Il mare per un siciliano è come il pane per un fornaio laborioso: egli è assuefatto fino alla punta dell’ultimo capello sulla nuca, ma si disorienterebbe, qualora subisse gli effetti dell’assenza forzata di fragranze familiari da respirare.
È come un padre a tratti burbero ed inquieto che, dopo un’intera notte trascorsa a fare a pugni con i sogni, regala al mattino docilità e carezze lievi.
È depositario di preghiere urlate sommessamente sotto le ali del maestrale, una cisterna mastodontica che non placa la sete spasmodica dell’umanità, un confidente discreto, un farabutto che dispensa illusioni di libertà, una prigione di cristallo, è ossigeno, è nostalgia.
E quando la barca traballante sosta con incertezza in prossimità della costa di Lampedusa, un siciliano sa di non essere meno confuso del fratello straniero che approda con le lacrime che azzannano la gola: assumiamo, con relativa consapevolezza, le sembianze di clandestini disincantati e soli, in queste dissennate profondità di negligenze, di disagi, di smanie e di disattenzioni.
Non anneghiamo, non ancora.
Siamo detentori di un abbozzo di branchie invisibile ed insondabile
Non annego neppure io, io che lo amai visceralmente e con tutto l’ardore del quale sono capace, ho mutato un sentimento palesemente positivo in innumerevoli e smaniose sensazioni di evasione.
Ed è proprio in virtù di cotanta insoddisfazione che, ahimè, sconto annualmente una pena che la maggior parte della gente che rientra nella cerchia delle mie conoscenze vorrebbe di buon grado condividere con la sottoscritta.
Quando l’estate comincia a sgomitare con sfacciata prepotenza e si lascia alle spalle le pregresse stagioni inaridite dalla sua tipica arsura, mi trasferisco nella mia abitazione estiva.
Vivo sulla spiaggia per tre mesi, a due centimetri dal mare, tanto che se mi affaccio dalla grande terrazza blu ho quasi la sensazione di potermi tuffare.
Un vero e proprio Paradiso terrestre, non è forse così?
Purtroppo, non per me.
Da qualche anno a questa parte, il mare si rende complice sarcastico dei miei troppi momenti nostalgici.
Il mio essere siciliana compie sovente un atto maldestro che va contro la stessa natura delle suddette origini, ma purtroppo non riesco ad apprezzare appieno quello di cui sono detentrice: un’ubicazione oggettivamente magnifica, che però non fa altro che alimentare il mio incontenibile desiderio di sorvolare su quel maledetto e nettissimo orizzonte.
La bellezza non ha mai solcato i varchi della felicità.
Una volta compii un lunghissimo viaggio per Messina, tutto in auto, come se la mia coscienza mi avesse palesemente chiesto di comprendere in che cosa consistesse realmente il vero limite di questa benedetta Sicilia.
Ad un certo punto mi ritrovai a tu per tu con il famoso stretto.
Fu proprio allora che mi resi veramente conto del fatto di essere in una condizione di prigionia, senza aver commesso nessuna colpa.
I limiti imposti dall’isola sono prodotti incontrastati di questo incredibile recipiente ricolmo d’acqua salata.
Eppure, chissà quanto fortemente mi mancherebbe, in verità, se solamente la sorte mi conducesse talmente lontano da non poterne più godere, seppur di malavoglia.
Il mare ha provocato in me una sorta di assuefazione matrigna ed inclemente, al pari di un farmaco efficace che con il tempo non sortisce più alcun effetto positivo.
A dire il vero, però, quest’oggi mi sono affacciata da quella famosa terrazza dalle inferriate blu.
Il sole picchiava con violenza sul mio volto un po’ stanco e sulle terse ed avvenenti acque, provocando una sorta di desueta iridiscenza trascendente sulla superficie cristallina, come se fosse trapunta da una sfolgorante coltre di stelle che m’avvinghiava saldamente alla magnificenza del creato.
Ho avuto la sensazione di essere sommersa dalla volta celeste, in piena notte, quando il mare non esiste più, perché assume le sembianze del cielo immenso che lo sovrasta.
Gli ho domandato perdono, mille e più volte.
È così perdutamente meraviglioso!
Quella perentoria malinconia non s’allontana, ma sono sempre più convinta che i miei occhi languidi siano il frutto di un esito congenito che non svanirà giammai dalla mia parvenza.
E forse, guardando l’orizzonte, prima o poi raggiungerò mio padre con lo sguardo.
Ho maturato la convinzione che mi stia ad osservare da là giù e che si stia burlando spudoratamente di me, emettendo sonore e grandissime risate.
“Ma pure per il mare devi avere problemi?“
È questo che mi direbbe il mio papà, al quale sempre premette la mia incondizionata serenità.
Non temere papà, sono siciliana!
È possibile che mi verrà da odiare ancora il mare.
E sai come lo odierò?
Lo odierò come un laborioso contadino odia spasmodicamente i necessari ed imprescindibili frutti del suo raccolto...
Lo odierò con tutto l’amore che posso…
Maria Cristina Adragna