“siamo in guerra”
le opinioni-riflessioni del Paese Italia
La pandemia di COVID-19 sempre più rappresentata con il ricorso alla metafora della guerra.
Il COVID-19: un nemico da abbattere, da affrontare mettendo in campo una notevole potenza bellica e di fuoco e tenendo in trincea medici, infermieri, addetti alle pulizie…
E la frase “siamo in guerra” diventa un mantra: lo lancia il 16 marzo scorso il Presidente francese Emmanuel Macron, gli fa eco Boris Johnson affermando che «dobbiamo agire come ogni governo in tempo di guerra », lo riprende con maggiore forza Mario Draghi, ex presidente della Banca Centrale Europea, con un articolo pubblicato sul Financial Times il 26 marzo dal titolo “Siamo in guerra contro il coronavirus e dobbiamo mobilitarci di conseguenza”, lo ritroviamo in quasi tutti i commenti e gli stati di Facebook.
E il “siamo in guerra” da mantra sanitario diventa mantra economico quando parlando di riconversione industriale di alcune aziende del tessile e non solo, che si sono messe a produrre mascherine, si fa riferimento alla economia di guerra post prima guerra mondiale e post seconda.
Sino a giungere a rivivere quanto accadeva ai tempi della seconda guerra mondiale quando la gente per abbattere e alleviare il disagio economico, sfamarsi era costretta a impegnare i gioielli di famiglia con la fila delle persone a Torino davanti al Monte dei Pegni di Via Botero, come abbiamo potuto apprendere dal quotidiano La Stampa, a Palermo come abbiamo appreso dal TG1, per non parlare di quanta gente cerca di rovistare nei cassonetti situati nei pressi di qualche venditore di frutta e verdura e di quanta gente è stata costretta a rivolgersi ai Comuni per poter avere il buono della spesa.
Con un aumento del 30/50% in più di accessi al Monte dei Pegni ad ascoltare il direttore del credito su pegno della banca Carige, Giovanni Tomatis.
E per lo più, sostiene Tomatis, sono persone che non si erano mai rivolti prima d’ora al banco dei pegni.
Economia di guerra, povertà di guerra, appunto!
Salvatore Tassari di Bitonto, 47 anni, Cloud & Computing System Manager, Tim S.p.A.
Che sciagura ci è capitata.
Un cataclisma che lascia intatto il nostro “ambiente” e devasta i nostri corpi.
Un terremoto che colpisce, uno tsunami che sbaraglia i mattoni di cui sono fatti i nostri polmoni, i nostri cuori … e che ha creato, nella sola Lombardia, più vittime di quanto sia stata capace di mieterne la Seconda Guerra Mondiale.
Nemmeno nei film.
Una sciagura che ha fermato e bloccato qualsiasi tipo di rapporto sociale.
E quanto ancora oggi, in modo ridotto, funziona, opera in contesti spettrali: città, fabbriche, uffici spopolati.
“Andrà tutto bene” è il leit motiv che scimmiottiamo (a ragione), mentre perdiamo persone a noi carissime.
“Occorre pensare ad un mondo diverso” è la sintesi di chiunque, a vario titolo, opera sui tavoli decisionali chiamati ad invertire l’azione e le conseguenze di questo assassino invisibile che ha sconvolto le nostre esistenze e ci ha reclusi a vivere in casa.
E lo straordinario è diventato “ordinarietà”: smartworking, DaD (Didattica a distanza), riunioni familiari a distanza, social network usati, anche ma non solo per fini essenziali: continuare a volersi bene, a far sì che i rapporti umani non cessino ma perdurino.
Quella che era un’utopia (ma diventata, poi, distopia) in innumerevoli opere letterarie e cinematografiche è cruda realtà, con una incisiva differenza tra i giornalisti televisivi di oggi e Aldous Huxley, per esempio, autore de “ll mondo nuovo”, romanzo di fantascienza scritto nel 1932: la seria e fondata preoccupazione per la pandemia che ci ha colpiti, nelle cronache di oggi, ed il distacco del romanziere britannico nell’illustrare quel mondo basato sull’automazione, sul controllo del pensiero e distante dalle barbarie dei secoli precedenti, da lui immaginato.
