Affettività e disabilità

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Una carezza soltanto una carezza… sentirsi, conoscere il calore di un contatto, vivere il sesso, tutto ciò che appare ad un “normodotato” come ovvio e scontato, per le persone con disabilità motoria e/o psichica è una preclusione, un qualcosa di impossibile.

Vi è pertanto un diffuso tabù che impone il silenzio su ciò che è naturale e necessario per tutti gli uomini, si grida talvolta allo scandalo chiudendosi nei propri pregiudizi e con molti stereotipi.

La ricerca del sesso e dell’affettività per un “normodotato” non desta nessuno scandalo o scalpore talvolta nemmeno se si tratta di sesso a pagamento.

Ma se è un disabile a manifestare l’esigenza di una carezza,  ecco il problema.

Come se il mondo intero credesse che perdere un arto, vivere in carrozzina significhi essere privi di pulsioni, istinti e desideri.

Niente di più sbagliato.

E così si sentono storie di madri che pur di soddisfare le fisiologiche necessità del figlio disabile superano limiti che non spetterebbe a loro superare.

In molti altri casi, si fa finta di nulla, si sceglie di ignorare.

Ma come si può ritenere poco importante negare  ad una persona la possibilità di provare piacere?

Che il sesso faccia parte dei diritti umani è ciò di cui sono convinti alcuni comuni della Gran Bretagna che hanno sfruttato i soldi del programma di Governo Nazionale “Putting People First” (Prima la Gente), per pagare rapporti sessuali con prostitute o visite a locali di lap dance, il tutto destinato a ragazzi disabili.

Uno di questi comuni ha finanziato una vacanza ad Amsterdam ad un giovane di 21 anni affetto da ritardi di apprendimento, consentendogli di avere il suo primo rapporto sessuale.

“E’ stato a due corsi di salute sessuale e coscienza sessuale ed in sostanza vuole provare di cosa si tratta” – ha spiegato un assistente sociale al Daily Mirror – ” Le ragazze ad Amsterdam sono molto più protette di quelle sulle strade Britanniche, lasciamolo divertire”- ha detto ancora – “rifiutargli questo, sarebbe una violazione dei suoi diritti umani”.

Le polemiche oltremanica ovviamente non sono tardate ad arrivare anche qui in Italia, ma il caso del ragazzo è solo la punta di un iceberg.

Il governo Britannico ha stanziato ben 520 milioni di sterline per tali servizi tra viaggi nel mediterraneo, prestazioni sessuali, chat ed ogni forma di contatto. In UK richiedere una prestazione sessuale a pagamento non è reato; lo stanziamento dei fondi destinato ai comuni prevede nel piano assistenziale piena libertà economica e di azione agli assistenti sociali caso per caso.

In Italia si stenta a legiferare su tali Disegni di Legge, uno dei quali prevede, fra l’altro, l’istituzione di una figura professionale “Sex assistant” (Disegno di Legge n. 1442 del 2014) recante il titolo “Disposizioni in materia di sessualità assistita per persone con disabilità”, frutto di un comitato in materia costituitosi addirittura nel lontano Gennaio del 2014.  Sono passati ben 6 anni e forse altri ancora ne passeranno…

Si può anche afferire che se nel biennio 2013/14 il tema è stato oggetto di dibattiti, nel biennio 2015/16 si sono programmate attività e proposte di azione; le associazioni UILDM (unione italiana lotta alla distrofia muscolare), FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) AIAS (Associazione Italiana Assistenza Spastici), propongono convegni, campagne di sensibilizzazione al fine di far si che in Italia si possa eguagliare gli standart europei.

Parte la battaglia di Max Uliveri. In un’intervista al quotidiano La Stampa del 10/03/2016 Uliveri racconta: “la parte più frustrante per l’approccio alla sfera sessuale per un disabile è la mancanza di intimità”. Sue le parole: “Quando un giovane vuole praticare autoerotismo si chiude a chiave in bagno o in stanza, io non potevo farlo perché le mani erano funzionanti ma non riuscivo a gestire una serratura. Senza contare il fattore prettamente igienico, chi mi avrebbe potuto pulire?”.

Un passaggio complicato e sofferto, quello che molti disabili vivono anche in maniera drammatica, coloro che sono affetti da disturbi mentali, collocati in comunità affollate dove l’intimità non è concepibile.   Coloro che sono in custodia a casa, e non riescono a chiedere aiuto ad un familiare per pudore o vergogna.

Fino a situazioni penosissime ove madri devono personalmente soddisfare il desiderio fisico del figlio che non può in alcun modo placare pulsioni.

L’assistente sessuale non è una prostituta o un gigolò, bisognerebbe levare anche questo tabù e condividere le battaglie di Max e di quanti come lui lottano per un diritto civile.

Ed il diritto dovrebbe correre anche questa volta al passo con i tempi dell’evoluzione sociale.

Simona Bagnato

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