La bellezza allo specchio

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 La bellezza allo specchio

 Forse diventiamo coloro che ci mancano. Forse riempiamo il vuoto per angoscia del vuoto. Forse cristallizziamo ciò che sono stati per tenerli al nostro fianco per sempre”.

 ‘La donna che non invecchiava più’ (Grégoire Delacourt)

Fino all’età di tredici anni Martine aveva vissuto un’infanzia ed una pubertà serena, al passo con le sue esperienze, con  i suoi cambiamenti fisici, con le sue gioie e le sue sofferenze. Figlia unica, vive con i suoi genitori.

Suo padre, uomo mite e lavoratore,  non era più lo stesso da quando aveva fatto ritorno  con una gamba amputata nella guerra in Algeria. Quei sentimenti di passione carnale condivisi con sua moglie,   erano stati spazzati via  dal gelo e dall’indifferenza della consorte. Da quel momento in poi lo sguardo di sua  moglie era cambiato. E gli rimandava costantemente un senso di inutilità ed impotenza.

La madre di Martine era una giovane donna, bella, con tanta voglia di vivere e divertirsi. Sua madre amava fotografarla. E le diceva spesso che la bellezza non durava per sempre.  E che, quindi, era importante avere un ricordo di quell’immagine, immobile ed eterna.

All’età di tredici anni Martine perde sua madre, investita da un’auto mentre attraversava la strada all’uscita di un cinema: aveva da poco compiuto trentacinque anni. Per Martine fu un’esperienza devastante. Invecchiò di colpo.

E, tuttavia, nonostante quel senso di vuoto che le aveva lasciato l’aver vissuto una perdita così dolorosa e prematura, Martine continuava a frequentare la scuola regolarmente. E iniziava, anche, ad approcciarsi alle prime esperienze adolescenziali con la curiosità di una giovane ragazza che si affaccia alla vita.

Quando Martine ha diciasette anni ,il padre si risposa. E ritrova il sorriso con la sua nuova moglie, dopo anni di silenzi e solitudine.

Un giorno Martine, che oramai è nel pieno della sua crescita di diciottenne con quella caratteristica curiosità adolescenziale che caratterizza questa età va alla Nouvelles Galeries, dove una commessa  la spinge ad osare un po’ di più nella scelta di un rossetto. E le suggerisce uno adatto alla sua età,  un bel rosso audace.

Se sua madre fosse stata ancora viva, pensa la ragazza,  avrebbe certamente approvato.

Martine è felice, si sente a suo agio   in quell’età che “conserva l’odore del latte, dell’infanzia, ma offre già quello muschiato della brama, dell’impudenza; mi sentivo come in mezzo a due me, senza alcun tormento, giusto un equilibrio perfetto, che non sarebbe durato, lo sapevo, ma che per il momento aveva un fascino inedito, passeggero, effimero come la neve; lo assaporavo come in seguito, prima del dolore, dello sgomento, avrei assaporato la stabilità delle cose, l’illusione che niente cambi e che la felicità risieda nell’immobilità.”

E’ proprio in quel periodo quando ha  diciotto anni, che Martine conosce André, il suo grande ed unico amore.

Un ragazzo dallo sguardo triste ma con le idee ben chiare su chi avrebbe desiderato diventare: un operaio specializzato.

Quando oramai ha ventun’anni ed è una studentessa di lettere, Martine decide un giorno di cambiare nome. E sceglie  di farsi chiamare Betty.

E’ affascinata dal  significato di quel nome.  “le Betty sono donne dolci, sentimentali, emotive e attraenti. Determinate e ottimiste, la loro filosofia di vita le aiuta a superare le difficoltà.” Una specie di seconda rinascita per lei.

Il tempo trascorre. E così gli anni. All’età di ventiquattro anni Betty si sposa con André.   E  poco dopo nasce il loro primo figlio.

Al termine della gravidanza è Odette, la stessa commessa della Nouvelles Galeries,  divenuta ormai sua amica, ad aiutarla a dimagrire  e a ritrovare la forma smagliante di un tempo.

Betty  si è riappropria finalmente della sua forma fisica e della sua bellezza. Ritrova una rinnovata leggerezza a partire dal cambio di look.

A cause delle lunghe assenze del marito, Betty decide di lasciare il lavoro per dedicarsi al figlio.

Quelle assenze lasciano  spazi vuoti e di solitudine. Ma Betty è convinta che “l’amore risiede anche nell’attesa e nella distanza, nella pazienza e nell’incanto.”

Un giorno la sua amica Odette, che è di dieci anni più grande,  le presenta il suo nuovo fidanzato, un fotografo di nome Fabrice.

Appena la vede, l’uomo le propone di partecipare ad un suo progetto fotografico, il libro del tempo.