I libri di Storia sono farciti di pagine nelle quali l’umanità è stata affetta da epidemie e non occorre andare indietro nei secoli.
Pensiamo alla ‘spagnola’ del XX secolo, ieri. Almeno sembra soltanto ieri, perché nel frattempo i passi compiuti dall’Uomo, in ogni campo, sono così marcati, da ritenere che tra la ‘spagnola’ ed il ‘covid-19’ intercorrano… secoli.
Che sciagura ci è capitata!
La natura ‘perversa’ e imprevedibile ci ha colpito con uragani, carestie, terremoti o al massimo con tsunami… ci siamo messi sempre tutto alle spalle, perché la tecnologia e le mille risorse dell’Uomo hanno permesso di superare tutto e … amen per quanti ci hanno rimesso la pelle.
La razionalità dell’Uomo considera anche le perdite umane.
“Andrà tutto bene” ha il sapore di questa razionalità che qualcuno ha, in un primo momento, cercato di imporre attraverso il concetto di “immunità di gregge” pur di non vedersi costretto a chiudere tutti i battenti, il lockdown.
Ci siamo basati troppo sulla forza e sulla spinta della nostra razionalità distanziandoci troppo dal nostro essere “animali “seppur sociali e, flebilmente, ne avevamo contezza ancor prima che ci piovesse dal cielo il “covid-19”.
Non ci è capitata nessuna sciagura, dunque!
Ce la siamo cercata.
L’abbiamo attesa.
Ci siamo dissociati completamente dal quadro naturale dal quale proveniamo (siamo animali – seppur sociali) e ci siamo arroccati in uno schema di pura razionalità (l’uomo invincibile dinanzi alla natura per mano progresso).
Se la razionalità si fonda sullo sviluppo della mente, della ragione e dell’intelletto che hanno permesso l’incredibile sviluppo tecnologico, medico e scientifico (e…sociale, no?) – un controllo apparentemente assoluto sulla ‘natura’ – ci siamo allontanati dall’istinto umano, dalle pulsioni interiori, dal cuore.
Ci siamo dissociati completamente dall’Homo con la clava e siamo diventati interlocutori di freddi smartphone e bacheche virtuali.
Abbiamo, alla vigilia dell’invasione del “covid-19”, intuito che qualcosa non andava, ma continuavamo imperterriti ad allontanarci dall’essenza di istinti umani, tutti rifugiati all’interno di un cuore che ormai batteva in pochi o in tutti ma solo per qualche minuto al giorno.
Il mondo “post-covid19” dovrà vederci differenziati da quello che ho definito ‘Homo’ con la clava, ma non dissociato da esso.
L’economia non aveva più fondi per fronteggiare i problemi dell’ecologia, della povertà, della sperequazione sociale… il ‘covid19’ ha reso possibile investimenti, da parte dei Paesi tutti, inimmaginabili.
Il fine?
È tornare ad una razionalità sempre più marcata, dopo che magari si sarà messo a punto un vaccino, o ad una dimensione umana più equilibrata che renda l’Essere Umano consapevole dei propri limiti?
Ci siamo costruiti una sciagura nel momento in cui abbiamo reso questo pianeta un villaggio, privo
di frontiere e limiti, ma abbiamo perso il rispetto, per i nostri limiti umani.
E il dramma è che non esistono i super eroi come nei film o nei romanzi o nelle leggende.
O forse lo sono i medici o gli infermieri in quanto hanno operato con la razionalità della loro scienza, ma anche con le radici salde nei loro cuori di Esseri Umani.
Saremmo eroici, dunque, noi tutti Esseri Umani, se sapessimo differenziarci dal passato senza calpestarlo, pur continuando a progredire, in ogni disciplina, in ogni branca del sapere, in ogni ambito sociale.
