“Quando l’amore sapeva attendere”

121567

Lei si chiamava Maria e faceva parte di una storica famiglia di commercianti che risiedeva in Sicilia, per la precisione nella città di Alcamo.

Era una giovane molto dolce, bruna, piccola di statura, alquanto minuta e con uno spiccato sentimento di fede verso il Signore e nei riguardi della chiesa tutta.

Davvero intelligente e particolarmente predisposta allo studio appassionato delle discipline scientifiche.

Bravissima in matematica.

Sognava fin da bambina di diventare una maestra preparata e devota al lavoro intellettuale ma ahimè, le circostanze temporali erano ben differenti dalle attuali e persino da quelle recentemente pregresse.

Il padre la obbligò ad abbandonare gli studi alla tenera età di dieci anni, imponendole con autorevolezza di recarsi a lavorare puntualmente in negozio, tutti i giorni.

Il destino di Maria le avrebbe dunque prospettato il vero e proprio vincolo di abbracciare la professione del commercio, un mestiere che un po’ per volta cominciò ad amare fortemente.

“Ma quanto piansi inizialmente!”

Queste le sue parole rivolte a me, ogni volta che tiravamo fuori questa storia.

Mi raccontò che se ne stette per due giorni interi rinchiusa in camera sua, rifiutandosi di interagire categoricamente con chicchessia, finanche con la sorella Manuela, con la quale aveva un legame intenso e particolarmente saldo.

Ah, quasi dimenticavo: Maria era la mia nonna paterna e non nego che sono sempre stata oltremodo restia a narrare in merito alla sua persona.

Era una donna troppo fragile, capace di tirar fuori le unghia solamente entro quelle quattro mura protettive del negozio.

Parlare di lei ha sempre inculcato in me la sensazione di usarle violenza.

Mi amò oltre ogni misura.

Aveva timore un po’ di tutto, fuorché di interagire con la gente che avrebbe dovuto fare gli acquisti.

Non sarebbe esistita anima viva che avrebbe avuto la concessione di varcare al contrario la porta d’ingresso della piccola boutique, senza essersene andata via da lì con almeno un capo d’abbigliamento al seguito.

Era una commerciante grandiosa.

E fu proprio la sorella Manuela ad insegnarle tutti i trucchi del mestiere.

Manuela aveva dieci anni più di lei e di scontri con quel padre padrone che non intendeva sentire ragioni ne ebbe anch’ella in gran quantità, sin dagli albori della sua giovinezza.

Ma zia Manuela ebbe un ruolo determinante nella vita di nonna Maria, soprattutto per un particolare che ne segnò la vita eternamente.

Si era fidanzata con Vincenzo , un ragazzo perbene, affabile, un onesto lavoratore ed un brav’uomo sotto ogni aspetto.

Costui aveva un fratello minore di nome Carlo che faceva il barbiere.

La sera in cui Vincenzo si presentò con tutta la sua famiglia per chiedere al severissino e potenziale suocero la mano della figlia Manuela, volle presenziare pure Carlo.

Nonna Maria mi raccontava che se ne stava seduta sulla poltrona di fronte a lui, irrigidita dalle forti emozioni dalle quali era stata inaspettatamente sopraffatta.

Si piacquero immediatamente ed i loro sguardi ansimavano costantemente in un caldo intreccio di prematura passione.

Il Signor Francesco Messina acconsenti’ al fidanzamento tra Manuela e Vincenzo pur essendo totalmente ignaro del fatto che, da lì a breve, avrebbe dovuto indire una nuova riunione familiare per accondiscendere all’unione tra Carlo e Maria.

E così fu.

I fratelli Adragna si fidanzarono con le sorelle Messina.

Nonostante la notevole differenza di età che intercorreva tra Maria e Manuela, entrambe incontrarono i rispettivi e futuri mariti pressoché nell’arco del medesimo periodo.

Ma questa storia si svolge negli anni quaranta e dopo qualche mese di fidanzamento Carlo dovette abbandonare la sua amata, essendo stato costretto a partire celermente per servire la Patria.

Prima di andar via, però, non perse l’occasione di fare a Maria la sua promessa più importante.