Il progetto consiste nel fotografare ogni anno gli stessi volti per vedere, a distanza di alcuni anni, in che modo il tempo, l’esperienza, l’accadere della vita modificano le espressioni facciali.

Betty accetta volentieri. Ha trent’anni. Durante i primi  due – tre scatti, il fotografo rimane impressionato, perché si accorge che il volto della giovane donna è immutato a distanza di pochi anni.  Le sue espressioni sono identiche agli anni precedenti. Non ha una ruga.

La circostanza inquieta la ragazza.  Ripensa all’ultima foto scattata alla madre poche ore prima che morisse. Un’immagine, sulla carta stampata,  la cui bellezza non si sarebbe mai  alterata.

A trentacinque anni, dopo altri scatti fatti anno dopo anno,  la conferma: Betty ha smesso di invecchiare.

Una sera, mentre è insieme ad Odette per festeggiare  il compleanno dell’ amica, si ferma ad osservare il  suo volto, non più giovanissimo.

Le sue guance meno piene, così come il colorito della sua pelle, un po’ grigiastro. E’ a quel punto che Odette  le confida che si vergogna di invecchiare.

Vive con grande sofferenza il passare degli anni. Al punto che, per non sentirsi sola, non rinuncia mai alle avances degli uomini, pur di sentirsi desiderata.

Le dice, inoltre, che lei è fortunata  perché è  bellissima, e non ha di questi problemi che invece, assillano Odette ogni anno di più.

Di  ritorno a casa, quella sera Betty  si guarda allo specchio. E sorride. Incarna il sogno di ogni donna, quello di non invecchiare più.

“Invecchiare è doloroso e atroce. Significa lasciare svanire, senza poter fare nulla, la soavità della pelle, la sua grana lattea, vederla macchiarsi, diventare flaccida e cadente; rinunciare agli sguardi che un tempo si posavano su di noi durante una passeggiata, sguardi bramosi, spesso affamati, che ci fanno sentire belle e appetitose, e la cui insistenza, la cui volgarità a volte, è una lusinga.”

E’ felice, niente più occhiaie, borse sotto gli occhi, prozac  o bisturi.

Per quanto sia entusiasta della sua ‘immortalità’, un giorno Betty decide di consultare un medico che le conferma: lei non invecchia esteriormente, ma  internamente. I suoi organi sono quelli di una donna di trentacinque anni.

Il marito ed il figlio non si accorgono di quanto le stesse accadendo. Fino a quando, pochi anni più tardi, mentre passeggiavano insieme André le dice: ‘sei sempre uguale, Betty.’

Una frase pericolosa. Si era accorto di qualcosa? Betty aveva evitato di parlargliene perché temeva una sua reazione, pensava non avrebbe capito. Quella loro indifferenza quasi la confortava. Ma ora iniziava ad avvertirlo come un problema.

Problema che si presentò inaspettatamente, alcuni anni dopo, all’età di quarataquattro anni. Una mattina André le chiede cosa le stesse accadendo: non invecchiava più. E non ne capiva il motivo.

Era dovuto ad una malattia? A qualcos’altro?

Ad un certo punto André le dice che avrebbe desiderato, più di ogni altra cosa, invecchiare accanto a lei, ma  non si riconosceva più in quel volto immutato dalle emozioni, dalle espressioni del tempo,  dalle rughe, da quel vissuto condiviso in anni di vita insieme.

Non riconosceva più la loro storia.

“I due uomini della mia vita mi avevano abbandonata perché la mia inalterabile giovinezza era una mostruosità; perché è anormale avere trent’anni per trent’anni; perché quello che amiamo deve pur alterarsi un giorno, l’immagine che ne abbiamo esaurirsi, a poco a poco, cancellarsi, per ricordarci la sua fugacità e la fortuna che abbiamo avuto nell’afferrarla, come una farfalla nel palmo della mano; le cose devono morire per avere la certezza di averle un giorno possedute.”

La sua amica Odette, al contrario faceva ampio uso  della chirurgia estetica per fermare il tempo. E per arginare la paura di non sentirsi più bella per il suo fidanzato e per gli altri uomini. Come se il desiderio appartenesse solo alla bellezza ed alla giovinezza… mi venne voglia di gridare, urlare che solo quello che non dura ha valore e che è proprio la minaccia della perdita ad aiutarci a vivere.”

Gli anni trascorrono velocemente,  insieme al mutarsi dell’esistenza.

Le sue immagini invece, sono identiche a trent’anni prima.

Nessuna espressione  accarezza il suo volto. Alla soglia dei sessant’anni Betty ne dimostra trenta di meno.

Al compimento dei sessantatre anni Betty, è in piedi come ogni anno, davanti all’obiettivo della macchina fotografica di Fabrice.

Si sforza di non sorridere, ma, questa volta, non ci riesce. Osserva, sul viso, alcune piccole imperfezioni.  Le guance sono leggermente calanti, sulla fronte le rughe più definite.

