“Di un’altra voce sarà la paura”
Il 31,5% delle 16-70enni (6 milioni 788 mila) ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale: il 20,2% (4 milioni 353 mila) ha subìto violenza fisica, il 21% (4 milioni 520 mila) violenza sessuale, il 5,4% (1 milione 157 mila) le forme più gravi della violenza sessuale come lo stupro (652 mila) e il tentato stupro (746 mila).
Ha subìto violenze fisiche o sessuali da partner o ex partner il 13,6% delle donne (2 milioni 800 mila), in particolare il 5,2% (855 mila) da partner attuale e il 18,9% (2 milioni 44 mila) dall’ex partner. La maggior parte delle donne che avevano un partner violento in passato lo hanno lasciato proprio a causa delle violenza subita (68,6%). In particolare, per il 41,7% è stata la causa principale per interrompere la relazione, per il 26,8% è stato un elemento importante della decisione.
Il 24,7% delle donne ha subìto almeno una violenza fisica o sessuale da parte di uomini non partner: il 13,2% da estranei e il 13% da persone conosciute. In particolare, il 6,3% da conoscenti, il 3% da amici, il 2,6% da parenti e il 2,5% da colleghi di lavoro.
Le donne subiscono minacce (12,3%), sono spintonate o strattonate (11,5%), sono oggetto di schiaffi, calci, pugni e morsi (7,3%). Altre volte sono colpite con oggetti che possono fare male (6,1%). Meno frequenti le forme più gravi come il tentato strangolamento, l’ustione, il soffocamento e la minaccia o l’uso di armi. Tra le donne che hanno subìto violenze sessuali, le più diffuse sono le molestie fisiche, cioè l’essere toccate o abbracciate o baciate contro la propria volontà (15,6%), i rapporti indesiderati vissuti come violenze (4,7%), gli stupri (3%) e i tentati stupri (3,5%).
Le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner, parenti o amici. Gli stupri sono stati commessi nel 62,7% dei casi da partner, nel 3,6% da parenti e nel 9,4% da amici. Anche le violenze fisiche (come gli schiaffi, i calci, i pugni e i morsi) sono per la maggior parte opera dei partner o ex. Gli sconosciuti sono autori soprattutto di molestie sessuali (76,8% fra tutte le violenze commesse da sconosciuti).
Le donne straniere hanno subìto violenza fisica o sessuale in misura simile alle italiane nel corso della vita (31,3% e 31,5%). La violenza fisica è più frequente fra le straniere (25,7% contro 19,6%), mentre quella sessuale più tra le italiane (21,5% contro 16,2%). Le straniere sono molto più soggette a stupri e tentati stupri (7,7% contro 5,1%). Le donne moldave (37,3%), rumene (33,9%) e ucraine (33,2%) subiscono più violenze.
Le donne straniere, contrariamente alle italiane, subiscono soprattutto violenze (fisiche o sessuali) da partner o ex partner (20,4% contro 12,9%) e meno da altri uomini (18,2% contro 25,3%). Le donne straniere che hanno subìto violenze da un ex partner sono il 27,9%, ma per il 46,6% di queste, la relazione è finita prima dell’arrivo in Italia.
Tutto questo, compresi i punti e le virgole, viene affermato e scritto dall’ISTAT.
Numeri e percentuali che, nello loro freddezza, la dicono lunga su un tristissimo fenomeno e su pagine che mai e ancora mai avremmo voluto leggere nel libro di una società che si definisce civile.
Così come non avremmo voluto leggere della paura più grande delle donne vittime di violenza: quella di non essere credute dalla altre donne, dalla stessa società e qualche volta dalle forze dell’ordine soprattutto quando si tratta non di violenza fisica, ma psicologica come il controllo, l’ossessione, lo stalking o la gelosia, che ormai nell’attuale contesto sociale si ritiene normalizzata.
Questo fa sentire le donne sole, abbandonate e vittime secondarie sino a portarle nella maggior parte dei casi a non denunciare.
