniche proprio nel capoluogo siciliano.

E mi spostavo in compagnia di mio padre, accomodandomi felicemente sul sedile posteriore delle sua vecchia BMW.

Andavamo a scegliere gli abiti che avrebbe venduto successivamente in negozio e sapevo alla perfezione che lui non avrebbe mai affrontato il viaggio senza di me.

Si trattava di una sorta di buffo e singolare rituale scaramantico che aveva cominciato da qualche tempo ad insinuarsi stabilmente nella nostra vita, per l’esattezza  da quando il signor Sirchia, noto grossista palermitano, si era permesso di suggerire a mio padre che portare con sé “li figghi fimmini” ad operare le scelte sui vestiti avrebbe comportato un automatico incremento degli affari:

” La picciridda avi gusti boni. Portatilla, e ti fazzu abbiriri chi vinni chiossai!”…

E come si suol dire, e non solo dalle mie parti, “per non sapere né leggere né scrivere”, mio padre acconsentì di buon grado a farsi accompagnare settimanalmente da me.

In fondo non gli costava nulla!

E poi, è sempre un po’ così nelle cose: ” Non è vero ma ci credo”.

E su quella macchina di colore azzurro chiaro che percorreva puntualmente l’autostrada A 29, noi due avevamo un’altra ottima compagna di viaggio, irrinunciabile, necessaria ed immancabilmente presente: una assortitissima musicassetta di Giuni Russo.

Cantavamo a squarciagola!

Ricordo che il mio brano favorito era “Alghero”, mentre lui prediligeva, senz’altro, “Un’estate al mare”.

La custodisco gelosamente all’interno di un cofanetto apposito, poiché rappresenta un importante concentrato di memorie, dalle quali la mente non ne vuol sapere di rifuggire.

Era il 2006, ultimo anno che mi vide risiedere a Palermo per motivi di studio.

Come di consueto stavo percorrendo un tratto molto frequentato di “Viale della libertà”, il solito che mi avrebbe consentito di raggiungere agevolmente la splendida “Piazza Politeama”. 

Era mia abitudine sostare per un po’ di tempo davanti il teatro.

Lo facevo come se fossi stata una giovane turista, rapita ed ammaliata da cotanto splendore.

E invece, quell’atto contemplativo che destava persino la curiosità di qualche passante “indigeno”, rappresentava null’altro che il mio anello di congiunzione tra gli innumerevoli ricordi di infanzia ed una realtà corrente che mi faceva sentire fortunata.

” Avevano allestito tutto lì in fondo, lo sai? Si chiamava” Palchetto della musica”. Lì, proprio lì, guarda bene! Vicino l’entrata del teatro. E tu credi che mio padre si sarebbe fatto sfuggire un’occasione simile? Giammai! Fece letteralmente il diavolo a quattro, affinché potessi avere la bella opportunità di esibirmi davanti a tutti. C’era davvero mezza Palermo, me lo ricordo come se fosse ieri. Eppure è trascorso tanto di quel tempo! Avrò avuto, ad occhio e croce, tredici o quattordici anni. Sì, credo proprio che fosse così. E che applausi fragorosi! Le mie orecchie erano state benevolmente imprigionate in un’assordante gabbia sonora.Tutti mi guardavano con entusiasmo ed ammirazione , ma a me importava solamente di un grande paio d’occhi scuri: quelli di mio padre. Temevo terribilmente il suo giudizio severo, più d’ogni altra cosa al mondo. Era un eccellente baritono, stimato ed amatissimo dai più. Quando scesi dal palco mi fece una carezza molto tenera sul viso e mi disse: ” brava Pinuzza, fusti veramente brava assai!” Tanta gente si avvicinava a lui garbatamente e gli chiedeva con rispetto e curiosità : ” Don Petru, ma sta picciridda so figghia è? Si fira a cantari bonu, com’ a vossia.”
Oh, perdonami cara ragazza, non so nemmeno se riesci a comprendere il siciliano. Mi capisci?”