Questa è la sfida per il futuro, questa è la vera sfida a noi stessi
Antonina Giordano di Roma, giornalista economico (volutamente non ha affrontato il tema nelle ricadute fiscal-monetarie-finanziarie)
Giunta olimpicamente allo stadio terminale della quarantena targata di fase 1 (come etichettata dagli esperti della diacronica prospettica della fisicità delle misure antiCovid-19) ritengo maturo il momento per espiare la peggiore manchevolezza di cui potessi rendermi rea al tempo del Coronavirus: non aver sottoscritto finora un commento di merito, qualche nota minimale ovvero articolata in summa con velleità paraccademica possibilmente strutturata in puntate da allocare su un social, massimo alveo di divulgazione, notoriamente acclarato dall’universo dei lettori fast.
Un cortese invito ad esprimermi nel fatale istante in cui mi determinavo ad emendare il mio silenzio – già in odore di proscrizione da parte dei miei vetero-amici – mi spinge alla vergatura di qualche mia riflessione di contesto.
Preciso che trattasi di mera riflessione di contesto per chiarire che è frutto di un approccio relativistico, seppure ponderato a lume di innumerevoli fonti (scritte e non) come son avvezza a fare, per deformazione professionale.
Nelle settimane che precedono questo oggi mi hanno particolarmente incuriosita talune fenomenologie antropologiche presenti allo stato diffuso nell’ambito delle info-virus, bacino di elevatissima radicalizzazione e diffusione di comunicazioni nonché di comunicatori.
Che il virus sfugga ancora oggi ad una certificazione identitaria compiuta credo che sia patrimonio di comune sapere.
Eppure, fin dal suo esordio in terreno patrio un generalizzato approccio assolutistico alla descrizione della sua genesi e alla prognosi della sua nemesi ha fatto divampare sciami di informazioni promuovendo in campo varia umanità quali “notiziatori in forza di non ben chiare doti di elaborazione di dati”, di competenze diagnostiche e, in qualche caso fortunatamente non esponenziale, cabalistiche tali da far impallidire la più accreditata pleiade di futurologi.
Le conseguenze di tale versatile informazione di matrice atecnica non meritano commenti oltre la semplice enumerazione degli attributi: inattendibile, spesso inutile, confusa, addizionata di commenti emotivi, strumentale alla critica di fatti o persone senza contrapposizione di valide ragioni ovvero di propositività e nei casi di virulenza notiziale, purtroppo, anche contraddittoria nel palese passare da affermazioni eccessivamente rassicuranti (quali la certa remissione del Covid-19 con il sopraggiungere dei primi caldi in forza della sua assimilazione all’ influenza stagionale) a raccomandazioni apocalittiche connesse all’ineluttabile radicamento del virus.
Medesimo approccio assolutistico non ha risparmiato anche buona parte della comunità scientifica balzata improvvisamente sotto le luci della ribalta mediatica.
A fronte del silenzio in cui un esercito composto da ricercatori, virologi, epidemiologi e personale sanitario è impegnato per salvare vite umane con grande dedizione e professionalità senza le munizioni adeguate alla lotta, con ritmi a prova di sostenibilità fisica in tutt’altro fronte, ma pur sempre medico, il pendolo ha oscillato e continua ad oscillare dall’evocazione delle peste di manzoniana memoria alla duttile adesione alle schizofrenie della politica di palazzo, fisiologicamente ed endemicamente proclive alle giustificazioni assolutistiche di partito.
Per compiutezza d’esposizione (come gergalmente si dice) mi limito semplicemente a citare le fake news, molte risibili, tante mostruose nei contenuti e nelle immagini, in cui le ineffabili entità che le diramano trovano evidente motivo per compiacere il proprio senso dell’esistere.
A mio avviso le fenomenologie comportamentali che dominano l’attuale patrimonio della diffusione della conoscenza che, senza alcuna pretesa definitoria, oserei qualificare come un’autentica infodemia, meriterebbero una seria valutazione dal punto di vista antropologico perché esprimono evidenze da interpretare in chiave antropologica.
Concludo con un’ultima riflessione che, a differenza della precedente, può strappare qualche sorriso in chi apprezza l’ironia.
Calcando il palcoscenico mediatico è comprensibile che possa produrre compiacimento il consenso registrato nel pubblico dei followers, anzi può addirittura essere motivo per perseverare seppure badando di non vendere l’anima a derive narcisistiche.