Ed ecco uscire fuori dal coro della normalizzazione, con determinazione e grande capacità di scrittura, Yuleisy Cruz Lezcano che, con il suo nuovo libro Di un’altra voce sarà la paura edito da Leonida Edizioni, affronta il tema della violenza subita dalle donne e della necessità di tirarsi fuori con fermezza e rabbia da una realtà paludosa che in apparenza sembra senza via d’uscita.
Yuleisy Cruz Lezcano, come i miei lettori ricordano, è nata a Cuba, ma vive a Marzabotto.
Laureata in scienze biologiche, con laurea magistrale in scienze infermieristiche e ostetricia, presso l’Università di Bologna, Cruz Lezcano lavora nella sanità pubblica.
Ha all’attivo vari libri, che testimoniano riconoscimenti e premi in concorsi di pregio.
Collabora con blog letterari in qualità di redattrice e con il giornale letterario del Premio Nabokov.
È membro onorario del Festival Internazionale di Tozeur, Tunisia.
Attraverso la sua attività anche di traduttrice di lingua spagnola, divulga la poesia italiana per diverse riviste della Spagna e del Sudamerica, nonché la poesia sudamericana e spagnola in Italia.
Scrive in italiano e spagnolo.
I suoi testi italiani sono stati tradotti in francese, portoghese, spagnolo, inglese e albanese.
Tra le pubblicazioni di Yuleisy Cruz Lezcano edite prima di Di un’altra voce sarà la paura, mi piace ricordare Doble acento para un naufragio,(bilingue spagnolo/portoghese,) Edições Fantasma, 2023, L’infanzia dell’erba, Melville Edizioni, 2021, Demamah: il signore del deserto,(bilingue italiano/spagnolo), Monetti Editore, 2019, Inventario delle cose perdute, Leonida Edizioni, 2018, Tristano e Isotta. La storia si ripete, SwanBook Edizioni, 2018, Fotogrammi di confine, Casa editrice Laura Capone, 2017, Diario di una ipocrita, Libreria Editrice Urso, 2014.
Le 45 poesie di Di un’altra voce sarà la paura fanno perno sulla violenza di genere, un tema attuale e trasversale che immerge il lettore nelle contradizioni della vita e nei segreti dell’anima percorrendo tragedie e speranze, bellezza e crudeltà a volte accuratamente nascoste da false apparenze e maschere per occultare il dolore e le paure.
E via via che i lettori vengono abbracciati e travolti dai versi della raccolta opportunamente suddivisa in sezioni e ognuna introdotta da uno scatto fotografico di Adele Quaranta e da un aforisma dell’autrice, la poesia di Cruz Lezcano con l’intreccio di terminologie immediate e particolari artifici si trasforma «in un atto di denuncia, in un grido d’allarme che squarcia il silenzio complice della società e spinge a riconsiderare il ruolo di spettatori passivi di fronte all’ingiustizia» e rende sempre più visibile la parte sommersa dell’iceberg e la necessità di mettersi accanto alle realtà istituzionali e associazionistiche che lavorano per contrastare il fenomeno sistemico ed endemico della violenza di genere.
Fiore – I numeri ci raccontano e ci dicono che vige sempre più la tendenza all’abitudine a questa violenza drammatica che ha inferto una ferita strutturale alla nostra società.
E’ stata per caso questa la molla che ti ha spinta a intervenire per arginare il fenomeno?
Cruz Lezcano – Ho scelto la poesia per denunciare il fenomeno perché la poesia più di qualsiasi altra forma di scrittura sa bene dove intingere il pennello per riportare immagini che descrivano la realtà e descrive in modo diverso le emozioni.
Il poeta sa come studiare il mondo attorno a sé, sa dove incontrare la voce degli eventi e vestirli con le parole giuste per descrivere fatti, per fotografare il presente o anticipare il futuro.
Devo dire che anche io sono stupita di come il libro “Di un’altra voce sarà la paura” sta diventando parte di un ampio progetto di diffusione e sensibilizzazione contro il fenomeno violenza di genere.
