Addio Made in Italy

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Il marchio italiano piace a tutti e a far gola non sono solo le marche di moda, ma tutti i settori: quanti (e quali) brand sono passati in mani straniere?

Negli ultimi 20 anni si è allungata la lista di aziende Made in Italy acquisite da holding finanziarie asiatiche o multinazionali straniere. Nessun settore è stato risparmiato, dal lusso al food.

Una delle acquisizioni in “epoca Covid” è, infatti, un brand del lusso, Sergio Rossi, storico marchio del calzaturiero famoso nel mondo, il quale ha ceduto alle lusinghe del gruppo finanziario cinese Fosun.

Dopo un 2020 particolarmente difficile, l’azienda italiana ha chiuso in perdita, un motivo più che sufficiente per accettare la proposta cinese, che ha avuto la meglio su un altro brand italiano, Piquadro, pronto all’acquisizione. Probabilmente, il portafoglio cinese era “molto più pieno”.

Le aziende italiane, simbolo di qualità ed eccellenza nel mondo, sono quindi diventate per le multinazionali straniere come i prodotti del supermercato in offerta: sempre appetibili.

A partire dagli anni Duemila gruppi industriali di Cina e Hong Kong hanno investito in Italia una cifra intorno ai 16,2 miliardi di euro. Il Belpaese è terzo nella classifica europea, come meta di investimenti.

E in questo “accaparramento generale fanno da padroni” i cinesi…in era pre-Covid, nel 2019, erano quasi settecento le imprese italiane controllate da trecento gruppi cinesi o di Hong Kong: un’escalation che affonda le sue radici nella storia recente, ed ha già un suo passato importante, di almeno 20 anni. Un fenomeno acuito dalla globalizzazione e dalla manodopera che nei paesi asiatici ha costi nettamente inferiori, rendendo difficile – quando non impossibile – una competizione ormai non più confinata all’interno del Vecchio continente, l’Europa, ma divenuta planetaria.

I settori industriali in cui i cinesi hanno investito di più dal 2008 sono chimica (48,8 miliardi di dollari), energia (25,9 miliardi), immobiliare (23,9 miliardi), miniere e attività estrattive (23,1 miliardi), internet e software (15,1 miliardi), automotive (14,8 miliardi) e finanza (14,3 miliardi). Ma soprattutto i grandi acquisitori della Cina puntano ad assorbire anche l’unicità delle imprese italiane, quel know how che ha fatto la differenza dei brand italiani, riconosciuti per il loro valore…e nel frattempo riempiono il “Bel Paese” di store ad ogni angolo, anche il più remoto.

Ma facciamo una panoramica…

Fiorucci, Versace e i gelati Motta. Negli ultimi anni sono state diverse le aziende del Made in Italy a essere rilevate da compagnie straniere. Il marchio italiano piace a tutti e a far gola non sono solo le marche di moda, ma tutti i settori. Dall’alimentare all’energia, i migliori “pezzi” italiani vengono arpionati e trascinati in acque straniere.

Facciamo il punto su tutti i “gioielli tricolore ormai perduti”.

Alta Moda e Lusso

Uno dei brand più in voga tra gli anni ’70 e gli anni ’90 è Fiorucci, fondata a Milano da Elio Fiorucci nel 1967. Nel 1990 viene rilevata dalla Edwin International, società giapponese di abbigliamento con diversi marchi di proprietà e licenza, poi dalla Itochu Corporation e infine dagli inglesi di Schaeffer. Le collezioni di Krizia sono invece passate a Marisfrolg Fashion Co. Non solo moda. Alle aziende straniere piacciono molto anche gli yacht. Quelli Ferretti sono di proprietà di Shandong Heavy Industry-Weichai Group.

Grande scorpacciata per il fondo francese Kering, che ha acquistato Gucci, Bottega Veneta, Pomellato, Dodo, Brioni e Richard Ginori. Dal 2012, la maison Valentino è nelle mani di Mayhoola Investments mentre Ferrè è passato nelle mani del Paris Group di Dubai. Anche La Rinascente appartiene alla compagnia thailandese Central Group of Companies. Tra i casi che ha tenuto alta l’attenzione degli italiani, c’è quello di Versace il cui brand è stato venduto allo stilista americano Michael Kors per la bellezza di 2 miliardi di dollari. L’altro grande colosso francese della moda, LVMH, è diventato proprietario di Loro Piana, Fendi, Emilio Pucci e Bulgari.

La giapponese Itochu Corporation ha fatto suoi altri marchi italiani come Mila Schon, Conbipel, Sergio Tacchini, Belfe e Lario, Mandarina Duck, Coccinelle, Safilo, Ferrè , Miss Sixty-Energie, Lumberjack e Valentino S.p.A. Quasi tutte queste aziende sono state poi rivendute sempre ad aziende straniere.

Anche l’Italia, seppur non con la stessa voracità, ha però acquistato un’azienda francese, la MONCLER, che dal 2003 è di proprietà dell’italiano Remo Ruffini…e meno male!

Cibo

Galbani, Locatelli, Invernizzi e Cademartori sono di Lactalis, acquirente della Parmalat nel luglio del 2011, mentre gli oli Cirio-Bertolli-De Rica sono passati nel 1993 alla Unilever, che poi li ha ceduti nel 2008 alla spagnola Deoleo, già titolare di Carapelli, Sasso e Frioil. Anche l’Eridania Italia, società leader nel settore zucchero italiano, è passata poi in mani francesi.

La Birra Peroni, comprendente i marchi Peroni e Nastro Azzurro, è stata fagocitata dal colosso giapponese Asahi Breweries, mentre la Star, proprietaria di diversi marchi come Pummarò, Sogni d’oro, GranRagù Star, è stata acquistata dalla spagnola Gallina Blanca del Gruppo Agrolimen.

