Hammamet… L’Opinione di Vincenzo Fiore

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L’Opinione di Vincenzo Fiore

HAMMAMET

Un monumentale, uno stupefacente, quasi sconvolgente, anche per la parlata, Pierfrancesco Favino, ed un “Presidente” malato, sempre più consumato, in parte combattuto dal dubbio se tornare o meno nel suo Paese, lasciare la “sua” Hammamet e curarsi.

Curarsi da che?

Dal diabete o da quel “morbo diventato epidemia”, come gli scrive Vincenzo Sartori?

E chi avrebbe trovato in corsia per curarlo?

Un veterinario o un accalappiacani pronto a menarlo con il bastone per scacciarlo definitivamente da quella Chiesa in cui si era permesso di entrare?

Riflessioni, ricordi, desideri, rimpianti, confessioni, voglia di tramandare qualcosa di sé, accenni di politica, reminiscenze del vecchio uomo di potere, che girano e rigirano nella testa e sulla testa di un “Presidente” come “monetine raphaeline”, fissando quel mare che, a volte, gli fa intravedere l’Italia, ma non gli fa dimenticare il male che lo corrode giorno dopo giorno, ora dopo ora nella solitudine più cupa e tetra di quelli che potrebbero essere, e saranno,  gli ultimi giorni di vita del ”masnadiero di Radicofani”, “Ghinotto di Tacco”, detto “Ghino”.

 

Non il politico, non il leader di un partito, ma l’uomo diabetico che si concede gli ultimi vizi e sfizi della vita, forse le ultime prerogative di essere un umano: un piatto di pasta, dei dolci, l’ultimo abbraccio con il suo amore.

Tutto questo è “Hammamet” o c’è dell’altro?

C’è dell’altro, altrimenti frasi come:

“La democrazia ha un costo e la politica ha bisogno di soldi come la guerra di armi”…

“Lo sbatterebbero in cella e farebbero fondere la chiave”…

“Un’inchiesta giudiziaria che non funziona visto che secondo i magistrati tutti hanno preso soldi meno il principale partito dell’opposizione”…

Gianni Amelio non le avrebbe inserite nella sceneggiatura.

Cosa c’è?

Non è facile né dirlo né intuirlo.

Lo si può semplicemente supporre anche se lui nega e negherà sempre a mio avviso.

Hammamet, nonostante le sue evidenti e notevoli pecche, molte delle quali nascoste dietro l’ottima performance di  Favino, è il primo sasso, a vent’anni dalla  morte di Craxi, lanciato nello stagno per giungere a un giudizio storico oggettivo, privo di moralismo e giustizialismo su una personalità tanto bistrattata, odiata e complessa ma protagonista nel bene e nel male di una stagione politica che, forse, se diversamente interpretata anche dalla periferia amministrativa del Paese, sarebbe sfociata nella “socialdemocratizzazione” dell’Italia e magari non avremmo avuto “sovranismi” o “movimentismi vari”.

Hammamet è quindi un primo sasso per giungere a una rigenerazione del Socialismo Italiano in vista del centenario del Congresso di Livorno (15-21 gennaio 1921) con una proposta politica capace di sconvolgere gli attuali assetti?

Ne riparleremo di questi giorni, tra un anno!

Vincenzo Fiore

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Vincenzo Fiore
Sono Vincenzo Fiore, nato a Mariotto, borgo in provincia di Bari, il 10 dicembre 1948. Vivo tra Roma, dove risiedo, e Mariotto. Sposato con un figlio. Ho conseguito la maturità classica presso il liceo classico di Molfetta, mi sono laureato in Lettere Moderne presso l’Università di Bari con una tesi sullo scrittore peruviano, Carlos Castaneda. Dal 1982 sono iscritto all’Ordine dei Giornalisti, elenco Pubblicisti. Amo la Politica che mi ha visto fortemente e attivamente impegnato anche con incarichi nazionali, amo organizzare eventi, presentazioni di libri, estemporanee di pittura. Mi appassiona l’agricoltura e il mondo contadino. Amo stare tra la gente e con la gente, mi piace interpretare la realtà nelle sue profondità più nascoste. Amo definirmi uno degli ultimi romantici, che guarda “oltre” per cercare l’infinito e ricamare la speranza sulla tela del vivere, in quell’intreccio di passioni, profumi, gioie, dolori e ricordi che formano il tempo della vita. Nel novembre 2017 ho dato alle stampe la mia prima raccolta di pensieri, “inchiostro d’anima”; ho scritto alcune prefazioni e note critiche per libri di poesie. Sono socio di Accademia e scrivo per SCREPMagazine.