L’idea di pubblicare questo libro è iniziata a farsi spazio tra i miei pensieri non molto tempo fa. Certo, inconsciamente volevo parlarne da tempo, visto che per 12 anni ho lavorato nel consultorio familiare a Bologna, e ho seguito, tra le tante cose, i colloqui per l’interruzione di gravidanza, secondo la legge 194 del 1978, che
descrive con chiarezza le procedure da seguire in caso di richiesta di interruzione di gravidanza.
La necessità di garantire un accesso sicuro ai servizi, la necessità di ascolto, empatia e supporto per affrontare gli aspetti emotivi e logistici del processo, richiedono oltre che competenza, istruzione e apprendimento personali, dedizione e conoscenza degli strumenti psicologici per fornire risposte adeguate: ecco perché ho potuto usare nel libro tale bagaglio di conoscenze. Devo aggiungere che, durante i colloqui eseguiti, in ambito lavorativo, si è svegliata la mia curiosità per comprendere i traumi da stupro e le sue conseguenze a breve e lungo tempo.
Oltre a questo, alcune amiche, in modo inatteso, mi hanno confidato di avere subito violenza, confermando ancora una volta che la violenza può colpire qualunque persona ed è più frequente di quello che di solito si immagina o viene raccontato e denunciato.
La situazione attuale, in cui gli episodi di violenza sembrano nettamente aumentati, e l’esasperazione della cronaca che fa delle storie di violenza una sorta di romanzo a puntate, che invade perfino i programmi televisivi, le conversazioni al bar e i commenti nei social, hanno ancora di più stimolato la mia decisione di parlare di questo fenomeno.
Ho sentito quindi per tutta la suddetta premessa il bisogno di raccontare queste storie, perché sono storie vere. Infatti, il libro contiene storie di cronache, storie che ho ascoltato da donne che hanno subito violenza.
Fiore – Quanto la poesia può contribuire a rallentare la corsa della violenza di genere?
Cruz Lezcano – Sicuramente di libri sulla violenza di genere ne sono stati scritti tanti, di narrativa e di poesia, ma non è stato comunque detto tutto quello che c’è da raccontare. Tra le persone che non conoscono il fenomeno, c’è una sorta di incredulità al riguardo. Dobbiamo pensare che una donna su tre subisce qualche forma di violenza nell’arco della propria vita e che questo è un fenomeno trasversale, presente in ogni luogo del mondo, durante le guerre e in tempo di pace e che le emigrazioni contemporanee hanno esasperato, perché creano un’ulteriore fragilità.
La poesia non è uno strumento per rallentare il fenomeno. Magari!
La poesia però può fare luce sul fenomeno, può prestare la sua voce per denunciarlo, per creare conoscenza, consapevolezza sul fenomeno e creando spazi di discussioni può promuovere la nascita di idee per contrastarlo, creare coscienza e oltre al fatto che può essere uno strumento educativo, può fare accendere i riflettori delle istituzioni e delle associazioni, e fomentare spazi di discussioni e di progettazione di nuove iniziative, strategie per prevenire il fenomeno e contrastarlo.
Fiore – Dalla lettura delle tue 45 poesie, egregiamente presentate da Ivan Crico nella prefazione, traspare la tua immensa volontà di dare voce sociale a chi non è riuscito a parlare, a urlare abbastanza forte, a denunciare o farsi ascoltare per la violenza subita.
Mi sbaglio?
Cruz Lezcano – No, non sbagli.
Sin dal titolo si legge il mio tentativo e il mio impegno nel dare voce a chi non è riuscita a parlare, a urlare abbastanza forte, a denunciare o a farsi ascoltare riguardo la violenza subita.
Anche se la scelta di “dare voce” a qualcun’altra è un compito controverso, l’ho sentito dentro di me doveroso, nonostante richieda grandi responsabilità: per scrivere questo libro ho dovuto aggiornare le mie conoscenze sul fenomeno, documentarmi e riprendere in mano gli studi fatti in passato.
Ho sentito il peso della responsabilità per meglio documentare durante la scrittura i comportamenti e il sentito delle donne che subiscono violenza, il trauma di stupro, la sua sintomatologia a breve termine e a lungo termine.
