L’opinione
di
Vincenzo Fiore
La politica e i giovani
Disimpegno e sfiducia verso la politica risuonano come un imperativo categorico nel mondo giovanile, se è vero com’è vero che il 30% dei giovani tra i 18 e i 34 anni e il 50% tra i 14 e i 18 non partecipa ad alcuna attività politica, ritenendola inutile e incapace di raccogliere le istanze giovanili e trasformarle in cambiamento.
“Da cosa dipende tutto questo?”, chiedo a un trentenne che mi passa accanto, mentre, seduto sulla panchina di Piazza Roma di Mariotto, un mini borgo della Città Metropolitana di Bari, scrivo questa mia opinione.
“Da un sentimento di reciproca diffidenza tra l’attuale classe politica e le giovani generazioni!”, mi risponde secco, salutandomi, senza darmi la possibilità di aprire alcuna discussione.
Tutto questo è la netta conseguenza di programmi partitici senza idee, zeppi di luoghi comuni, senza grinta e senza alcuna forza attrattiva per le giovani generazioni, assolutamente privi di proposte coinvolgenti e nuove.
Frasi fatte, trite e ritrite, senza alcun belletto di novità attraenti.
Il nulla o quasi!
Ed ecco la disaffezione, ecco l’impatto negativo sull’affluenza al voto in costante calo, senza la benché minima analisi del perché e del per come, se non la solita “dispiacenza di facciata“, senza alcuna seria e profonda analisi sociologica per poter impostare un programma mirato al recupero dell’elettorato giovanile.
Sembra che, ai Partiti o Movimenti che siano, la fuga dalle urne piaccia, tanto è vero che la spesa pubblica italiana dedica il 37-40% al sistema pensionistico e solamente l’8% alla ricerca e all’istruzione.
Un disastro!
Manca agli uffici studi dei Partiti il sentimento della necessità di scrivere l’agenda di un confronto sistematico con le giovani generazioni per la costruzione delle linee guida del futuro e per abbattere la marcata individualizzazione del percorso di vita del mondo giovanile.
Si campa alla giornata, punto e basta!
Si vogliono i giovani, si lancia qualche sporadico appello in loro favore, ma solo per averli come soggetti passivi.
Non li si vuole come protagonisti attivi nella partecipazione politica per poter mettere in campo proposte innovative, che possano aiutare il nostro Paese a non giocare sempre in difesa e possano mettere al centro dell’azione il pallone della centralità di una politica avvincente per i giovani.
La politica non capisce, la politica fa l’orecchio del mercante e non ascolta il grido di dolore che si leva dal mondo giovanile, che vuol dare il proprio contributo per la crescita e il miglioramento reciproco.
I due mondi, invece, dovrebbero incontrarsi, dovrebbero contaminarsi reciprocamente, dovrebbero partecipare insieme, e a pari condizioni, al tavolo della preparazione del futuro, al tavolo del dialogo per una partecipazione attiva utile a una maggiore coesione sociale e incentivazione a occuparsi di Politica.
I giovani vanno stimolati per incanalarli gradualmente verso la partecipazione attiva e preparare le giuste ed idonee competenze, motivazioni ed opportunità per il loro inserimento nei gangli decisionali della Politica e del sistema Paese e farli diventare sempre più cittadini europei e protagonisti della vita democratica.
Ecco perché è necessario lanciare al mondo giovanile non segnali di fumo o di fanfaluche, ma segnali concreti della necessità che torni ad occuparsi di Politica per dare prestigio alla stessa e trasformare la forza e l’entusiasmo giovanili in efficiente e partecipata vigoria politica, per far sì che si possa comprendere quanto sia necessaria ed essenziale la Politica per la vita del cittadino.
E’ necessario pertanto che i giovani escano dal paradosso dell’importanza della Politica e della sua disaffezione e facciano vincere la consapevolezza della necessità dell’impegno alla Politica, senza ritenerla promotrice e ispiratrice di degrado morale.
Solo la partecipazione può garantire la completa emancipazione dell’uomo-cittadino, e non il contrario: ovvero l’isolarsi nel privato e lasciare ai pochi i meccanismi delle decisioni e della costruzione del futuro.
Non si può più lasciare ai pochi il futuro, i partiti devono assolutamente aprirsi, scendere per le strade, costruire non nel chiuso delle proprie stanze tattiche e strategie, ma raccordarsi con la gente ed uscire dalle logiche del potere per il potere che a malapena servono al vivere giorno per giorno, in quanto prive di qualsiasi progettualità e di qualsiasi sogno.
Si deve incominciare dall’eliminare il muro della distanza psicologica tra i cittadini e le istituzioni, tra il governo e i cittadini, tra gli eletti-nominati e gli elettori.
Bisogna far sì che la Politica non sia una proprietà privata, ma che abbia piena e assoluta legittimazione da parte di tutti i cittadini e non dei pochi.
La Politica, in conclusione, deve tornare ad essere un fatto globale, deve tornare ad essere il sogno di una realtà realizzabile nel tempo della storia e non della cronaca.
La Politica deve tornare ad arroventare i cuori dei cittadini, degli elettori con la forza della passione e dell’utopia.
In altri termini, come immagina Weber, il punto di equilibrio tra i valori del potere e quelli dell’utopia.
Vincenzo Fiore
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