La poesia ha un aspetto profetico o semplicemente casuale?
La luna di Kiev, filastrocca di Gianni Rodari, di cui si parla tanto in questo periodo così drammatico, in effetti ci fa riflettere, fornendo degli spunti che possono andare oltre le parole della lirica, la quale si presenta di una disarmante attualità, anche perché il significato della guerra, nel senso del suo portato catastrofico, rimane uguale nei secoli.
La luna di Kiev è la luna di tutto il mondo, sì, è quella che accompagna i tanti profughi ucraini nei vari paesi dell’Europa, è quella che guarda con speranza il bene e con sgomento il male, ed è sempre quella luna che piange i morti, ucraini o russi che siano.
La luna di Kiev è il villaggio globale, purtroppo avvelenato, nel cuore del nostro Continente, un villaggio dove, in questo momento, stentiamo a sentire le campane festose della sua Chiesa, e invece di vedere i bambini felici uscire dalla sua scuola, quei bimbi, ahi noi, scappano dalle loro case, ormai insicure, verso luoghi altri, verso un altrove che ospiterà fanciulli che non saranno più gli stessi ma avranno il cuore spezzato per il resto della loro vita, anche se saranno adulti realizzati e mi auguro sereni.
La filastrocca di Rodari è rivolta proprio a loro, bimbe e bimbi, ma è una condanna dei comportamenti dei grandi, capaci di offuscare la luna su Kiev, di conseguenza, ovunque, in ogni angolo della Terra.
Sotto la luna di Kiev ci siamo tutti noi, la poesia ci invita ad un convinto “I care”, mi interessa, ci tengo, tutto ciò che sta avvenendo appartiene anche a me, a noi. I care for you.
“Ci sono cose da non fare mai,
né di giorno né di notte,
né per mare né per terra:
per esempio, la guerra.”
(G. Rodari)
Tommaso Cozzitorto
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