I divulgatori per professione conoscono bene quali sono i limiti e i pericoli in agguato e sanno che l’antidoto alla beceraggine sta nell’affidarsi sempre alla attendibilità delle fonti oltre che alla propria competenza/esperienza maturata in campo.
Ebbene, mai come in questo periodo nella divulgazione si affastellano migrazioni professionali verso settori diversi da quello di appartenenza: lo statistico formula diagnosi, l’urologo si trasforma in virologo, l’internista in esperto di protezione civile, il giornalista si lancia nella prognosi da contagio fino a scivolare nelle comparazioni con realtà territoriali ed etniche per diffondere prontuari di benessere fai da te.
Tutto ciò sempre nell’ordine delle fluttuanza notiziale in precedenza descritta.
L’infodemia planetaria non ha, fortunatamente, contagiato i bambini, i soli che hanno comunicato il loro pensiero con coerenza espressiva: sui loro striscioni colorati hanno affidato a un sole splendente e a un arcobaleno l’auspicio che “Andrà tutto bene”.
Maria Zingales di Milano, 54 anni, addetta alla reception in una palestra, ora chiusa
Alla fine, la vita ci stupirà. Come è sempre stato, come ha sempre fatto.
Sarà la fine di un incubo e il ritorno del sereno.
Sarà un nuovo mattino e un’altra luce nel cuore. Il sole sorge sempre…
Anonima
La situazione in Italia è incredibile, non c’è chiarezza.
il Parlamento è assente e la povertà aumenta, i morti con il COVIT-19 sono sempre tantissimi, ma non venendo fatte autopsie mi chiedo se i decessi sono attribuibili solo al coronavirus o ad altre patologie.
Un dato che non ci viene detto in quanto le salme vengono cremate. Perché tutto ciò ?
Siamo chiusi in casa da circa due mesi e questa realtà può portare a traumi, per molti, anche gravi.
Non voglio pensare, anche se il dubbio alberga in me, che si nascondono grossi interessi economici.
Ci sono stati ritardi nella comunicazione.
Già dalla fine di gennaio si sapeva del virus e non si è pensato a incominciare a prendere le relative contromisure…come l’acquisto dei DPI, dei respiratori e del potenziamento delle terapie intensive.
Il nulla, decreti soltanto, qualcuno anticostituzionale, promesse di aiuti monetari che si sono scontrati con le maglie strette della burocrazia, e ora l’idea di una applicazione per tracciarci e controllarci…
Ma questo è uno stato democratico o siamo in dittatura?
E gli italiani?
Zitti e silenziosi, in attesa degli aiuti europei!
Occorre svegliarsi gente…se non vogliamo essere come la Cina!
Mariagrazia Armeni di Ragusa, 58 anni, impiegata
Su questo momento tragico per l’Italia e il mondo intero, mi sento di fare anch’io una riflessione. Sono un “Soggetto a Rischio”, ho sentito in questi quaranta giorni e più, non so quante volte questa definizione.
Sono una malata di cancro, che lotta giorno per giorno per sconfiggere questo male, che mi porto dentro da qualche anno.
Ho capito da subito quanto grave fosse la situazione in Italia, e in seguito nel mondo, quando mi è stato chiesto di non uscire di casa, anche avendo bisogno di cure ospedaliere.
Una guerra, spietata, immane, una falce sta mietendo una generazione che per noi è stata RADICI e STORIA.
E con loro centinaia di medici, infermieri e non solo.
Tanti di loro lottano per aiutare in questa emergenza.
Chi, cosa ha provocato tutto ciò, da cosa è scaturito, da dove è venuto fuori, tantissime ipotesi, e tante menzogne.
UOMO che vivi su un pianeta meraviglioso, non sei tu a decidere e comandare…
La TERRA, madre di tutti noi, che ci ha accolti e abbracciati sta cercando di dirci qualcosa.
Spero che presto possa finire questo “inferno” dove tante anime innocenti hanno perso la vita… Saremo capaci di vivere?
Di rispettare e rispettarci?
C’è voluto un mostro a fare capire al mondo che siamo piccoli esseri viventi su un pianeta meraviglioso?