Non so se è prevalsa la necessità di informare e diffondere la realtà dei fatti oppure la mia voglia di comprendere il fenomeno per calarmi nelle parole che scrivevo, cosa fondamentale per creare immagini che possano toccare le emozioni dei lettori e allo stesso tempo oltre che interiorizzare il racconto, creare coscienza.
Fiore – Qual è il tuo giudizio sulla cronaca esasperata televisiva e della carta stampata delle storie di violenza che a volte con la collaborazione dei social somigliano a fiction a puntate?
Cruz Lezcano – Al riguardo penso che mandando in onda la vita privata delle donne vittime di violenza, queste vengono nuovamente vittimizzate.
È necessario sradicare la violenza mediatica.
La violenza mediatica è un tipo di violenza simbolica, che utilizza supporti mediatici. Specificamente, può definirsi come la pubblicazione o la diffusione di messaggi, immagini e opinioni stereotipate, che usano i mezzi di comunicazione collettiva per riprodurre la dominazione, la mancanza di uguaglianza, la discriminazione nelle relazioni sociali, normalizzando la subordinazione delle donne nella società.
Usare violenza mediatica ha il significato di rendere nuovamente vittima la donna, fornendo troppi dettagli sulla sua identità, i dettagli di un crimine, esibendo aspetti della sua vita privata, raccontando sulla sua famiglia, le sue attività.
La cronaca non soppesa a volte le parole, bisogna pensare alla potenza del linguaggio e al messaggio che si trasmette.
Spesso, si mette sotto accusa cosa stava facendo e dove stava andando la donna, creando una sorta di telenovela a puntate di temi familiari della vittima, che non hanno nulla a che vedere con il delitto sul quale si sta investigando.
In questo tipo di azioni le vittime vengono inserite in due tipi di gabbia “la buona” e “la cattiva”, fornendo giudizi, che generano uno tsunami sull’opinione pubblica. Questo tipo di situazione può veicolare il pensiero che la vittima in qualche modo si è esposta a quello che le è accaduto.
Nel caso di omicidi o delitti commessi contro uomini non esiste questa ricerca incessante del linciaggio pubblico, non ci raccontano i dettagli delle loro vite private.
Il rendere “invisibile” è un’altra ramificazione della violenza mediatica, e si riscontra quando le donne sono presentate come vittime o figure o coppie di personaggi pubblici.
In questi casi si riproduce la violenza e la donna diventa quasi ornamento.
La narrazione mediatica frequentemente si affanna nel cercare una spiegazione, una giustificazione per un atto così brutale come la violenza, lo stupro, il femminicidio, e, nonostante, spesso deve arrendersi di fronte alla verità più inquietante di tutte: l’assenza di un motivo.
La cronaca può essere uno strumento potente di violenza, perché raggiunge la moltitudine, mette loro una pulce nell’orecchio, così il sospetto prende corpo, parola dopo parola e diventa subito pensiero pubblico dominante. Così si desumono presunte colpe della vittima, si può infondere il dubbio, muovere uno stuolo di curiosi, che vogliono sapere come era vestita la vittima, dove si trovava, che comportamento di leggerezza assumeva.
Il processo mediatico può avere lo stesso effetto di un fiume in piena, senza nessun ostacolo, anzi.
Nel 1935, Frida Kahlo descrisse la violenza omicida contro le donne nella sua opera “Pocos Piquetitos”(Pochi taglietti).
Frida è partita da un fatto di cronaca che raccontava di un uomo ubriaco che per gelosia aveva pugnalato venti volte la sua fidanzata e che, senza pensarci troppo, sosteneva di averle fatto solo “qualche taglietto”.
Negli ultimi decenni questa violenza si è diffusa contro gruppi di donne anonime, massacrate quotidianamente, motivo per cui questo tipo di violenza è stata definita femminicidio.
Fiore – Secondo te dai tanti libri sulla violenza, a cui oggi si aggiunge il tuo, è stato detto tutto?