Finanza

Anche in termini economici e finanziari, sono molte le società straniere che stanno fagocitando quelle italiane. Nel 2006, il gruppo Bnp Paribas acquisisce Bnl. Nel 2007, Credit Agricole prende il controllo delle banche Cariparma e Banca Popolare FriulAdria. Sempre nello stesso anno, Generali accetta l’offerta di Groupama per l’acquisto del 100% di Nuova Tirrena per 1,25 miliardi di euro. Anche Unicredit ha venduto Pioneer ad Amundi per un valore di 3,5 miliardi di euro.

Industria

Nell’industria, Italcementi è stata acquisita da HeidelbergCement. A Pirelli invece tocca andare in Cina. ChemChina è infatti il nuovo socio. A settembre 2016 la francese Suez ha acquisito parte di Acea mentre Magneti Marelli passa ai giapponesi di Calsonic Kansei.

Thales Alenia Space è il principale operatore satellitare in Europa e vanta oltre 50 anni di esperienza nella costruzione di sistemi e apparecchiature per le telecomunicazioni, l’osservazione della Terra, l’esplorazione e la navigazione spaziale, la gestione ambientale, la scienza e le infrastrutture orbitali.

Anche Thales Alenia Space è per il 67% di proprietà dei francesi di Thales e solo per il 33% della italiana Leonardo. E Taranto? Attualmente la gestione di Acciaierie d’Italia è in mano a rappresentanti di ArcelorMittal, in quanto azionista di maggioranza…ma sappiamo come sta andando…

Energia

In campo energetico, Edison ha piegato la bandiera tricolore a favore di un’altra, quella francese.

Trasporti

Nell’industria dei treni, il made in Italy non esiste più. La Fiat Ferroviaria è controllata da Alstom. AnsaldoBreda è stata invece venduta alla giapponese Hitachi da parte di Finmeccanica. Non è diverso per gli aerei, Etihad ha acquisito per tre anni Alitalia mentre la Piaggio Aerospace è dal 2014 in mano agli arabi di Mubadala. Per Lamborghini, invece la nuova casa è in Germania dove il padrone di casa è il Gruppo tedesco Volkswagen.I l 21 dicembre 2020 l’Unione europea approva la fusione tra le due società.

E poi le assemblee degli azionisti di PSA e FCA il 4 gennaio 2021 hanno deliberato la fusione tra le due società che, da questa data, diventa una sola con il nome di Stellantis. La fusione è diventata effettiva il 16 gennaio 2021. Chi sono i proprietari della Stellantis? Il gruppo PSA, praticamente “francese”,  è l’azionista principale e controllante, con il 46,34% delle azioni.

Nata dalla fusione tra i gruppi Fiat Chrysler Automobiles e PSA, la società ha sede legale ad Amsterdam, sede operativa a Hoofddorp e controlla quattordici marchi automobilistici: Abarth, Alfa Romeo, Chrysler, Citroën, Dodge, DS Automobiles, FIAT, Jeep, Lancia, Maserati, Opel, Peugeot, Ram Trucks e Vauxhall.

Calcio

Con la cessione al fondo statunitense 777 Partners, il primo club d’Italia per anno di fondazione, il Genoa, è anche l’ultimo in ordine di tempo a passare a un proprietario straniero. Tramite questa operazione, gli Stati Uniti consolidano il ruolo di principale Paese estero investitore nel calcio italiano. Infatti, sono ben 6 i club di Serie A in mano a proprietari statunitensi, per una quota pari al 30%. In questo senso, il Genoa ha seguito l’esempio di Roma (di proprietà della famiglia Friedkin), Milan (in mano alla Elliott Management Corporation), Fiorentina (del Presidente Commisso dal 2019), Venezia (passata da Tacopina a Niederauer) e Spezia (di Robert Platek). Seguono Cina e Canada, entrambe con una squadra di proprietà: rispettivamente Inter (del Gruppo Suning) e Bologna (di Joey Saputo). A conti fatti, l’Italia resta il paese più rappresentato in questa speciale mappa, con 12 proprietari stranieri su 20 squadre (il 60%).

Ecco un rapido elenco:  Bologna: Canada, Fiorentina: Stati Uniti, Genoa: Stati Uniti, Inter: Cina, Milan: Stati Uniti, Roma: Stati Uniti, Spezia: Stati Uniti, Venezia: Stati Uniti.

Appare allora evidente che l’Italia non ha una politica di tutela del “made in Italy” e men che meno industriale e che la classe politica è disarmata o incapace di fronte ad un espatrio che sta spolpando il prestigio italiano del ‘900, secolo che vide sorgere colossi autorevoli e famosi nel mondo.

Per non parlare delle Banche il cui coinvolgimento a sostegno della Impresa Italiana è praticamente nullo, nel migliore dei casi “insignificante”.

L’intraprendenza italiana del XX secolo, i sacrifici enormi di inizio secolo scorso, l’inventiva imprenditoriale dopo la guerra, la struttura intera di un Paese che era tra i primi al mondo in tutti i settori… svanita, vediamo evaporare il nostro prestigio. Quando una nazione non si tutela in nessun modo dai “conquistatori”, mette a rischio anche milioni di posti di lavoro e miliardi di euro che saranno liberi di spostarsi da una scatola societaria ad un’altra in vari continenti.

Considero pessimo lo storico menefreghismo del nostro Stato e di tutti i governi, i quali assistono scrollando le spalle, addirittura elogiando molte di queste operazioni.

Pur rispettando il libero mercato, chi scrive dà più rilievo ai valori morali che agli interessi di “spregiudicati conquistadores” siano essi cinesi o “qatarioti, qatariani, qatarini” che si dica…e il MADE IN ITALY è di certo un valore anche etico-morale!

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