4 COMMENTS

  1. Il primo sasso lanciato dopo vent’anni nello stagno. Sembra quasi un volere chiedere scusa ai suoi comportamenti spesso ai limiti della derisione e della supponenza nei confronti di qualsiasi osasse mettersi di traverso ai suoi modi spicci e insofferenti verso ogni sua decisione. Certo un’analisi oggettiva su quello che è stato nel bene e nel male il craxismo sarebbe salutare per la politica italiana anche se dubito che ormai ci possa essere una sufficiente platea di persone disposte a capire cosa sia successo vent’anni fa. Nel suo essere socialista c’era molto livore proprio da quel lontano 1921 che tu adesso tiri in ballo come necessità di comprendere il suo modo di fare politica. Sicuramente un politico che se fosse stato più attento al suo modo di viverla quella politica sopra le righe che praticava contro quelli che considerava nemici, sarebbe sicuramente diventato un grande statista, la stoffa c’era ma le frasi a effetto pronunciate per schernire volutamente gli avversari non l’hanno certo aiutato. Poi quando ti auguri che questo sasso porti a una nuova ventata di socialdemocrazia, dubito che i giovani di adesso capiscano queste discussioni. L’ideologia politica ormai appartiene al secolo scorso adesso quello che vale, che conta, è l’ideologia del distruggere tutto senza neanche sapere perché e di questa situazione la colpa non è solo di Craxi ma di quelli che sono venuti dopo nella fu politica italiana…

    • È stato un primo sasso anche perché come tu ben sai, caro Francesco, la storia è molto lenta nel dare i suoi giudizi in quanto prima di avventurarsi vuole non avere accanto emozioni e sentimenti.
      Un primo sasso a cui si sono aggiunti i due libri di Claudio Martelli e Marcello Sorgi che tanto stanno facendo discutere.
      È indubbio al di là del suo carattere tosto, arrogante e determinato e di quanto accertato dalla giustizia che Craxi portò il socialismo verso la sua autonomia dalla rotta massimilista di Lombardi che lo voleva succube del PCI.
      Così come è indubbio che patì gli schiaffoni delle multinazionali che non riuscivano a vincere gare in Italia forse per la difesa strenua che il Presidente adoperava nei confronti delle imprese italiane, così come patì la battaglia contro certi poteri forti tutti asserragliati intorno alla Democrazia Cristiana.
      In ogni caso con le dovute differenze, ovvio sono tante, il caso Moro e il caso Craxi hanno tante verità ancora negate.
      Sono due casi che vanno ad aggiungersi ai tanti misteri della nostra Repubblica e della nostra democrazia incompiuta.
      Ti confesso una cosa: il mio rammarico è quello di non averlo conosciuto e di non poter dare un giudizio più diretto.
      Avrei potuto se l’on. Michele Di Giesi non avesse rinunciato al Ministero delle Regioni assegnatogli nel primo governo Craxi.
      In ogni caso aspettiamo in serena attesa il giudizio della storia e l’iniziativa annunciata da sua figlia del Presidente Mattarella…
      Grazie per il tuo commento…

  2. W il Socialismo; abbasso, invece, il PSI di Craxi/Teardo ( Genova ) e nipotini vari di periferia… : dei morti, infine, sia concesso – almeno – il diritto all’obblio.

    ” Ei fu. (…) ” – Il Cinque Maggio / di Alessandro Manzoni –

    M. DI GIUSEPPE

    • Al riguardo Francesco Rossa, direttore editoriale di Civico20News scrive:

      In questi mesi la saggistica e alcuni noti studiosi hanno rievocato gli anni della prima repubblica, soffermandosi su aspetti anche personali del leader socialista scomparso.