Cruz Lezcano – Come ben ha anticipato la domanda, di libri sulla violenza di genere ne sono stati scritti tanti, ma non è stato comunque detto tutto quello che c’è da raccontare.
Tra le persone che non conoscono il fenomeno, c’è una sorta di incredulità.
E nuovamente ribadisco che dare voce alle donne, che hanno subìto violenza, contribuisce a sensibilizzare le persone, sperando che così il ricorso alla violenza diventi sempre più lontano dalla mentalità dell’uomo. E poi le donne di cui parlo sono uniche e la mia voce è la loro, hanno diritto a questo… ed è stata la mia volontà a dar loro voce…
Fiore – Perché c’è tanta incredulità sul fenomeno?
Cruz Lezcano – L’incredulità può derivare da una tendenza sociale a negare l’esistenza delle cose che non si conoscono. Non saprei davvero quali possono essere i meccanismi psicologici che la società può mettere in atto. Forse molti non sono a conoscenza di quanto sia frequente il fenomeno.
Se pensiamo che una donna su tre subisce una qualche forma di violenza nella propria vita, è davvero impossibile non credere alla diffusione del fenomeno e restarne indifferenti. La problematica della violenza contro le donne ha un’origine socio-culturale legata sicuramente a fattori storici, economici, religiosi, culturali ed etnici.
La violenza non è un fenomeno individuale ma la manifestazione di un fenomeno inter-relazionale che può spiegarsi nell’ambito di un contesto relazionale. Pertanto chi giudica il fenomeno dovrebbe essere informato e istruito per riconoscere la responsabilità di chi esercita violenza su un altra persona più fragile. La persona
che esercita violenza sceglie quel comportamento di fronte ad altre alternative.
In modo complementare, si può di conseguenza comprendere come la vittima non sia in nessun modo colpevole.
L’incredulità è spesso figlia dell’educazione, che spesso normalizza la violenza, e crea il pensiero collettivo che la violenza sia parte del sistema nel quale viviamo. Sicuramente è un retaggio ancestrale. Solo la consapevolezza e la conoscenza della diffusione del fenomeno può aiutare a posizionarci dalla parte della vittima senza doppi discorsi, senza dubbi, creando un pensiero collettivo in cui lo slogan comune sia “io sì ti credo”: e farò di tutto perché quanto ti è successo non succeda a nessuna altra donna.
Comunque uno degli assi principali del problema è l’incredulità globale di alcune autorità riguardo alle denunce delle donne, quindi, senza pregiudicare e sostenere lo stato di diritto, personalmente, penso che qualsiasi donna che denuncia qualsiasi tipo di violenza come violenza domestica, verbale, sessuale, psicologica o culturale, deve essere presa sul serio e per principio bisogna credere alla voce di queste vittime.
Il dubbio ritarda la giustizia e confonde, l’attenzione deve essere immediata e deve partire dal principio di dignità e non dal dubbio nella vittima .
La conclusione è tristemente semplice, abbiamo bisogno di una revisione tempestiva di tutti i processi, in particolare dei protocolli di cura, dei meccanismi di prova e degli strumenti legali per ottenerli, ma soprattutto credere nella parola di una donna che denuncia.
Fiore – Nel tuo libro riporti storie diverse di molestie e violenza da cui spesso emerge il silenzio da cui sono circondate. Perché questo silenzio?
Cruz Lezcano – Uscire dal silenzio è una sfida importante, perché significa uscire da una sorta di tunnel. Il trauma da stupro spesso coincide con comportamenti di chiusura. Il dolore può portare a isolamento e depressione, ansia, sintomi somatici, episodi dissociativi, come sentirsi distaccati o estranei al proprio corpo. Si può percepire irreale il mondo esterno e la cosa peggiore è che si può arrivare perfino a pensare al suicidio (gli episodi dissociativi vengono chiaramente descritti nel libro e identificati come spossessamento dal sé).
Ann Burges e Lynda Holstrom sono due studiose che già con il loro lavoro pioneristico nel 1974 hanno studiato la sindrome da trauma di stupro.
