Il passato che ritorna

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Dopo un viaggio lungo e faticoso finalmente sono ritornata nella mia terra, seduta su una panchina, aspetto solo l’autobus che mi separa dalla doccia e che riporti pace nel mio corpo sudato.

In quest’ultima settimana ho percorso anni e ricordi e varcato porte che mai avrei creduto di varcare ancora, stretto mani e baciato visi che avevo quasi dimenticato, riposti nei cassetti impolverati della mia mente.

È pomeriggio ormai inoltrato e le cicale raccontano storie fantastiche.

La mia storia, invece, è vera come la penna che stringo tra le mani, come questo venticello che a tratti soffia delicato, asciugando il mio sudore. Ho tanta voglia di raccontare ma in realtà, non so da che parte incominciare, se da un freddo obitorio dalle pareti bianche e nude o da una serata tra amici.

Certo è che mai, mi sarei aspettata di vederti così, senza respiro, senza più fragilità umane, ma solo il tuo corpo di ghiaccio! Un inutile involucro che conteneva ciò che eri. Ma in realtà, chi eri davvero? Il ragazzo premuroso conosciuto una sera d’estate o l’animale che dopo avermi sposato, meditava di uccidermi?

Ho guardato la tua testa immobile piena dei tuoi capelli ancora tutti neri, solo una leggera stempiatura ai lati della fronte alta e spaziosa, gli occhi e le labbra semichiusi, la barba lunga fino al petto con una bellissima striscia bianca scendere al lato sinistro della bocca. Ho guardato la tua iride nera, ho voluto guardare, inchinandomi leggermente su un fianco, in fondo, sono stata io a chiedere di vederti.

Non mi ha fatto impressione vedere la tua pelle di cera ma avrei voluto vedere le tue mani, solo che il coperchio della tua bara era aperto solo a metà, giusto per mostrare il tuo viso pallido. È stato quasi un deja-vu, come se ogni giorno fossi venuta a vedere, negli ultimi vent’anni, quell’immagine di te. Ho colto quasi un’espressione di odio, quando mi sono accostata, la tua rabbia per non essere riuscito ad annientarmi.

L’ho capito sai, ho capito solo adesso perché eri così rabbioso contro di me e te lo dirò, ma non subito, adesso non mi fai più paura! Ho chiesto di restare da sola con te per dirti tutto quello che avevo dentro e l’ho fatto ma dopo, ti ho concesso il mio perdono per lasciarti libero e per essere finalmente libera io stessa.

Quello che tu non sai e che non ho mai avuto il coraggio di confessare, è che anch’io, ad un certo punto, meditavo di ucciderti e avevo anche trovato il modo ma facendo i conti con la mia coscienza, mai feci un tentativo per mettere in atto i miei progetti. Risolsi tutto fuggendo da quella casa.

Non lo avrei fatto certo per ereditare ma solo per salvarmi la vita, mentre tu già pensavi di impossessarti di quel poco che avrei lasciato, se fossi morta.
Dopo averti visto, sono tornata in quella casa, ho riaperto quella porta che avevo chiuso tanti anni fa, senza più farvi ritorno.

Ho rivisto i mobili, molti degli oggetti che avevo lasciato e poi disordine e sporcizia ovunque. Un appartamento maleodorante da costringermi a tappare il naso. Buste di plastica piene di immondizia agganciate ai pomelli delle sedie, nel frigo poco cibo andato a male a causa del lungo ricovero in ospedale e poi tanto, troppo cioccolato!

In camera da letto, quasi impossibile camminare, uno stendino colmo di panni sporchi, ostruiva il passaggio e poi le sedie della sala messe una accanto all’altra per contenere un puzzle finito (quella di costruire i puzzles è una cosa che hai copiato da me), decine di camicie appese alle maniglie dell’armadio, pantaloni sporchi sul letto e una busta contenente un paio di pantaloni bianchi, nuovi, mai usati, forse acquistati nei giorni precedenti il tuo malore. In sala lo stesso tanfo di fumo di sigaretta e macchie di nicotina sui mobili.

L’album di foto del nostro matrimonio, perfettamente conservato, aperto sul divano, io allora te lo lasciai e al tuo posto, l’avrei bruciato, ma tu lo tenevi forse come un trofeo!
Computer impolverati e ragnatele nere ovunque, anche dove pare impossibile che ci siano. Lampadine fulminate e un paio d’occhiali rotti, tenuti insieme con uno stuzzicadenti e del nastro adesivo… l’immagine dello squallore!

In tutto questo, ciò che mi ha colpito di più, è stato vedere l’urna con le tue ceneri, sapere che tu e tutto quello che eri, tutta la tua storia, tutto chiuso dentro una cassetta di pochi centimetri. E tra quelle ceneri è bruciato l’abito da sposo che avevi chiesto di indossare in caso di morte.

Chissà per quale ragione, sentimento o parsimonia?

Avevano un senso le mie foto e i miei articoli salvati sul tuo computer?

Non certo amore, anche se agli occhi dei più sarebbe l’unica risposta logica e sensata ma non è così perché chi ama, non distrugge, crea!

Il fatto di aver avuto accesso al tuo portatile, mi ha dato la possibilità di capire molte cose che mai avrei immaginato! Avevi costruito un’immagine di te superiore alla media, con un’intelligenza fuori dal comune, ma non era così!

Avevi delle nozioni, avevi imparato un mestiere ma non eri un genio, come amavi definirti e poi, scoprire che ero più intelligente di te, ti aveva distrutto, era crollato il mito che avevi creato di te stesso. Quasi come nella fiaba di Biancaneve, dove la Regina, ad un certo punto, si sente rispondere dallo specchio che non lei la più bella del reame ma la figliastra e per tornare ad essere la più bella, progetta di uccidere Biancaneve ma non le riesce e per mia fortuna, tu non sei riuscito ad uccidermi.

Come Biancaneve, mi sono salvata!

Ora che sono la tua vedova come continuerà la mia vita?

Semplicemente andrà avanti come dal momento in cui ho chiuso la tua porta. Tu hai vissuto con la sensazione di aver lasciato qualcosa in sospeso, hai portato la mia vita nella tua, mio malgrado, salvando foto successive a quel giorno.

Ho inseguito i miei sogni e non lo hai digerito, forse è così, di certo posso dire che se fossi rimasta con te, sarei morta e sepolta da parecchio. La domanda che mi pongo e che ti pongo è questa: “ Cosa hai provato nello stesso momento in cui ti sei accorto di voler respirare ma l’aria non entrava nei polmoni?”

Io so cosa si prova, proprio grazie a te, ricordo ancora le tue mani strette intorno alla mia gola e urlavi: “Ti ammazzo, ti ammazzo!” Non so perché tu non abbia portato a termine il tuo intento ma se è vero che esiste un Karma, è stata la tua punizione per tutte le conseguenze che mi ha causato il tuo folle gesto. Non lo dirò, tanto sai bene di cosa parlo!
Prima che ti cremassero sono tornata a vedere il tuo volto, che ai più sembrava sempre uguale ma non a me, ho visto la serenità e una lacrima brillare e scivolare dall’occhio destro, mi sono tolta gli occhiali per guardare meglio e la lacrima era sparita.

Pentimento? Lo spero per te!

È vero, ti ho perdonato ma perdonare e tenersi tutto dentro non è facile, meglio buttare tutto fuori e andare avanti!

Prima di prendere il treno e tornarmene a casa, sono passata dal cimitero a salutarti e ti ho lasciato con la promessa di tornare e lo farò… io ho perdonato!

Clicca sul link qui sotto per leggere il mio articolo precedente:

Chicchi di libertà

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