La favola nera di Leonarda

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Gli appassionati del genere noir sono, anzi siamo, visto che ne faccio parte, davvero tanti.

I telefilm americani che guardiamo in tv, spesso polizieschi, ci raccontano di un mondo parallelo al nostro, che ci limitiamo a trascorrere del tempo, in maniera quasi leggera e cambiare ciò che non ci piace, premendo un qualsiasi tasto del telecomando.

Assistiamo a scene di assassinii, che hanno una motivazione passionale o interessi economici ma ci sono anche i serial killer, quelli che fin dall’inizio della storia, ci fanno capire chi sia l’assassino ma certamente non mancano i colpi di scena.

Alcune storie, fortunatamente la maggior parte, nascono dalla fantasia degli autori altre, sono storie assolutamente vere. Noi le guardiamo come un qualcosa di lontano, qualcosa che non può accadere oltre la porta di casa nostra eppure, anche in Italia abbiamo avuto la nostra serial killer, incredibile vero?

È lei, la saponificatrice di Correggio, al secolo: Leonarda Cianciulli.

Nell’Italia del 1946, ancora atterrita dalla guerra, si aprì il processo contro di lei, rea confessa.

Tra il 1940 e il 1941, quindi un periodo relativamente breve, aveva ucciso e ridotto in piccoli pezzi tre donne, con l’ausilio di un’ascia e ne aveva fatto saponette e “deliziosi” dolcetti al cioccolato che offriva alle amiche e che gustava lei stessa, insieme al figlio Giuseppe.

Della Cianciulli si sono interessati in tanti, tra registi e scrittori, tra cui la Wertmuller con “Amore e magia nella cucina di mamma”.

Il processo segue le varie fasi della vita della Saponifricatrice, una vita fatta di grandi dolori, quali l’obbligo ad un matrimonio non voluto ed un marito violento, diversi aborti e la morte di figli neonati.

L’Italia usciva dal fascismo con le ossa rotte ma lungi da essere un paese pacificato, anzi, il fascino morboso della criminalità, occultata dal regime, ora esplodeva prepotente.

Durante il processo, la Cianciulli, chiese che venisse fatto uscire il figlio dall’aula, quasi a mostrare se stessa come una madre premurosa e addolorata per quanto avrebbe potuto causare al “povero Giuseppe” che in realtà, spesso aiutò la madre a tagliuzzare e bollire i corpi delle povere vittime.

Gli inquirenti si mostrano increduli poiché, nonostante la Cianciulli fosse di corporatura robusta, non avrebbe potuto da sola, sezionare e distruggere i cadaveri delle vittime e rientra il ruolo del figlio che la protagonista, ha sempre protetto.

Il perito nominato dal tribunale, aveva il compito di rilevare una qualsiasi patologia ma lei ha sempre dichiarato di essere solo una pericolosa criminale, non una pazza! Un’immagine diversa, quindi, da ciò che si poteva evincere dai verbali di polizia.

Grazie alla collaborazione dell’imputata, il processo si concluse in tempi brevi e la Cianciulli, fu rinchiusa nel manicomio di Pozzuoli, da dove ne uscì solo alla fine della sua vita.

Si racconta che durante la sua permanenza in manicomio, preparasse dei dolcetti, per ingannare il tempo, con gli ingredienti giusti ma che nessuno si sognava di assaggiare…

 

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