È molto frequente che la vittima abbia paura legata alla possibilità che famiglia e amici scoprano cosa è accaduto. La vittima si può sentire sporca, si può chiedere che se avesse percorso un’altra strada o fatto altro, forse non le sarebbe accaduto, cercando in qualche modo di colpevolizzarsi.
L’impatto emotivo così forte, insieme alla vergogna, all’imbarazzo, ai sensi di colpa e all’umiliazione possono portare la vittima a decidere di non denunciare la violenza.
A tutto questo si unisce il fatto che le donne sono le più esposte al rischio povertà, quelle che partecipano meno al mercato del lavoro e quelle che subiscono maggiori discriminazioni di genere in termini di retribuzione, stipendi e pensioni. Decisamente inferiore è anche la loro presenza nelle organizzazioni rappresentative.
Ma la cosa più grave è che molti di loro continuano a subire violenze e abusi.
La violenza contro le donne è un problema globale in drammatico aumento.
Esistono condizioni di violenza domestica o di ipercontrollo che compromettono lo sviluppo intellettuale e personale delle donne. A tutto ciò si aggiunge l’aggravante di un quadro normativo che continua ad essere frammentato e che non persegue adeguatamente la violenza, anche quando denunciata.
Nel silenzio sordo di queste solitudini femminili, la sfida è interrompere il circolo vizioso della violenza dando alle donne gli strumenti e le risorse per trovare la propria voce.
Comunque sarebbe auspicabile che le donne vittime di violenza si rivolgessero ai centri di assistenza, alle associazioni dove possono ricevere un sostegno competente per evitare gli effetti a lungo termine, tramite gli strumenti adeguati per ricostruire l’autostima. In effetti nel mio libro incoraggio la rabbia, perché esprimere rabbia rientra tra le prime fasi per ricostruire l’immagine di sé.
Fiore – Quanto le voci del tuo libro possono contribuire a sistemare ciò che ancora non funziona nel sistema giudiziario e nella rete di aiuto?
Cruz Lezcano – Non credo che la poesia possa contrastare la violenza, ma potrebbe aumentare la conoscenza sul fenomeno, il senso di responsabilità, la consapevolezza, l’empatia, oltre che al fatto che se ne parli potrebbe far nascere iniziative per prevenire la violenza, per ostacolarla.
Fiore – “Di un’altra voce sarà la paura”, candidato al Premio Strega 2024 e presentato al Salone Internazionale del Libro di Torino edizione 2024, ha avuto passaggi di presentazione nella Televisione di Stato della Repubblica di San Marino e in Tele Granducato della Toscana, è stato presentato qualche giorno fa a Barletta in collaborazione con l’associazione Artinte, è stato ospite del Festival del Borgo antico di Bisceglie e della trasmissione televisiva Street Talk di Andrea Villani, che viene trasmessa in 22 reti televisive in tutta Italia.
Un grande successo di cui puoi andare fiera e che, come ho potuto constatare a Bisceglie dai commenti degli intervenuti, ha trasmesso in maniera eccellente e pungente il messaggio che l’uomo non può continuare a pensare che le donne sono corpi da usare, ma anime di un meraviglioso creato da amare. In altri termini Di un’altra voce sarà la paura ha toccato i cuori, ha fatto accapponare la pelle, ha provocato tremore e orrore, ha raggiunto gli scopi che ti eri prefissa…
Cruz Lezcano – Sì, ho avuto anche io questa sensazione e ho potuto constatare che almeno in questi ambiti ha lasciato il segno, come mi prefiggevo. Non ho, ripeto, la presunzione che possa cambiare le cose, però è una goccia che assieme a tante altre, alimentate dalla mia può smuovere la montagna della violenza.
Ho cercato in questi mesi di dare più voce possibile al mio libro, contattando redazioni, giornalisti, emittenti radiofoniche, associazioni, librerie, di tutto di più… Ho lavorato e continuo a lavorare giorno e notte tentando di divulgare il più possibile il mio libro, pubblicizzandolo e proponendolo in tutte le occasioni ed eventi possibili. Ho inviato decine di libri per farlo conoscere alle biblioteche, alle persone che potessero consentirmi di parlarne e avere occasione di renderlo visibile.
