In tempo di coronavirus, esistono parole che sono ripetute in modo quasi abituale, durante l’intera giornata.
Tali vocaboli, prima poco usati,ora hanno una parte predominante nelle notizie d’informazione, donando spesso disagio, a noi confinati, tra le mura di casa.
Il termine “confinamento” trova il suo collocamento nel dizionario dal diciassettesimo secolo.
Da questo vocabolo, viene coniato il termine “confinare” chiudere dentro i confini.
I “confini” – cum finis – uno spazio che finisce dando origine ad un altro spazio.
Oggi i nostri confini sono i muri delle nostre abitazioni, lo spazio che ci separa, gli uni dagli altri.
Cosi i “confini” sono stati delineati anche fuori, regolando le distanze fisiche e proteggendoci dall’eventuale contagio del virus, con mascherine e guanti.
Provati da queste disposizioni che alzano barriere di disagio e solitudine, questi vocaboli
sono entrati ormai nel lessico abituale quotidiano.
MURI
Non volo più
immobile rimango.
Non volo più
anima e mente bloccate.
Gli aquiloni
da lontano guardo
e dal vento sulla veranda
lascio che mi scompigli
i miei lunghi capelli.
Non volo più
e le emozioni dentro
urlano forte.
Muri e barriere
non sanno rinchiudermi,
luminosi spiragli
a donare speranze.
Ma oggi ancora
non volo più
e giorno dopo giorno
un malinconico declino.
Perdo me stessa
non mi ritrovo
Antonella Ariosto