Ghita Mezzina è la mamma di Claudia, una bimba autistica.
Quali sono le esperienze di una mamma con una figlia autistica?
Oggi ScrepMagazine ne parla con Ghita Mezzina, 40 anni, da sei mamma di Claudia, una ragazza autistica che frequenta la prima elementare.
Ghita mi accoglie nel suo appartamento di Bari, semplice e ordinato, ma ricco d’amore e di disegni in ogni singolo angolo.
Ci accomodiamo in salotto, di un bel rosso antico.
Antonella si siede su una poltrona, io sul divano.
Fiore – A quale età Claudia ha ricevuto la sua diagnosi?
Mezzina – Abbiamo intrapreso il percorso diagnostico al Policlinico di Bari quando Claudia aveva due anni e mezzo. Verso i 18 mesi, mi resi conto che qualcosa non andava. Claudia è sempre stata una bambina sveglia, attenta, in costante e preciso movimento… ma, in termini di comunicazione, ha sempre espresso una certa unicità. Unicità che, con la diagnosi, si è tramutata in “compromissione del linguaggio”. I suoi gesti ripetitivi, l’assenza anche di un tentato “Mamma”, il suo non voltarsi dopo una serie di richiami… pensavo fosse così e basta. Pensavo le servisse tempo. E, per me, andava benissimo così. C’era tutto il resto, ed ero gonfia di gioia nell’avere una figlia: la mia prima, meravigliosa bambina, tutta ciccia e sorrisi! Ma, nonostante questo, la mia testa cominciava ad affollarsi di dubbi, domande confuse. Le feci fare un test uditivo, giusto per togliermi il pensiero. Il test risultò perfetto. Allora cominciai a navigare su internet, senza neanche sapere cosa stessi cercando. Poi arriva quella parola: AUTISMO. Sai, ancora ricordo che ore erano, il modo in cui ero seduta sul letto con il computer poggiato sulle gambe. Ero sola nella stanza. Mia figlia dormiva in camera sua. Più leggevo l’intera lista dei “campanelli d’allarme” e più rivedevo Claudia e il grande puzzle che andava componendosi. Un puzzle dai colori distorti. Sentivo mancarmi l’aria, un silenzio sordo nelle orecchie. Immediatamente scrivo a mio marito e, anche se a distanza, avverto il tonfo dei suoi pensieri. Sapevamo entrambi che la ricerca fatta era corretta. Lo sapevamo… pur non capendo realmente di cosa stessimo a parlare.
Fiore – Qual è il ritardo cognitivo di Claudia?
Mezzina – Claudia non ha ritardo cognitivo, anzi…Le sue difficoltà sono prettamente comportamentali. Nello specifico, siamo a un secondo livello dello spettro, con compromissione del linguaggio, come ti accennavo prima.
Fiore – Come hai vissuto la notizia della diagnosi?
Mezzina – È stato difficile. Abbiamo ricevuto la diagnosi in assenza di empatia. Lo so, gli abbracci non fanno parte dell’iter. Ma, mentre ascoltavo la neuropsichiatra, sentivo freddo. La stanza, in cui eravamo, mi appare improvvisamente mastodontica, gelida. Come se mi fossi trovata in una piazza ventosissima, nel cuore di un rigido inverno. Da lì si è inaugurata una fase di lutto piuttosto “singolare”. La mattina, o dopo un riposino pomeridiano, aprivo gli occhi e pensavo: “È stato un incubo!” Nel giro di pochi istanti, però, facevo mente locale e cominciavo subito a piangere. È stato così ogni santo giorno, per diversi mesi.
Fiore – Perché dici “singolare”?
Mezzina – Perché ho vissuto contemporaneamente lutto e reattività acuta. Il giorno successivo alla diagnosi sono in giro per Bari a caccia di associazioni, studi di professionisti, mentre col telefono stano gruppi Facebook sull’autismo. Nel giro di niente trovo le prime fonti da cui attingere. “Fino ai 6 anni bisogna lavorare a tambur battente”. Ed io ero pronta a cominciare in quel preciso istante, ovunque. Sapevo che non c’era tempo da perdere. Ma, attenzione, trovare le prime fonti non significa aver acciuffato le soluzioni. Era il 16 dicembre. La prima professionista l’abbiamo incontrata a fine marzo, mentre la terapia ABA fatta in studio l’abbiamo intrapresa solo a fine maggio del 2019.
Fiore – A diagnosi ricevuta hai avvertito una sorta di steccato tra te e Claudia, considerato che certe forme di autismo alzano muri, anche nei confronti di chi li ha messi al mondo e che una madre, per un soggetto autistico, può essere una perfetta estranea?