      Riteniamo che non siano ancora maturi i tempi per venire a capo di ogni aspetto che ha portato alla ribalta l’ostracismo per Craxi eletto ad olocausto nella stagione del giustizialismo scatenato ad arte nella “Stagione di Tangentopoli” Si auspicano indispensabili approfondimenti che gli studiosi della politica dovranno ancora compiere per fornire risposte motivate alle nuove generazioni.

      Nei fatti, con l’uscita di scena di Craxi, è stata cancellata la prima repubblica con un golpe degno del peggior regime, in quanto tutti i partiti politici, al di fuori del Partito comunista italiano sono stati azzerati.

      Comunque la si pensi, quale che sia il giudizio sull’uomo politico, sul governante, sullo statista, sul difensore dei diritti dei popoli, sul nazionalista, bisogna ammettere che Craxi ha interpretato il suo impegno politico come una missione nella quale le ragioni del socialismo si coniugavano con quelle della nazione.

      Craxi ha amato la politica forse più di se stesso. E si è assunto la responsabilità davanti al Paese e in nome e per conto di tutti, di quanto veniva imputato ai partiti. Il famoso discorso alla Camera pronunciato il 29 aprile del 1993, in uno stato di coma pietoso da parte dei colleghi che lo ascoltavano, resta un documento di assoluto rilievo morale e politico. Craxi parlava del futuro, dell’Europa, chiedeva a quella classe dirigente di dare una fine politica alla Prima Repubblica.

      Qual è l’eredità monca di Craxi, o meglio l’indicazione che ci ha lasciato?

      Per rispondere in modo compiuto dovremo riferirci, seppur brevemente alla storia dei movimenti Socialisti in Italia, sempre oggetto di scissioni, dal 1921 sino ai nostri giorni. Ed all’interno del movimento, l’eterna contrapposizione tra riformisti e massimalisti. Craxi era il portatore del socialismo riformista di Treves e di Turati, non disgiunto dalla democrazia, rimasto quasi sempre soccombente per circa 50 anni. In ogni scritto ed azione ha manifestato l’indipendenza rispetto al partito Comunista; ha tolto la falce e il martello dal simbolo del suo partito, sostituendolo con un garofano rosso e l’ha pagata cara.

      Negli anni 70 del secolo scorso, l’Italia che stava crescendo, presentava, come palla al piede, una classe politica litigiosa e volta al passato, ove statalismo e meridionalismo accattone, mal si conciliavano con il progresso.

      Per essere al pari delle nazioni più progredite, il Paese necessitava di una guida dai lunghi orizzonti e la battaglia del nenniano Craxi è stata costellata dall’impegno di emarginare i vecchi massimalisti all’interno del PSI, scegliendo una politica coraggiosa di Riforme, in armonia a quanto i socialisti in Spagna con Gonzales ed in Portogallo con Soares cercavano d’impostare, riscattando i loro paesi dai retaggi delle dittature.

      Ciò che lo ispirava era la consapevolezza che solo un realistico riformismo avrebbe potuto permettere all’Italia di giocare il ruolo che le competeva in campo internazionale e che solo l’efficienza della sua forma istituzionale avrebbe potuto consentire di superare le tante paralisi che ne facevano un paese quasi incomprensibile all’estero nella sua bizzarra complessità. Che si parli di riforma istituzionale, di forma dei partiti, di debito pubblico, di piccole imprese, di ruolo del sindacato, di pari opportunità o di duello a sinistra sull’Unione Sovietica è difficile prescindere dalle coraggiose intuizioni del craxismo.

      Purtroppo questo piano, per le molte ostilità incontrate, da parte dei comunisti in primis, dei cattocomunisti all’interno della Democrazia Cristiana e di altri interessi d’oltreoceano ( le conseguenze di Sigonella)non ha potuto portarsi a compimento.

      Nel modo peggiore. Non bastava che Craxi fosse estromesso dalla politica, come per molti altri leader, era invece necessario martirizzarlo nel fisico, sino a negargli le cure indispensabili per continuare a vivere.

      Senza discostarci dal percorso riformista, per evidenziare l’autorevolezza del personaggio, merita un inciso su quanto accadde alla base militare di Sigonella, in Sicilia.

      Nell’ottobre del 1985, a Sigonella Craxi sfidò gli Stati Uniti ordinando ai carabinieri di circondare gli uomini della Delta Force che volevano catturare e portare in America i terroristi sequestratori dell’Achille Lauro.