Addirittura sono riuscita a coinvolgere l’Ambasciatrice di Cuba in Italia creando l’evento del 6 settembre scorso presso i locali dell’Ambasciata.
Ho avuto un piacere immenso nel constatare la sensibilità di alcune autorità del mio paese di origine, che ho sempre nel cuore, a darmi un’ occasione per parlare di questo fenomeno, ribadendo che purtroppo nessun luogo del mondo è privo di questa violenza, in nessun posto si può affermarne l’estraneità.
Molta gente ha partecipato a questa presentazione e ho sentito anche in questa occasione che esiste una grande attenzione al fenomeno.
E come non ricordare l’evento al Castello di Barletta del 31 agosto organizzato dall’associazione culturale Artinte al fianco del vulcanico direttore Giuseppe Arcieri e presentato dalla sensibilissima Maria Grazia Memeo?
Che emozione il confronto e sentirmi toccare dall’empatia di tante persone, in particolare giovani…
Fiore – Possiamo quindi affermare che questa raccolta ha rappresentato e rappresenta per te anche una preziosa vetrina sia mediatica sia pratica e anche un’occasione per catturare l’attenzione di lettori sconosciuti e ampliare la platea delle conoscenze e dei rapporti…
Cruz Lezcano – Sicuramente, ma la vetrina, ripeto, non è per me, ma per questo libro che invita all’empatia per le povere vittime di violenza.
Inoltre le occasioni sono fondamentali per creare quella rete necessaria alle mie protagoniste delle poesie, di avere voce e per trovare anche forse soluzioni alle cause della violenza. Ritengo che solo così un giorno ridurremo, fino forse ad annullare le cifre di questo fenomeno.
Solo con il contributo del maggior numero possibile di persone alla sensibilizzazione collettiva si potrà raggiungere questo.
Fiore – Com’è nato in te l’amore per poesia e come sei diventata una brava autrice?
Cruz Lezcano – Diventare una brava autrice significa solo dare voce alla poesia che sento dentro di me, alle immagini che hanno bisogno di uscire e di avere voce e risonanza.
E in questo sento di amare la poesia, perché la sento mia, totalmente mia, e facente parte della mia anima.
Il percorso però non ha mai fine e non mi sento veramente una brava autrice se non riesco a comunicare ciò che ho dentro…
Tutto questo non saprei come è nato: penso che sia stato sempre dentro di me, dai tempi dolci delle risate con mio padre, del suo ripetere frasi in rime per stupirmi e rallegrarmi.
La poesia è comunque ovunque e il mio scrivere la rende solo visibile e permette di comunicarla a chi mi ascolta o legge.
Fiore – Nei tuoi progetti futuri ci sarà ancora spazio per la battaglia sociale che hai intrapreso contro la violenza di genere?
Cruz Lezcano – Sempre lo sarà, è stata sempre dentro di me, e finché ci saranno tali episodi sarò sempre a favore di questa battaglia, per me e per tutte le donne…
Fiore – Su quale delle 45 poesie vorresti che cadesse maggiormente l’attenzione degli uomini per invitarli alla non violenza?
Cruz Lezcano – Forse nella poesia Umanità sono raccolte immagini di tutti gli aspetti dell’umanità e del suo dolore…
Se le persone interiorizzano queste immagini, le fanno proprie, sentiranno quanto dolore genera la violenza e ne sentiranno la volontà di allontanarsene… ma non so se questo potrebbe essere sufficiente. In realtà quello che serve veramente è che l’uomo abbia una profonda educazione al sentimento, una sensibilità empatica che gli faccia vedere veramente nella donna una sua proiezione, un sé stesso che non deve soffrire come non vorrebbe sottoporre a sofferenza sé stesso…
Fiore – Grazie e buon tutto…
Cruz Lezcano – No, sono io che devo ringraziare, avendomi permesso ancora una volta di dare visibilità al messaggio contro la violenza. E auguro a tutti i lettori il meglio per la loro vita.
Vincenzo Fiore