Mezzina – Anche se a tratti, il muro c’è sempre stato. Già a pochi mesi di vita, ogni tanto mi fissava, quasi come non mi riconoscesse. Era strano, “imbarazzante”. Non capivo ma, anche lì, per me lei era così. Punto. Dall’anno di età avevo fame della parola “mamma”. Gli abbracci non rientravano nei canoni, ma prendevo tutto ciò che a modo suo mi dava. Adesso è diverso: mi stringe a sé, mi riempie di baci. Tutto ad alta velocità. Ci sono i “buongiorno mamma!”, oppure i bigliettini lasciati sotto la porta del bagno, seguiti da uno squillante “per te!”. Diverso è stato per mio marito: Claudia sembrava avere quasi un rifiuto nei suoi confronti. A suo modo, vedeva solo me. C’è da dire che il papà non ha mai investito tanto tempo per lei. La nascita di Claudia, infatti, ha segnato un profondo spartiacque nella nostra vita di coppia. Io mi sono scoperta madre, ma sola nella relazione di coppia. Mi sono tramutata in ponte tra padre e figlia, fungendo anche da collante tra i due. E viene da sé capire che la diagnosi ha lentamente contribuito a segnare la fine del mio matrimonio.
Fiore – Continua… ti ascolto.
Mezzina – Eventi così forti uniscono ancor più una famiglia oppure la disuniscono. Il papà della bambina già non sembrava aver accettato il suo status di “padre”: ecco perché, a diagnosi ricevuta, immaginavo in cuor mio dove saremmo andati a parare.
Fiore – I problemi percepiti li avevi mai messi in connessione con l’autismo?
Mezzina – Assolutamente no. Non avevo mai avuto a che fare con soggetti autistici prima (o almeno, così pensavo..!). Senza alcuna esperienza palese e diretta, avevo ricondotto tutto a questioni caratteriali, di crescita, allo stile di vita che conducevamo al tempo, al bilinguismo dentro casa (il papà di mia figlia è di altra nazionalità )… e, in ultimo, avevo pensato anche a cause dovute al difficile parto avuto con Claudia.
Fiore – I momenti positivi di Claudia?
Mezzina – È un’entusiasta, una creativa, è figlia della natura più selvaggia. Claudia sarebbe sempre felice se immersa nel verde, in prossimità del mare, con fogli e colori a portata di mano. Ama le novità, le cose belle… anche quelle più semplici. Adesso comincia ad aprirsi al mondo, alla gente. Esiste reciprocità nei rapporti con gli adulti di fiducia (con i pari ancora no! )… ed è bello vederla esprimere la sua affettuosità, mentre cerca il suo modo e le sue vie verso l’empatia e la condivisione.
Fiore – E i negativi?
Mezzina – Ciclicamente Claudia tende a sviluppare delle vere e proprie “fisse” e dei forti interessi che, chiaramente, non sa gestire e centellinare autonomamente. Ma al momento siamo lontani da fasi negative, complesse. Claudia sta crescendo tanto, è diventata più flessibile, disposta a seguire direttive e consigli… il che è dire davvero tanto! Quindi è su questo che ci concentriamo al momento. Forse, però, a questa domanda potrebbero rispondere le persone che non sono entrate in sintonia con lei! Claudia, nonostante le sue difficoltà, è una bambina semplice. Basta poco, con le giuste modalità, per far rientrare un raro e famigerato “comportamento-problema”. Basta poco per lasciarsi supportare… come basta poco, in negativo, per farla esplodere come una bomba. Serve sempre la persona giusta, insieme ai modi giusti.
Fiore – Ti sei mai sentita rifiutata da tua figlia?
Mezzina – Mai. Come dice mio padre, sin dai primi mesi di vita di Claudia: “Quando entri tu nella stanza, il viso di Claudia si illumina”. Ed è così. Abbiamo una connessione fuori dal comune, che va oltre l’immenso legame fra madre e figlia. Un legame messo a dura prova dai momenti difficili, di ingestibilità, dove è servito e serve riportare l’ordine con estrema fermezza. Ma, anche dopo fasi di tempesta, ci ritroviamo sempre. Lei conosce il mio cuore, ed io il suo. Certo, non tutto avviene tramite l’amore di mamma e basta! Abbiamo una psicologa clinica al nostro fianco, che ci segue sin dal dopo diagnosi. È il nostro angelo custode: un po’ maga, un po’ psicologa, così come piace dire a me. L’impegno è stato ed è nostro, ma la forza ed esattezza delle sue direttive tengono banco.
Fiore – I medici e l’autismo: quanti conoscono questa neuro diversità?
Mezzina – La parola autismo si usa ( ed abusa ) molto di più adesso. Ma non basta conoscerne l’etichettatura. Non basta neanche un primo corso di studi per potersi definire professionisti. La medicina è in continua evoluzione. E lo è ogni singolo essere umano, con tutte le sue peculiarità. Lo studio, gli aggiornamenti costanti, l’esperienza sul campo… il tutto ben mescolato a una gran dose di empatia ed interesse. Ecco, in questo caso si può dire: il professionista X è esperto e porrei mia figlia nelle sue mani senza neanche battere ciglio. Mi chiedevi dei medici… ma questo discorso vale per tante altre categorie di persone che si accostano necessariamente ai nostri figli.