Spero basti per i nostri figli e i nostri nipoti a cui va in eredità un mondo malato siamo stati partecipi in tutto.
Questa la mia riflessione, Vincenzo…
Do, come vedi, la colpa all’uomo in generale, la colpa di quello che sta accadendo…
Ci sarebbe tanto da dire poi su tutto…
Dal governo all’Europa… e tanto altro.
Sono stata sempre in prima fila per quanto riguarda i diritti dei cittadini…
Anch’io, però, ho dovuto fermare il mio cammino e curarmi.
Teresa Esposito di Castellammare di Stabia, 56 anni, docente di scuola primaria
Il rumore del silenzio
Ascolto il rumore del silenzio
Muta
non pronuncio parole
In questo un grigiore di vita
Che lentamente m’assale
M’avvolge nella tristezza
Vedo intorno solo morte
Di fratelli morti in solitudine
Vedo gli Angeli Custodi, che con cura
Alla sofferenza tolgono chiodi
Sono attorno ai contagiati
Per levare la Lancia di Longino
Quella del Destino
Che trafisse il costato di Cristo Crocefisso.
Sono Eroi di verde speranza
Tutti mascherati contro il male
Mentre l’Uomo in tunica bianca
Perdona l’umano e prega Iddio
Che faccia scomparire la pandemia
Un sogno surreale
Una visione irreale
Una storia che rimarrà nella storia
Dio abbi pietà dei figli tuoi!
Sono giorni ormai che sono ingabbiata come un criceto, sono tanti giorni, sono circa due mesi; la mia prigionia d’oro la chiamano “Quarantena”.
Si vive senza vita, è una vita finta, mi sento una stranita, una imbambolata, perché non voglio pensare, non voglio sentire, e molto di più, faccio finta che non sia vero.
Non è vero che in giro c’è un virus, che tutti chiamano COVID-19, che entra nei nostri corpi in modo silenzioso, subdolo, che uccide in massa le nostre generazioni.
No, non voglio credere che stiano morendo tante persone, che una generazione sia scomparsa, non voglio credere che la guerra, combattuta dagli operatori sanitari, dai medici in prima linea, sia una guerra lunga e devastante.
Il nemico ci ha costretti a barricarci nelle nostre case, a lasciare il mondo fuori dalle nostre porte. Ci ha tolto le nostre piccole cose.
Non si lavora, non si va nei locali affollati, non si può passeggiare, né correre nei prati, ci ha sottratto ogni piccola abitudine.
Io non posso abbracciare i miei nipotini, mi mancano!
È un’atroce guerra, è una interminabile guerra!
Ogni giorno ti leggono il bollettino dei morti, dei contagiati.
Ogni giorno vedo immagini di bare trasportate ai forni crematori dai camion dei soldati.
Vedo solo morte!
Le nostre vite sono in ostaggio della paura del Coronavirus, non si parla d’altro oggi, lui detta legge: “Io vi soffoco, entro nei vostri polmoni e vi tolgo l’aria, fino a farvi soffocare”.
“Che infame! Sei un piccolo-minuscolo- virus- ignobile, sei infernale, hai messo il Mondo in ginocchio, ti odio!”.
Per colpa sua, non vedo i miei alunni, i miei figli, che anche loro sono in quarantena, ma in un’altra città, le mie amiche con le quali uscivo e mi divertivo.
Non scrivo più poesie, mi sento svuotata, non riesco più a parlare con la mia anima, ho le emozioni chiuse in gabbia, sono anche loro in quarantena con me.
Ma la primavera è arrivata, sento il tepore e il profumo del risveglio, e mentre la vita dorme, la Terra si è risvegliata, la natura è più vivida e pura di prima.
L’ aria ora è respirabile, ma non possiamo respirarla, indossiamo mascherine.
Sembriamo tutti attori di un film di fantascienza.
Io sembro una marziana, occhiali, mascherina e guanti.
Sono allergica al tessuto delle mascherine, non sopporto indossarle, allora non vorrei uscire neanche a fare la spesa, vorrei restare a casa, ma non posso.
Odio questo maledetto virus, mi ha imprigionata nella paura.
Lo temo.
