La maestra

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seconda parte

Tra me e la Signora Tucci, si era creato un legame indissolubile. L’ascoltavo estasiata e, quando mia madre riprese a lavorare se l’asilo era chiuso, pur di non perdere un solo giorno di scuola, portavo in classe con me, mio fratello, più piccolo di me di sette anni. Fortunatamente stava buono, seduto accanto a me. Ero diventata così brava e attenta, che per risolvere i problemi di aritmetica in classe, non avevo bisogno di spiegazioni. La prima volta, la maestra dettò una traccia e mentre scrivevo, già sapevo come risolverla. Finito di dettare, la maestra iniziò a spiegare quale sarebbe stato il modo di procedere, senza scendere nei particolari, per aiutare noi bambine, al ragionamento. Appena finita la spiegazione, le mie compagne, chine sui quaderni, iniziarono a fare i loro calcoli. Io stavo ferma, immobile, in silenzio, il mio proverbiale silenzio! Vedendo la mia immobilità, la maestra che tutto vedeva, mi chiese se per caso avessi qualche difficoltà. Le risposi: “Signora maestra, l’ho già fatto!”

“Portami il quaderno!” Mi alzai dal mio posto e mi diressi verso la cattedra, col mio belo quaderno aperto e lo posai davanti a lei. La vidi guardare e sorridere: “Brava!” Il mio essere si nutriva di quei “brava”. Le volte successive furono tutte uguali, lei spiegava e io lavoravo in silenzio. Non appena finiva di spiegare, già sapeva che sarei andata da lei col quaderno e il compito fatto.

La mia passione per la lettura, mi aveva dato le piccole soddisfazioni ma ancora non potevo comprenderle, ero solo una bambina… Nell’estate del ’69, l’anno in cui nacque mio fratello, mi trovavo nella sala da barba di papà e seduta su uno sgabello, leggevo “Topolino”. Ricordo che entrò un signore sulla quarantina, ben vestito e che aveva un accento del nord. Chiese di essere sbarbato, poi pagò ma papà non aveva il resto, così,  con la banconota in mano, uscì in strada per cambiarla con la moneta. La via era piena di commercianti che spesso si scambiavano il favore. L’uomo, nell’attesa, iniziò a parlare con me, le solite domande: età, la scuola frequentata eccetera. Ero stata promossa alla seconda elementare e orgogliosamente glielo dissi. Lui mi chiese: “Sai leggere?” Io risposi di sì. “Fammi vedere come leggi!” Mi mise davanti agli occhi il giornale che aveva tra le mani e mi chiese di leggere una frase. Lessi senza titubanza, anzi avevo letto come un’adulta, veloce e sicura e la faccia di quell’uomo, cambiò espressione. Sicuramente lo avevo sorpreso!

I pensierini si trasformarono ben presto in temi, con una traccia ben precisa. Sistematicamente il mio tema, faceva il giro della scuola, mamma Tucci lo faceva leggere alle sue colleghe, fieramente. La vedevamo alzarsi dalla cattedra senza dire niente, aprire la porta dell’aula e uscire col mio quaderno in mano.

Acquistare giornali o riviste non era così facile, i soldi erano pochi e raccattavo di tutto. Seppi che c’era la biblioteca che dava i libri in prestito e così mi organizzai. Mi iscrissi e dal quel punto di vista, avevo risolto. Gli impiegati ormai mi conoscevano, avevano compreso che non potevo vivere senza leggere.

Per poter leggere però, dovevo superare uno scoglio, mia madre. Non voleva che io leggessi: strano vero? Eppure era così! Finiti i compiti e chiusa la scuola per le vacanze estive, mi era proibito aprire libro e allora? Leggevo di nascosto! Mi nascondevo ovunque, stavo accovacciata dietro le porte e quando mi scopriva, cosa che accadeva spesso, erano guai.

Segue

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