Certo che capivo, e pure molto bene. Ma probabilmente , il mio sguardo smarrito nel vuoto per la troppa emozione, avrà insianuato in lei il sospetto che fossi un po’ tonta.

” Comprendo, carissima, comprendo perfettamente il siciliano. Non sono affatto una turista, sono della zona anch’io, proprio come te. Spero non ti dispiaccia se mi permetto di osare, dandoti del tu ma vedi, ho la sensazione di conoscerti da sempre. Palermo, ai miei occhi , appare come un’oasi di ricordi indelebili. Le immagini più belle della mia infanzia si sono ancorate saldamente a questi luoghi ed io non potrei mai estirpare le loro radici da qui , neppure se investissi nell’impresa tutte le forze che detengo. L’ autostrada di domenica mattina, l’odore degli scatoloni pieni di vestiti, questo teatro, “lu stigghiularu”…
E in sottofondo sempre tu, la tua musica, le tue canzoni, quelle della mia amatissima Giuni Russo”.

Ecco, c’ero riuscita.

Nonostante avessi la gola secca come una una pianta in balia della siccità, ce l’avevo fatta!

Ero stata nelle condizioni di parlarle con una certa disinvoltura.

Mi apparve proprio come esordiva sugli schermi: aria sbarazzina, sguardo molto arguto, sorriso affabile, fascino androgino.

” Certo che non mi dispiace se mi dai del tu, anzi, ne sono estremamente felice. Ho sempre ricercato affabilità e frizzante allegrezza, in tutte le persone che ho avuto la fortuna di incontrare. Sapere che mi hai apprezzata e che continui a farlo è una cosa che mi inorgoglisce parecchio . Essere amati è il sogno di ogni artista, non ti pare? Ed io lo sono stata, credimi, lo sono stata davvero ed incommensurabilmente. Non fu tanto la partecipazione al primo Sanremo nel 1968 né la mia altalenante presenza alle altre successive edizioni. Non fu l’incisione di una marea di dischi né la collaborazione con artisti straordinari e di grande talento, come quella con il mio pregiatissimo conterraneo “Franco Battiato”. Tutto questo ha contribuito a rendermi una famosa star. Ma il grande amore del mio calorosissimo pubblico…. Quello sì che mi ha arricchita umanamente! Non trascorreva una sola giornata senza che ricevessi ondate di lettere dal contenuto commovente, accompagnate da vere attestazioni di stima profondissima . La gente, se vuole, sa bene come coinvolgerti in sensazionali sogni ad occhi aperti. D’altro canto mi hanno restituito generosamente , con tanto di interessi, proprio quel sogno che hanno sempre asserito di aver vissuto nel corso dei tanti anni, grazie a quella musica assolutamente irrinunciabile, alla quale ho donato tutta me stessa. E nel 1969, anno in cui mi trasferii a Milano, avevo il timore che non sarei più stata me stessa. Palermo ti ruba interamente l’anima. Come avrei fatto senza il profumo della pasta di mandorle della frutta di Martorana, a novembre? Per fortuna, nella grande metropoli tanto temuta, ad attendermi c’era l’inaspettata felicità. Il suo nome? Maria Antonietta. Compagna insostituibile di note e di vita. Ci innamorammo così, come le madri che per la prima volta incrociano lo sguardo dei figli: intensamente, visceralmente. Oltre trentacinque anni di condivisione assoluta, improntata sull’instaurazione di un rapporto che conciliava alla perfezione il sentimento d’amore con la nostra adorata professione. È solo che la vita è un po’ così, ti dà e ti toglie in un lampo. Ed io, nonostante abbia vissuto ogni istante con estrema intensità, ho la sensazione di aver avuto davvero poco spazio per donare, per amare . Ma quali provvedimenti puoi assumere nei confronti del fato? Nessuno. Puoi solo prendere atto di un’ evidenza matrigna ed inclemente e rendere grazie a Dio per tutto quello che ti ha regalato incondizionatamente, seppur per non troppo tempo. Il più grande e disonesto dramma fu quello di dire addio a Maria Antonietta. Sapessi quanto ci proteggemmo! Il nostro legame simbiotico ci impediva di prendere le distanze l’una dall’altra anche per brevissimi periodi. Immagina quale fu la nostra sensazione al cospetto dell’idea d’eternita’. Quando nel 2003, a Sanremo, presentai il brano ” Morirò d’amore”, non credevo che sarei stata presa alla lettera”…

