Sappiamo quel che siamo ma non quello che potremmo essere.
(Hamlet ) William Shakespeare
Harold Bloom, uno dei più importanti critici americani, citando Shakespeare lo definisce come “il creatore della personalità così come la definiamo noi moderni”; soprattutto Amleto rappresenterebbe “l’invenzione dell’umano “, segnando la nascita dell’uomo moderno.
Questa idea, richiamandosi a Omero, Platone e Aristotele tra i classici, dà l’immagine potente dell’Io di oggi che è Caos interiore, conflitto morale, confusione continua di pensieri.
L’uomo di Shakespeare in generale si pone sempre a dialogare con sé stesso, in un turbinio di congetture, dilemmi esistenziali, conflitti profondi che mettono a dura prova il suo stesso equilibrio interiore.
Tutto appare com’è in un gioco di parti che può in realtà significare tutto il contrario.
La ”maschera amletica” gioca continuamente tra finzione e realtà e rappresenta un unico grande personaggio che attraversa tutta la grande opera shakespeariana.
In chiave comica, seria o religiosa che sia, inserita in una tragedia o in una commedia leggera, che abbia abiti maschili o femminili, essa rappresenta l’espressione perfetta di quella serie di contrapposizioni che sono la base del teatro di Shakespeare: pazzia/saggezza, vita/sogno, vita/teatro, io/altro, beffa/verità.
Amleto ne è la rappresentazione più riuscita proprio perché tutto centrato sul suo personaggio principale, sul suo Io, sui suoi monologhi insistenti, sul suo analizzarsi come dinanzi ad uno specchio.
Il gusto dell’invenzione, della bugia, della finzione qui è espresso in un gioco di ruoli continuo e la maschera è indossata in un modo che prevarica a volte la vita vera. Amleto inventa la propria vita, la “rappresenta” diremmo, si distacca dalla realtà vera isolandosi dagli altri a cui nega un vero contatto. E le persone che nutrono per lui un sentimento (tra cui la povera Ofelia) non riusciranno più a comunicare veramente con lui e verranno ferocemente sacrificate in nome della maschera. La “messa in scena “ da lui ideata diventa intrigo e la manipolazione rischia di sfuggire al limite e a trasformarsi in ossessione. Il famoso “villain” (intrigante) shakespeariano (che domina tutta la drammaturgia dello scrittore) in Amleto è il personaggio principale e, mentre nelle altre opere agisce per orchestrare qualche intrigo a danno di altri , qui agisce per se stesso e perché disconosce una realtà che disprezza: indossando la maschera l’Io si distacca da un “altrove” che non riconosce e lo commenta con ironia sprezzante.
Questa opposizione viene espressa con un linguaggio potente che è uno dei tratti distintivi della scrittura di Shakespeare: ricchissimo, articolato, anticipatore, poetico e teatrale allo stesso tempo, anche il linguaggio di questo grande scrittore fu una delle più importanti innovazioni da lui introdotte: non ci sono schemi ma un’assoluta libertà strutturale attraverso cui la maschera trova ampio respiro di espressione.
Amleto afferma tutto e il contrario di tutto, gioca con le parole come gioca con le persone e le parole sono meri strumenti per rappresentare la sua “illusoria realtà”.
“L’essere o non essere” amletico diventa l’emblema allegorico di un gioco di ruoli, di cui la frase iniziale di Ofelia esprime tutta la drammatica essenza: a parlare non è più lei, è la sua follia, la sua maschera, il suo Io sgretolato, fatto a pezzi dalla finzione che ha trascinato tutti; non c’è più spazio per la sola verità, è una verità che si è tramutata in finzione e viceversa, è una terrificante beffa che si protrae fino alla fine, mentre la maschera di Amleto, l’Io , l’attore-uomo, mette in scena l’illusione.