Roberto Carlotto, un nome che ha attraversato decenni di musica italiana e internazionale, è un artista che non ha mai smesso di reinventarsi.
Conosciuto anche con una varietà di pseudonimi – Charlott, Otto Karl, Robert Stahel, e soprattutto Hunka Munka – la sua carriera è un racconto affascinante di passione, sperimentazione e resilienza.
Fin da bambino, Carlotto respirava musica. A soli sei anni imbracciava la fisarmonica, strumento che presto lasciò per il pianoforte, iniziando un percorso che lo avrebbe portato ben oltre i confini dell’Italia.
Gli anni ’60 esplosero come una fucina di talenti, e Carlotto non tardò a farsi notare, prima con i “Big 66” e poi con “I Cuccioli”. Ma la sua curiosità lo spinse oltre, verso la scena musicale svizzera, collaborando con gruppi d’avanguardia come gli Underground, i Night Birds e i Sauterelles.
Fu lì che iniziò ad assaporare il respiro internazionale, fino a varcare la soglia del leggendario Marquee Club di Londra, il tempio della musica underground. Fu proprio su quel palco che ebbe l’occasione di incontrare i grandi del rock progressivo, aprendo i concerti di band come i Colosseum, gli Yes e gli Uriah Heep.
Ma la sua vita non era solo musica. C’era anche il cielo. I piccoli aerei erano la sua seconda grande passione, ma fu proprio un volo che rischiò di interrompere la sua carriera musicale.
Un incidente gli costò una grave ferita alla mano, impedendogli di suonare per mesi. Sembrava la fine, ma Roberto non era tipo da arrendersi. Con una forza di volontà incrollabile, tornò a suonare, e molti sostengono che, dopo quell’incidente, il suo talento si sia ulteriormente affinato.
Tornato in Italia, il suo cammino si incrociò con quello dell’Anonima Sound e di Ivan Graziani, in una collaborazione che arricchì la scena musicale italiana. Ma fu come Hunka Munka che Roberto Carlotto iniziò a farsi un nome nel panorama del rock progressivo. I suoi concerti erano delle vere e proprie sinfonie elettroniche, dove, grazie a un arsenale di strumenti tecnologicamente avanzati – organi Hammond, Mellotron, sintetizzatori e persino rudimentali batterie elettroniche – riusciva a creare atmosfere uniche, degne delle grandi orchestre. Il suo set-up era imponente: un tir di 20 metri trasportava tutta la sua attrezzatura, un dettaglio che rendeva i suoi spettacoli monumentali, specialmente per quegli anni.
Gli anni ’70 segnarono un altro importante capitolo nella vita di Roberto: l’ingresso nei Dik Dik. Con loro, Carlotto raggiunse le vette delle classifiche con il brano “Piccola mia”, partecipando al Festival di Saint Vincent e confermando il suo talento in un contesto più pop, senza però mai abbandonare la sua anima rock.
Dopo l’esperienza nei Dik Dik, iniziò una proficua collaborazione con Alberto Radius della Formula 3, partecipando all’album “Carta Straccia” e continuando a esplorare nuovi territori sonori.
Negli anni successivi, Carlotto non si fermò mai. La sua sete di sperimentazione lo portò a collaborare con la cantante inglese Norma Green, con la quale incise un disco prodotto da Radio Luxembourg, e negli anni ’80 formò un duo con l’ex batterista dei Dik Dik, Nunzio Favia, conosciuto come Cucciolo. Insieme, e con l’ampliamento della band, continuarono a far vivere la magia del rock degli anni ’70 nei loro concerti.
Nonostante il passare del tempo, Carlotto continuò a essere un protagonista della scena musicale.
Le sua sete di sperimentazione lo portò a collaborare con gli Analogy-Earth-Bound, una delle band più influenti del rock progressivo tedesco.
Uno dei momenti più significativi di questa collaborazione si svolse in Italia, con un concerto a Lamezia Terme, dove Carlotto si esibí da protagonista insieme alla band.
Questo evento è ancora ricordato con grande emozione, soprattutto perché da quella performance nacque il vinile ed il CD live ” Konzert”, un album che cattura tutta la potenza e la profondità del suo stile. Ancora oggi, quel concerto è un riferimento per gli appassionati di rock progressivo
Negli ultimi anni, la sua collaborazione con il tastierista Joey Mauro ha segnato un ritorno alle origini prog di Hunka Munka, con il vinile “Foreste Interstellari”, un album che mescola sperimentazione e memoria.
Nonostante una carriera lunga e piena di successi, Roberto Carlotto ha sempre guardato avanti, pubblicando negli anni più recenti due nuovi album: “Ho preso a schiaffi il mio cuore” e “Semplicemente R. Carlotto”, entrambi testimonianza di un artista che non ha mai smesso di evolversi.
È proprio di recente, il 20 ottobre al Teatro Michelangelo di Modena, il mitico Roberto Carlotto è tornato protagonista in occasione del Festival “Via Emilia – La strada dei cantautori”.
Organizzato dall’Associazione Concertistica “Carmina et Cantica”, sotto la direzione artistica del soprano Beatrice Bianco, il festival è stato dedicato a cantautori e giovani talenti emergenti.
Durante la serata, che ha visto le performance dei 14 finalisti, il pubblico ha avuto l’onore di assistere ad un momento speciale: la consegna di un prestigioso premio alla carriera a Roberto Carlotto, già membro dei Dik Dik, in riconoscimento della sua lunga e straordinaria carriera musicale.
Questa è solo una parte del viaggio artistico di Roberto Carlotto, un uomo che ha fatto della musica la sua vita, attraversando epoche e stili, restando sempre fedele a se stesso e alla sua inesauribile voglia di creare. La sua storia è un pezzo fondamentale della musica italiana e internazionale, un esempio di come il talento e la passione possano superare qualsiasi ostacolo, trasformando la vita in un’opera d’arte.
Roberto Carlotto ha sempre vissuto la musica come una forza in grado di trascendere il quotidiano, di sollevare lo spirito oltre le difficoltà e le sfide della vita. Un uomo che, dopo ogni caduta, ha saputo rialzarsi più forte di prima, spinto da una passione incrollabile per l’arte.
E proprio con le sue parole, si potrebbe chiudere questo viaggio attraverso la sua straordinaria carriera: “La musica e il canto aiutano ad uscire dalle bruttezze che ci circondano e a volare, metaforicamente, nell’azzurro del cielo.”
Un pensiero che racchiude tutta la filosofia di un artista capace di trasformare le note in ali, per se stesso e per chi lo ascolta, portando con sé l’immensità di quel cielo azzurro dove ogni sogno può prendere il volo.
Anna Maria Esposito