È chiaro che stava tentando disperatamente di sdrammatizzare ed accennò un amaro e scarno sorriso, intriso di visibile arrendevolezza ad una condizione di irreversibilità.

Io, dal mio canto, cercai di inserire una nota di positività nella conversazione.

E senza tentennamenti di sorta, accompagnata dal mio solito subbuglio emozionale, le rivelati sottovoce :

“sai cosa scrisse Maria Antonietta, sul tuo sito ufficiale, dopo che te ne andasti via? Si espresse così :

«Mi considero la più fortunata delle persone e con infinita gratitudine ringrazio il Signore per avermi fatto un dono tanto prezioso: l’aver condiviso con Giuni oltre 35 anni di vita e di arte.»

Giuni chinò il capo, lo scosse, lasciò serenamente che trapelassero evidenti segnali di commozione.

Poi seguito’:

“niente è per sempre e tanti eventi sono persino incredibilmente brevi. Lo insegnano i miei 53 anni di permanenza sulla terra. Ma, in verità, solo due cose rispondono veramente ai canoni del concetto di ” per sempre”: una di queste è il vero amore. Sì, il vero amore è per sempre. Va oltre gli aspetti tangibili della realtà, oltre la sfera sensibile, oltre quello che riesci a toccare, a vedere, a baciare. L’altra è la musica. Lo è di certo. La mia voce, per esempio, vivrà in eterno”

” Sai Giuni, mi sarebbe tanto piaciuto scrivere una canzone per te”

” E tu scrivila. Ti prometto che la canterò a Dio.”

Sono trascorsi quattordici anni dal nostro incontro spirituale e da allora, di carta e di fogli volanti, ne ho imbrattati in grandi quantità.

Ma quella canzone per lei non l’ho ancora scritta.

Probabilmente si presenterà l’occasione favorevole.

Per il momento mi piace ripercorrere tutto quello che accadde in maniera così surreale, lasciarmelo scivolare nostalgicamente a fianco, come se fosse il mare lucente che ammiravo lungo l’autostrada deserta, tutte le domeniche delle quali ho memoria , al risveglio del primo sole autunnale.

Poiché è impossibile, mia cara Giuni, che io dimentichi quel giorno in cui illuminasti Palermo.

Maria Cristina Adragna 

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Maria Cristina Adragna
Siciliana, nasco a Palermo e risiedo ad Alcamo. Nel 2002 conseguo la Maturità Classica e nel 2007 mi laureo in Psicologia presso l'Università di Palermo. Lavoro per diverso tempo presso centri per minori a rischio in qualità di componente dell'equipe psicopedagogica e sperimento l'insegnamento presso istituti di formazione per operatori di comunità. Da sempre mi dedico alla scrittura, imprescindibile esigenza di tutta una vita. Nel 2018 pubblico la mia prima raccolta di liriche dal titolo "Aliti inversi" e nel 2019 offro un contributo all'interno del volume "Donna sacra di Sicilia", con una poesia dal titolo "La Baronessa di Carini" e un articolo, scritti interamente in lingua siciliana. Amo anche la recitazione. Mi piace definire la poesia come "summa imprescindibile ed inscindibile di vissuti significativi e di emozioni graffianti, scaturente da un processo di attenta ricerca e di introspezione". Sono Socia di Accademia Edizioni ed Eventi e Blogger di SCREPmagazine.

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