“Sei bella, dice il fotografo; adoro questi dolori, queste gioie, che finalmente si leggono sul tuo viso, Betty, raccontano un’odissea; sforzati di non sorridere; e clic, il flash, le stelle filanti negli occhi, la foto è scattata; grandioso, credo che adesso il mio libro sia pronto, grazie Betty, grazie.”

 Betty ed Odette, due donne, due percorsi personali diversi, ma che hanno un aspetto in comune: il timore d’invecchiare.

Dall’età di trent’anni Betty si rifugia in una bolla esistenziale nella quale il tempo sembra essersi fermato, nessun sentimento, nessuna emozione prende vita sul suo volto perfetto.

La sua bellezza diventa l’espressione della sua immobilità del vivere, è convinta che solo in questo modo può raggiungere la felicità: nella stabilità.

Come se fosse l’unico modo per esorcizzare la paura di rimanere sola.

Betty ha una famiglia, un marito, un figlio. Intorno a lei tutto scorre, tutto prende una direzione, eccetto che per lei.

Una vita apparentemente appagante, ma priva di desideri e passioni.

Un volto senza età è un volto senza storia. E senza identità. Ed è per questo motivo, che ad un certo punto André non la riconosce più.

E’ inevitabile non riconoscersi  in quello specchio vuoto, inizialmente ricco di significati e di storia, per tutto ciò che sino ad allora avevano costruito e condiviso.

Betty non accetta il trascorrere del tempo, soprattutto non accetta l’imprevedibilità e l’incertezza dell’accadere.

Imprevedibilità che, una notte di molti anni fa,  le strappò via sua madre, amputandole una parte di sé, per sempre.

Ma l’imprevedibilità vista da altre prospettive, può trasformarsi in nuove opportunità, può dar vita a nuovi percorsi  conoscitivi ed a nuove esperienze.

 Odette, invece, non sopporta doversi privare di quella freschezza giovanile.   

Desidera sentirsi attraente agli occhi degli uomini, per lei il desiderio prende forma solo attraverso la bellezza o la giovinezza.

Non c’è posto per la condivisione e la crescita, perché entrambe evidenziano il tempo che passa rendendo esplicito  che tutto ha un termine.

Così il ricorso alla chirurgia estetica è la sola  scelta  possibile per piacere e per sentirsi apprezzata e riconosciuta dall’altro, anche solo per qualche ora.

Anche Odette è uno specchio vuoto e scarno di significati, poiché, attraverso  quella corsa contro il tempo, in realtà sfugge da se stessa e dall’ altro.

Anche lei,  come Betty,  finisce nel limbo dell’immobilità e della solitudine.

 Invecchiare dunque,  significa  riconoscersi nel volto dell’altro, significa dare un valore all’esperienza vissuta. Inoltre ci permette di dare un senso a quelle imperfezioni che rendono la nostra esistenza  unica ed irripetibile.

Significa aprirsi all’esperienza, ad una nuova storia che ci attende.

Ebbene si, il  mondo  scorre velocemente, ed è in questo flusso inarrestabile del tempo che possiamo provare a far crescere  i nostri desideri e le nostre passioni, a  viverle in maniera autentica per ritrovare una dimensione personale che sia più in sintonia con i nostri bisogni.

E che ci permetta di accettare e vivere  il tempo come un processo naturale  ed uno specchio in cui riconoscersi e ritrovarsi con fiducia.

Dott.ssa Paola Uriati

 

 Clicca il link qui sotto per leggere il mio articolo precedente:

Quel senso di solitudine…

 

 

 

 

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Paola Uriati
Ho conseguito nel 1994 il diploma di Laurea di dottore in Psicologia indirizzo Clinico e di Comunità, presso l’Università la Sapienza di Roma. Sono iscritta dal 1997 all’Albo degli Psicologi della Regione Lazio. Dal ’94 al ’99 ho svolto il Corso quadriennale di specializzazione in Psicoterapia Cognitivo post-razionalista, presso l’Associazione di Psicologia Cognitiva di Roma. Lavoro come psicologa psicoterapeuta a Roma e mi occupo principalmente di disturbi dell’umore, disagi adolescenziali, disturbi di personalità, problematiche relazionali e sessuali. Ho partecipato a Convegni in qualità di relatore ed ho realizzato pubblicazioni fra cui “ Approccio evidence-based alla valutazione del trattamento comunitario terapeutico-riabilitative del Lazio”. Da febbraio 2020 seguo un progetto editoriale, uno spazio in cui condivido argomenti che hanno, come obiettivo principale, il benessere della persona. Sono appassionata di fotografia. Mi piace catturare le immagini, piccoli frammenti della nostra identità, che si svela nell'incontro con l'altro e con il mondo.

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