      Secondo Martelli “non fu una provocazione: fu un gesto sovrano – regale – per affermare la sovranità italiana in terra italiana, un gesto inconcepibile per tutti i predecessori e successori di Craxi a Palazzo Chigi. L’impatto simbolico fu enorme e la scossa politica così forte da destabilizzare lo stesso governo”. Quando il caso giunse in Parlamento tutti si aspettavano che Craxi, per superare la crisi, moderasse, smussasse, sopisse toni, spigoli e argomenti, invece fece un discorso che non lasciò scampo: o l’applaudivi o l’attaccavi. Rivendicò per intero la linea di condotta seguita per liberare la nave e i novecento uomini e donne sequestrati dal commando palestinese, rivendicò la trattativa con Mubarak e l’atto di supremazia compiuto a Sigonella.

      Il mancato compimento dell’indirizzo riformista, analizzato dopo oltre vent’anni, ci ha portato ai risultati che oggi in particolare riscontriamo.

      Dopo l’uscita di scena di Craxi, La Democrazia Cristina guidata da Mino Martinazzoli, il peggior leader che il partito di maggioranza relativa abbia mai eletto, si accodò alle tesi del segretario comunista Achille Occhetto e, se fosse riuscito vincitore alle elezioni, avrebbe causato già allora la crisi dello stato di diritto, anticipando, ahimè, lo squallore dei nostri giorni.

      La sinistra che aveva lanciato contro Bettino le monetine ed aizzato la folla, non è stata in grado di cogliere l’elemento distintivo di una politica di sviluppo e di crescita. Guidata da leader modesti si è ripiegata su se stessa con i risultati che oggi sono sotto gli occhi di tutti.

      Dopo vent’anni, nonostante la parentesi Berlusconiana, limitata nel portare avanti una politica di riforme, dalla difesa delle burocrazie corrotte e parassitarie e dal meridionalismo peloso di Fini e Casini, siamo un Paese che non ha saputo fare i conti coni grandi mutamenti avvenuti nel mondo, dalla globalizzazione, all’impegno nella ricerca scientifica e per l’innovazione, all’affronto consapevole dei flussi migratori, al dialogo con le potenze emergenti ed abbiamo perso progressivamente la considerazioni delle maggiori nazioni.

      “Craxi, sostiene Martelli, cercò di superare il sistema consociativo che, fra pochi meriti, costituiva oramai un ostacolo al ricambio politico e un peso crescente per le finanze pubbliche, alimentando anche i costi legali e illegali della politica…Il disegno riformista di Craxi, conclude l’ex delfino del leader scomparso, trovò un ostacolo insormontabile oltre che nel PCI, anche nell’aggregare le forze dei partiti laici, andando incontro alla crisi del sistema politico al momento del crollo del Muro di Berlino.

      Crisi culminata con l’esplosione di Tangentopoli che travolse il sistema dei partiti di governo e il PSI che ne era uno dei pilastri subì la diaspora socialista. Da quegli anni cominciarono anche il declino della politica, dell’economia e delle istituzioni repubblicane.

      Come saggiamente disse Rino Formica: “Lui non era un nazional sovranista. Era un sovranista europeo. Puntava alle entità istituzionali sovranazionali, con un forte rispetto delle ragioni dei singoli Stati”.

      Craxi voleva il presidenzialismo, come chiave delle riforme ed oggi assistiamo ad un governicchio che si attacca ad ogni codicillo per impedirlo e allontanare il confronto elettorale, per tacere l’isolamento che genera l’inesistenza di una politica estera degna dell’Italia, paese crocevia nel mediterraneo.

      Craxi, come sostiene a ragione Stefania Craxi,” lascia un’eredità a un intero Paese. Aveva una modernità, una visione del futuro impressionante, eppure era un uomo dell’Ottocento: nel 2000, alla fine del Novecento, è stato capace di rinunciare alla vita per difendere le sue idee”.

      Dovremo tornare su questi argomenti e sulla figura ed il disegno politico di Craxi in particolare. Intanto stiamo affondiamo nel “particulare”, nell’ignoranza elevata a simbolo e sistema, da un manipolo di cialtroni che rende sempre di più l’aria putrida di questo Paese, votato ormai alla deriva.

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