Ma l’estate è vicina e la quarantena spero che stia per terminare, non so se riusciremo a riprenderci le nostre piccole abitudini, ma di certo, non saremo più quelli di prima.
Francesco Danieletto di Sambruson di Dolo, 71 anni, pensionato
Scrivo a malincuore queste poche righe sapendo di entrare, mio malgrado, nel pentolone della politica e in quell’indegno spettacolo che ci sta offrendo in questi giorni.
Una volta le contrapposizioni erano ideologiche: cattolici, comunisti, socialisti, per citare i più conosciuti.
L’ideologia dava la certezza che il politico di quella tal parte una volta eletto in Parlamento portasse a termine un programma già tacitamente scritto dall’ideologia medesima.
La pratica del quotidiano con tutti i suoi relativi problemi era data per scontata.
Oggi, con i media colpevoli non solo di dare visibilità ai politici di turno ma di cercarne anche per se stessi, ci troviamo di fronte a dichiarazioni fatte ad arte per accontentare quella parte di popolo che, nel 90% dei casi, non si preoccupa della concretezza delle cose ma solo della battuta ad effetto.
Ecco quindi che se dici bianco oggi, domani sarà nero, se vuoi più soldi devi darli subito senza se e senza ma: il problema deve essere risolto subito anche se ciò è impossibile.
Prendiamo ad esempio la situazione attuale.
Questa bestia di subdolo virus ha costretto il mondo intero a rivedere l’impianto sociale quotidiano: comunque e in ogni caso bisogna farlo, ormai alle vecchie abitudini non si torna.
C’è un “povero Cristo” al governo di questo paese, che, per sua sfortuna, non è un politico anche se ormai lo sta diventando suo malgrado e che, pur avendo la possibilità di marciare spedito, visti i tempi e le necessità, si ritrova bloccato da veti ingiustificabili.
Il mondo scientifico, cui è stata data ampia possibilità di diagnosi, vuole la prudenza più assoluta, dall’altra l’industria chiede di rimettere in moto l’economia, le famiglie, i vecchi, i giovani, stanchi di rimanere chiusi in casa: in pratica una polveriera.
Hanno tutti ragione e si arriverà sicuramente a una risoluzione soddisfacente per tutti…
Purtroppo c’è un terzo incomodo, i politici!
Non la politica, intendiamoci, perché la politica del buonsenso avrebbe sicuramente avuto ragione ma quei politici che offrono uno spettacolo indegno di se stessi e del mondo cui appartengono. Ormai si bloccano anche le più elementari ipotesi di lavoro solo per il gusto di mettere in difficoltà chi è al comando o addirittura pensando già a chi potrà essere il successore.
La conseguenza è che, in Europa e non solo, siamo diventati la barzelletta quotidiana, quando provano disprezzo nei nostri confronti.
Ai tanti che dicono ci ricorderemo al momento del voto, voglio dire che è ben vana e vaga speranza.
Quando sarà il momento molti, moltissimi voteranno chi offrirà a parole la speranza più immediata e soprattutto chi insulterà di più e gratuitamente l’avversario.
Per quanto riguarda il virus, dal mio punto di vista tre sono le cose essenziali da fare o da mettere in cantiere subito, politici permettendo.
Circoscriverlo e bloccarlo, come si sta facendo, magari con più determinazione.
Bloccare la nefasta idea di riaprire tutto e subito, bar, ristoranti, spiagge e chi più ne ha più ne metta.
Non hanno ancora capito questi signori che ormai la stagione turistica è andata e che per un anno dovranno fare a meno dei lauti anche se sudati guadagni.
Terzo predisporre un piano scientifico all’altezza della situazione in modo da non trovarci impreparati a una sua probabile recrudescenza: quindi ritorno della centralità dello Stato e, per quanto mi riguarda, scioglimento delle regioni che giudico ormai un carrozzone dove tutti mangiano anche senza invito.
Il Coronavirus che ci ha portato a questa situazione non deve essere governato e risolto con il metodo politico del sottogoverno, dei ricatti, “io ti do, tu mi dai”, “blocco la maggioranza togliendo voti se non mi accontenti”. E via dicendo.
C’è una persona al comando?
