È così che hanno inizio i momenti peggiori, a partire da un sentimento di sconforto desolante, dilagante, inatteso.
Molteplici cause si intrecciano sugli scenari del quotidiano e del consueto e l’umana natura soccombe inerme ed assolutamente attonita, innanzi allo stupore d’essere stata sorpresa dall’ignota e dall’inaspettata evidenza.
Non sono affatto degno degli appellativi che mi affibbiate da parecchi mesi: le corone vengono sorrette dalle teste degli integerrimi monarchi, non di certo dalla mia.
Per carità, ne sono esistiti di despoti e d’apparenti buonisti, tutti maledettamente pronti ad ostentare, con una certa dose di ipocrisia, una favorevole accondiscendenza nei confronti della popolazione martoriata e sconfitta.
Sebbene la storia insegni che le adeguate misure cautelari e preventive vadano scrupolosamente varate a monte e nonostante sia risaputo che la storia stessa abbia subito la totale privazione di allievi inclini all’ascolto e al desiderio d’apprendimento , io continuo con estrema convinzione ad affermare di essere meritevole di subire una netta e severa detronizzazione (seppur, adesso, forse è estremamente tardi) sia da un punto di vista meramente terminologico, sia sul piano del mio radicale annientamento.
Sono deleterio, ecco qual è la verità!
“Diabolico virus”, in tal maniera avreste dovuto appellarmi.
Ma avete seguitato a porre sul mio capo una squallida corona regale , ed io ho acquisito la forza della quale si appropriano indebitamente gli inetti, gli stolti, le mediocri entità.
Mi sono fatto forza dell’obrobriosa capacità di propagare i miei effetti mortali, nefasti, inopportuni, infinitamente dannosi e, ahimè, ne ho avuto piena e serena facoltà senza particolari sforzi di sorta.
Sapeste quanto ho viaggiato!
Ho girato in lungo e in largo per il mondo.
Ho incrociato milioni di sguardi di gente imbevuta nel terrore e benché io fossi invisibile ai loro occhi innocenti, la maggior parte di quelle espressioni in preda allo sconvolgimento destò in me la sensazione che fossero consapevoli di trovarsi al mio cospetto.
Si sono inchinati al re, non avrebbero potuto fare altro.
Sono l’unico a detenere armi forti, potenti, vinco con estrema facilità nei confronti degli inermi e degli indifesi, degli anziani che non detengono le forze necessarie per proferire neppur lo straccio di una parola, dei giovani inconsapevoli del danno e padroni di un universo minore e addirittura inesistente , che non di rado mi hanno sfidato con altegia dissacrante e categorica dabbenagine.
Mi sono insinuato nei rapporti più intimi e sinceri, tra le anime che si inseguono in nome dell’amore autentico e puro, ho diviso padri d’ogni età e figli devoti al genitore, amanti desiderosi di un ultimo bacio ricco di fervore disperato, ho mietuto affetti, sgretolato speranze, inseguito la povera gente con una falce affilatissima.
Ho seminato del panico angosciante all’interno dei nosocomi più disparati, gremiti ed esasperati, ho guardarto con superbia i volti di medici esausti, di infermieri instancabili, di neolaureati privi di sostanziale esperienza, eppur ligi ad un dovere inevitabile, giusto, dovuto e più che necessario.
Credete veramente che la morte possa sottostare ad oltranza ad un’andatura costante ed eternamente ascendente?
Nulla è per sempre, sconfiggerete anche me.
Mi sto aggirando per i borghi e per le città di questa Italia che si è inginocchiata con disperata rassegnazione.
Eppure non riscontro più, per le strade e per i vicoli reconditi, quell’affluenza che mi consentì di disseminare gli effetti nefasti che mi vennero imposti dall’inclemente natura.
È senz’altro probabile che, quella cosa multicolore che scrivete a caratteri cubitali e che recita “Andrà tutto bene”, stia fungendo da rituale efficace e propiziatorio per la vostra incolumità.
Vincerete voi, questo è sicuro, ed io morro’ tacitamente, come un qualunque farabutto e come il più misero degli impostori, come un ladrone sulla croce, come uno spietato condannato alla temibile ed arcaica ghigliottina.
