Ritornare in un luogo in cui siamo stati felici è sempre un momento unico e irripetibile.
Se ci fosse uno scatto fotografico istantaneo ad immortalare l’espressione del nostro volto, non sono certa che sarebbe in grado di cogliere tutte quelle impressioni, quegli stati d’animo che si accavallano e si rincorrono colorati di mille sfumature, pronti a competere tra di loro per occupare un posto in prima fila nel nostro cuore.
Sorridono gli occhi, compiaciuti per lo spettacolo che si presenta dinnanzi a loro che, in fondo, non ha nulla di straordinario se non riportare in superficie le memorie del cuore.
Compiono una repentina panoramica nel tentativo di verificare, speranzosi ed anche timorosi, che tutto sia rimasto al suo posto.
Ma gli occhi ci sembrano già poco esaustivi. Infatti, superato l’impatto iniziale, si avverte l’esigenza di toccare, prendere contatto con tutto ciò che capita sotto lo sguardo. Bisogna possedere ogni cosa con le mani per avere la certezza che non sia mutata la forma o la consistenza e che l’antico profumo possa ancora assalire le nostre narici.
Ci sono momenti in cui quella frenesia sembra addirittura far perdere ogni connessione con la realtà.
Vorremmo che i luoghi della felicità rimanessero incontaminati, tenuti al riparo da tutto ciò che potrebbe far perdere loro la freschezza, la genuinità, la bellezza. Vorremmo, quindi, che la nostra mente avesse nei loro confronti il medesimo trasporto… sempre.
Però accade anche che, pur ritrovando ogni cosa al proprio posto, ci rendiamo conto che, ad essere cambiati, siamo proprio noi. Per diverse motivazioni non avvertiamo più la stessa disponibilità, per cui non ci lasciamo coinvolgere e trasportare… come accadeva un tempo.
Piera Messinese
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