Lasciamola lavorare, risponderà lui in prima persona delle sue azioni, non è tempo di crisi di governo, non possiamo permettercelo assolutamente.
Abbiamo bisogno di soldi, l’Italia ne ha bisogno e non possiamo permetterci il lusso di dettare condizioni, possiamo solo cercare quelle migliori per non affondare miseramente.
La nave fa acqua da tutte le parti, dobbiamo solo cercare un porto tranquillo dove attraccare e riparare i danni che anni e anni di malcostume, di veri saccheggi finanziari hanno arrecato a questo povero Paese.
C’è bisogno di una nuova classe dirigente e su questo sono d’accordo ma non gettiamo via anche quei pochi che hanno fatto con scrupolo e coscienza il loro lavoro e soprattutto selezioniamo la classe dirigente per capacità, onestà, voglia di fare.
Abbiamo un Parlamento pieno di analfabeti, messi lì per compiacere il potente di turno e al suo diretto servizio, tanto paga Pantalone.
E con questo termino l’angolo politico con una piccola appendice sul famigerato virus che ci sta mettendo in ginocchio.
Inutile aspettarsi una rapida conclusione del problema, quindi un ritorno alla precedente normalità.
Bisogna che ogni individuo si faccia una nuova normalità nella quale rimettere in discussione non tanto i valori sociali, quelli spero siano ormai codificati, quanto i comportamenti individuali precedenti.
Ci eravamo abituati che dalla casa piena zeppa di tecnologia, al lavoro, al convivere sociale, alla famiglia stessa, tutto veniva pianificato con un clic.
Non serviva neanche più pensare: era tutto già predisposto, calcolato, organizzato.
La moglie che cucina pasti robotizzati, i figli che vivono in una dimensione spaziale pronti a prendere il volo verso chissà quali fantastiche mete.
Il lavoro forsennato per acquistare tutto e di più e poter dimostrare il proprio status sociale. Ritorniamo con i piedi per terra, cerchiamo di vedere il bicchiere mezzo pieno in tutta questa drammatica situazione.
Chi ha capito con la clausura forzata ed è ritornato alla misura sociale che esisteva una volta, sicuramente nel secolo scorso ma non tanti anni fa, se colui che sta scrivendo a 71 anni appena compiuti si ricorda di tutt’altra concezione di rapporti umani specie dopo una guerra devastante, decisamente ha imboccato la strada giusta.
Chi invece sta alla finestra aspettando “la magia impossibile” per far tornare tutto a quella anomala normalità cui era abituato si sta scavando la fossa.
Il ‘900 ha visto tante rivoluzioni risolte in maniera tragica come sono tutte le rivoluzioni.
Facciamone una volta tanto una tranquilla, silenziosa, magari non ne vedremo gli effetti nell’immediato ma regaleremo ai giovani una società nuova e un futuro migliore.
Almeno questo glielo dobbiamo.
Un futuro migliore che non sarà facile costruire anche perché non si potrà vivere in tranquillità almeno sino a quando la scienza non ci avrà regalato il vaccino e anche per i gravissimi danni che, nel frattempo, avrà subito l’economia con i suoi vari comparti industriali.
E i giovani, quelli tra i 25 e i 35 anni, saranno i più colpiti in quanto vedranno allungarsi i tempi del loro inserimento nel mondo del lavoro e tutto complicarsi.
Ecco perché bisogna mettere mano il prima possibile a un piano innovativo di ricostruzione economica che metta al centro i giovani e faccia ripartire il Paese con una marcia diversa da quella innescata all’indomani della crisi del 2008 e con l’animo che il Paese Italia ha tirato sempre fuori all’indomani delle alluvioni, dei terremoti e della stessa II Guerra Mondiale.
… a cura di Vincenzo Fiore
Sarà bastato questa guerra (pandemia) che ha provocato il covid19 in tutto il mondo a far capire a noi uomini quanto é bello il nostro pianeta? e cercare di rimediare ai nostri molteplici errori? riusciranno i nostri politici a portarci fuori da questa crisi economica?
Tanti dubbi attraversano la mia mente….
Spes ultima dea, dicevano i latini, caro Pasquale…