Mi estinguero’ sul rogo dell’innefficienza, esauriro’ le ultime forze che mi consentono ancora di godere di un potere che non scelsi autonomamente e che mi spinge ad agire inopportunamente e contro la mia stessa volontà.
Ogni volta che un essere umano è stato privato della propria vita a causa mia, nella stragrande maggioranza delle occasioni , ha rivolto il suo ultimo pensiero ai propri figli.
Fu lì che compresi appieno l’importanza del sostegno emotivo da parte degli affetti più cari, qualcosa per la quale non sono nato né sono stato pensato , ma nulla mi vieto’ d’avere ugualmente contezza del valore della compassione.
Perdonate la mia incapacità di dileguare le mie tracce.
Nacqui per seminare morte.
Ma se solo fossi nelle condizioni di mutare la mia immonda natura, estinguerei tutto il male che subiste e che subite, rassegnandomi alla distruzione di me stesso e delle mie peculiarità incresciose , regalandovi aria, ossigeno e libertà da assimilare a pieni polmoni.
Quando il giovane Alessandro si ammalò gravemente aveva solo 34 anni.
Venne intubato d’urgenza.
Di fianco a lui, in quel triste e poco confortevole letto d’ospedale, c’era il povero Pietro. Lui di anni ne aveva 83.
Furono costretti ad operare una scelta.
Pietro si lascio’ scivolare la sua vita di fianco, senza detenere alcun potere decisionale.
Anche lui, in quell’occasione, parve che maledicesse la mia indesiderata presenza e che mi colpisse dritto all’orgoglio stolto con estremo livore.
Quella notte, un’infermiera che stava espletando il turno consueto, versò lacrime cospicue ed intrise di estrema amarezza.
Io sono l’emblema di ciascun fallimento di un sistema sanitario che arranca a mala pena e che si dispera alacremente e senza sosta , ma che combatte con le unghia e con i denti pur di condurre alla salvezza questa umanità che versa, con relativa speranza, in una condizione di pericolo estremo.
Ed io che vi costringo all’assenza, alla distanza, all’astinenza dalla gioia, a varcare i limiti della sopportazione e dell’inaccettabile, sto immaginando che una donna stia attendendo di poter riabbracciare il suo diletto amato.
Sapeste quante ve ne sono?
Turbate fortemente, in preda all’afflizione.
Probabilmente, costoro si esprimerebbero così:
Amore, prega,
implora,
denudati,
amami.
Illuditi,
Illudimi,
ascoltati,
ascoltami.
Credi,
canta,
perdonami,
perdonati.
Pensami,
vola,
fuggi,
reinventati.
Rifletti,
hai tempo,
comprendimi,
hai cuore.
Sorridi,
dispera,
affoga,
riemergi.
Accogli,
rinnega
aspettami,
rimembra.
Ricordati del mio volto,
anche se non mi vedi,
magari ancora credi
che questa sia follia.
Sorvola casa mia,
la mente elude i varchi,
ben poco potrai darmi…
Ma non dimenticarmi.
Credo con fermezza che, prima o poi, sarete finalmente riadottati dal giusto tempo, dalla consuetudine rassicurante, dalla vostra amata, imperfetta e rigogliosa esistenza!
Ma rimanete a casa, penalizzate me.
Vi ho uccisi persino di solitudine.
Non abbiate alcuna pietà di un mostro!
Maria Cristina Adragna
Chi è il Direttore di questo blog? A mio avviso ha reclutato un’eccellenza. Questa scrittrice dimostra fantasia, proprietà di linguaggio fuori dal comune, capacità poetiche non indifferenti. Complimenti alla Signora e a chi l’ha scelta.
Grazie. Maria Cristina oltre ad essere molto brava è anche una bella persona. Giuseppe De Nicola – Direttore del Magazine
Lusingata dai suoi apprezzamenti, Carlo, e naturalmente dai tuoi, caro Giuseppe
Complimenti cara Cristina la tua originalità letteraria è ineguagliabile anche per il tuo linguaggio forbito. Ho sempre apprezzato con interesse ogni tuo componimento che va oltre ad ogni interesse di cronaca. Caro Carlo come me hai saputo bene apprezzare il grado di eccellenza della Cara Cristina e bene anche al Sig. Giuseppe De Nicola, Direttore del Magazine, per averla scelta a far parte della redazione.
Grazie Giovanni, molto gentile