Quel ragazzo magrissimo e longilineo, con quegli occhi grandi e delle fulgilde labbra carnose, la accompagnò a fare una breve passeggiata lungo “lu cassaru strittu” e mentre il sole calava lentamente, al di là del monte Bonifato, egli seppe dire con molta decisione solo una brevissima ma significativa frase :

“Maria, appena io torno giuro che ti sposo!”

Ogni volta che mi raccontava di questa storia le venivano le lacrime agli occhi.

Quello che sarebbe diventato mio nonno e che io purtroppo non conobbi mai, non fece ritorno per più di tre anni.

Pervenivano ad entrambi una marea di scritti epistolari. 

A volte arrivavano puntualmente, in altre occasioni si smarrivano durante il tragitto.

Ma il più bel dono che lui ricevette da parte di Maria fu una sua foto,un’immagine che ritraeva il grazioso volto della sua amata in primo piano.

Girando la foto dalla parte opposta si potevano leggere testuali parole:

“Al mio Carlo, che amerò per tutta la vita”.

Quando Carlo finalmente fece ritorno a casa non esistette esitazione di sorta.

Si sposarono immediatamente.

La guerra era finita e le città avevano assunto le sembianze di tanti lidi massacrati, ma erano irrimediabilmente intrise di meraviglia ed in preda al tripudio di una ritrovata serenità che destava contentezza.

Eh sì, i miei nonni paterni: Carlo e Maria.

Dopo il matrimonio lui non fece più il barbiere e cominciò ad aiutare lei in negozio.

Ricordo che mia nonna era solita , talvolta, dilungarsi in racconti bellissimi, nostalgici e ricchi di particolari.

Un giorno, narrando come di consueto, mi disse con gioia : ” quando decisero che avremmo dovuto recarci a votare, per stabilire se desiderassimo proseguire con il sistema monarchico o se preferissimo la Repubblica , io portavo in grembo tuo padre da quattro mesi.

Era il 2 Giugno del 1946 e a Novembre sarebbe nato il mio unico ed amatissimo figlio.

Quando fummo convocati alle urne , consapevoli che saremmo stati i veri fautori di un domani differente, il mio pensiero si rivolse senza esitazione al bambino che sarebbe venuto al mondo da lì a poco tempo.

Garantirgli un futuro migliore rappresentava una priorità imprescindibile, un atto d’amore necessario e dovuto.

Per questa ragione decidemmo di regalargli la Repubblica”.

Ed io, avendo contezza della sua bontà, non avrei mai nutrito alcun dubbio.

Ciao Carlo, ciao Maria…

Ciao, papà!

Maria Cristina Adragna

Previous articleL’ultimo Re di Puglia? Michele Emiliano
Next articleThe danish girl
Maria Cristina Adragna
Siciliana, nasco a Palermo e risiedo ad Alcamo. Nel 2002 conseguo la Maturità Classica e nel 2007 mi laureo in Psicologia presso l'Università di Palermo. Lavoro per diverso tempo presso centri per minori a rischio in qualità di componente dell'equipe psicopedagogica e sperimento l'insegnamento presso istituti di formazione per operatori di comunità. Da sempre mi dedico alla scrittura, imprescindibile esigenza di tutta una vita. Nel 2018 pubblico la mia prima raccolta di liriche dal titolo "Aliti inversi" e nel 2019 offro un contributo all'interno del volume "Donna sacra di Sicilia", con una poesia dal titolo "La Baronessa di Carini" e un articolo, scritti interamente in lingua siciliana. Amo anche la recitazione. Mi piace definire la poesia come "summa imprescindibile ed inscindibile di vissuti significativi e di emozioni graffianti, scaturente da un processo di attenta ricerca e di introspezione". Sono Socia di Accademia Edizioni ed Eventi e Blogger di SCREPmagazine.

2 COMMENTS

  1. Meravigliosa rievocazione del sentimento delle radici familiari,è mirabile il senso e il tempo della sinossi,semplice e bello !
    Le radici sono l’orgoglio delle proprie emozioni nei confronti della Vita,incredibile in ogni
    ascolto umano e interiore !
    Molto bella e coinvolgente l’esposizione tanto fondamentale dei sentimenti umani : complimenti è il cuore umano che scrive,e la soggettività dell’ autore che incarna mirabile
    esposizione.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here