Confesso che non sapevo cosa scrivere.
Ormai da giorni non si fa altro che parlare di questo virus che sta impestando il Mondo con tutti che corrono appresso ai numeri, alla autoironia, alle inutili beghe politiche, al “già si sapeva”, al complotto, … e chi ne ha più ne metta… ci manca solo l’attacco terroristico del solito ISIS.
Poi ci sono quelli che si affacciano al balcone per cantare oppure, come ho avuto modo di fare esperienza diretta, per gridare “non ce la faccio piuuuùùù” in un cortile di quelli interni, palazzoni popolari, dove ogni sospiro diventa un tuono, figuriamoci un urlo!
Non voglio parlare del virus.
Troppo il dolore per chi perde un caro senza nemmeno poterlo confortare o solo salutarsi con gli occhi, troppo rispetto e ammirazione per chi è in prima linea negli ospedali, troppo il nervoso per quelli che ancora escono per ogni inezia.
La risposta a tutto è una sola: “Passerà? Sì certo!”…
Cosa questo virus ci lascerà?
Una immensa scia di dolore con la quale faremo i conti negli anni a venire.
Ma non voglio parlare di virus.
Voglio riflettere con voi “a briglia sciolta” su quello che stiamo imparando, almeno si spera.
Intanto ho aperto la finestra e devo dire che in questo pomeriggio romano l’aria è finalmente “definibile come tale”: aria. Si sente l’aria, l’ossigeno, si “gusta” nel naso. Cosa vuol dire? Beh che forse usiamo troppo l’auto, ci muoviamo troppo per ogni cosa e questo provoca inquinamento, puzza polvere.
Già, la polvere.
Vivere a Roma vuol dire passare l’aspirapolvere un giorno sì e un giorno no. Se stai più tempo fra una passaggio e l’altro, la casa si riempie di “festosi batuffoli grigiolini” che al tuo passare rimbalzano seguendoti impertinenti.
Di questi tempi la polvere per casa è misteriosamente svanita o per lo meno, ridotta a livelli umani e accettabili.
Ripeto che non voglio parlare del virus né tantomeno ringraziarlo perché, appunto grazie a lui, si sono ridotti polvere e inquinamento.
Ma questo è: forse quando sarà passata questa brutta pandemia dovremo usare meno ma molto meno le auto.
Poi ancora la tecnologia.
Sono stupito di come si parli di “roba all’avanguardia” per tutte quelle soluzioni finalizzate ad erogare formazione a distanza, a qualsiasi livello.
Doveva già essere tutto pronto, collaudato e infrastrutturato… altro che “prof” con la lavagna attaccata col nastro adesivo all’armadio…
Di certo “in condizioni normali” è fortemente auspicabile che gli studenti siano fisicamente presenti alle lezioni ma se, sempre in condizioni normali, uno studente non potesse recarsi in aula per causa di forza maggiore, perché deve perdere quella lezione?
Ma questo è: forse quando sarà passata questa brutta pandemia dovremo attivare le reti ottiche soprattutto per applicazioni “serie” tipo teleformazione, telemedicina, telelavoro,… .
E ancora la Sanità. Ho vissuto direttamente come candidato la partecipazione alla designazione del Direttore Generale di una ASL abbastanza importante tanto tanto tempo fa.
Mi venne chiesto come mai avessi accettato di candidarmi dato che “già si sapeva chi avrebbe vinto”, che “la politica già aveva deciso”
Ecco il perché poi ci ritroviamo letteralmente “con le pezze al culo”.: generazioni e generazioni di incapaci al timone di un Paese che è un vero “tesoro nel panorama mondiale” per potenzialità, esseri umani, paesaggi, storia, cultura, inventiva, arte, scienza, cibo…
E questo vale anche per le Aziende Italiane il più delle volte guidate da “personaggetti” che riceverebbero centinaia di randellate in testa dalle rispettive consorti se si occupassero solo di “semplice economia domestica”.
Ma questo è: forse quando sarà passata questa brutta pandemia dovremo pretendere che chi ricopre posti strategici o anche solo importanti per il bene di questo nostro Paese e dei suoi cittadini, sia evidentemente preparato per quel ruolo. Come fare non so bene ma va fatto assolutamente!
E ancora le mascherine. Le mascherine servono, poi non servono, FFp2, FFp3,..uhhhh. Me le faccio in casa! Bastano due pezze, 4 elastici e un foglio di polietilene.
Cosa ci insegnano però le mascherine?
Che la globalizzazione ha dei limiti, muri che si devono alzare quando un Paese si rende conto che “dipende troppo da altri”.
Magari da quegli stessi che pur facendo parte di una “specie di Europa Unita” bloccano tutto e non te le mandano.
Ecco…e non solo!
Troppi stranieri comandano Aziende Italiane strategiche.
Troppa roba “necessaria” ancora compriamo all’estero.
La Finanza Italica? Roba da puffi!
Autarchia? Ma certamente no… non diciamo scemenze!
In gergo informatico si chiama “disaster recovery”.
Con disaster recovery (Recupero dal Disastro), nell’ambito della sicurezza informatica, si intende l’insieme di tutte le misure (tecnologiche, logistiche, organizzative,…) atte a tutelare e all’occorrenza ripristinare sistemi, dati e infrastrutture necessarie all’erogazione di servizi a fronte di gravi emergenze che ne intacchino la regolare attività, avendo “in casa” tutto il necessario per farlo!
Non ci si aspettava l’arrivo del virus? Male!
Invece di litigare in continuazione davanti a una telecamera in questo o quello studio TV, a fare i divi e le dive con “labbra gonfie di botulino”, meglio studiare cosa in passato è già successo: la STORIA INSEGNA!
Ma forse molti di questi “responsabili” non sanno che negli anni ’60 una roba chiamata “asiatica” fece nel mondo circa 2 milioni di morti e preferiscono avventurarsi in “vere e proprie scemenze “, dai “no vax” a “quelli che la storia e il latino tanto non servono“…
Ma questo è: forse quando sarà passata questa brutta pandemia dovremo pretendere la nostra (per fortuna) efficiente Protezione Civile elabori scenari di “disaster recovery” in base ai quali, per esempio, potenziare gli ospedali per tempo…e non solo in pieno disastro.
Potrei continuare per ore e ore anche perché stando a casa il tempo non manca.
Mi fermerei qui però perché la mia voleva essere solo una provocazione…continuate voi da soli e magari se volete aggiungete e commentate.
Dovendo rimanere a casa, io credo che la cosa più importante che noi tutti dovremmo fare è “vivere attentamente ed in modo critico questo presente” per individuare tutto ciò di davvero inutile se non deleterio a cui ci eravamo abituati, spesso sopportandolo rassegnati e che oggi ci ha portato a guardare con sgomento file di camion militari trasportare esseri umani “a buttar via neanche come si fa con l’umido“.
Parafrasando ciò che si dice dalle mie parti “chi rassegnato campa è il primo che disperato muore”…