Fiore – Il percorso di Claudia dalla diagnosi all’ante iscrizione alla prima elementare?
Mezzina – … ed è proprio qui che volevamo arrivare, giusto?
Sorride scherzosa, Ghita.
Fiore – Già…
Mezzina – La diagnosi apre una finestra su una serie di scenari danteschi: ricerca di luoghi, persone, uffici, maghi e santoni. La burocrazia incomprensibile e scellerata. A distanza di anni, mi faccio, ogni tanto, un applauso da sola per essere riuscita ad inserirmi nel calderone con una certa rapidità! L’ingresso alla materna con l’ausilio del sostegno scolastico lo si fa dopo aver affrontato la combo INPS/ASL. Mia figlia, avendo un’invalidità civile pari al 100% e quindi in godimento dell’art.3, comma 3 della legge n. 104/92, ha diritto al rapporto uno ad uno con la docente assegnata. La prima che si è affacciata a scuola non si è più vista dal giorno successivo. Si era presentata piuttosto malamente, affermando: “Non ho mai visto gli autistici in giro, ma una mia amica sì”. Bene. Dopo aver sentito questo, le racconto in breve quali fossero i comportamenti problematici di mia figlia, chiedendole come intendesse supportarla nell’eventualità di una forte crisi. Fuggita via, veloce come il vento. Diversi giorni dopo incontriamo una nuova docente: alta, viso dolce, dall’ andatura distesa e rassicurante. Tra lei e Claudia c’è immediatamente un colpo di fulmine. Affetto ed intesa che le legano ancora oggi e di cui, senza, non avremmo mai fatto i passi da gigante che sono stati compiuti e che ancora compiamo insieme. La docente si era appena specializzata nel sostegno e Claudia è stata la sua prima bimba nello spettro. Perché dico questo? Perché questa persona ha messo in gioco le sue (al tempo poche) conoscenze ma, soprattutto, la passione e dedizione per il suo lavoro. È una donna che ha sempre creduto in ciò che faceva, anche in momenti di perplessità… ed ha sempre creduto in mia figlia. L’ha accolta, accettata e mai l’ha guardata come “diversa” . La docente venuta dopo di lei, invece (si, perché la parola CONTINUITÀ non è concepita nel mondo scolastico), non aveva esperienza, voglia e nessun briciolo di empatia. Quest’anno stessa cosa: abbiamo cominciato la prima elementare e non siamo state affiancate dalla persona giusta. Mi ritrovo a dover spendere tanto ed ulteriore denaro per far accedere i nostri terapisti privati a scuola, così da garantire alla docente di sostegno un po’ di serenità. Hai sentito bene, Vincenzo: garantire alla docente, non a mia figlia! Perché mia figlia è sempre quella di prima: basta la persona giusta con i modi corretti, e lei si allinea a vele spiegate alla classe.
Fiore – Un disastro…
Mezzina – Assolutamente sì…Con l’insegnante assegnataci è tutto un disastro: Claudia non viene capita, rassicurata, gestita e contenuta.
Fiore – Perché?
Mezzina – Perché per alcuni “autismo” è solo sinonimo di maleducazione (e anche di deficienza). Quindi, non avendo Claudia buone maniere, significa che a casa la madre è una poco di buono. I figli vanno addrizzati a casa, non a scuola! Perciò mia figlia non ritrova il filo del discorso, la consueta routine fatta di regole ferme, ma fornite con cortesia. Scuola e terapisti dovrebbero fare rete, così da poter tutti lavorare allo stesso modo e sulle stesse cose contemporaneamente. Una rete di supporto nella quale una bimba autistica, in questo caso mia figlia, non si dovrebbe mai sentire smarrita se il lavoro trova i suoi capisaldi anche nella continuità della didattica e nella chiarezza della terapia scolastica. Tutti “dovrebbero fare rete”, ma poi capita l’insegnante che si oppone perché non interessata e tutto va a rotoli.
Fiore – Con i compagni di classe si verificano problemi?
Mezzina – No! Come dicevo prima, Claudia non ha ancora sviluppato forte interesse nei confronti dei pari. Curiosità, certamente. Se presa per mano e inserita in un momento di condivisione sociale di suo interesse (ad esempio l’ora di educazione fisica), allora condivide volentieri spazio e tempo con altri bambini. Ma finisce lì. Quindi, non essendoci contatto e ricerca degli altri da parte sua, non c’è neanche possibilità che insorgano problemi, litigi.
Fiore – L’autismo, secondo te, dai docenti di sostegno è stato capito? C’è in loro una formazione corretta o molti di loro sono inadatti al ruolo?
Mezzina – C’è docente e docente. Ci sono quelli qualificati e quelli che non lo sono. In entrambe le categorie è possibile trovare persone eccelse o pessime. La formazione è una scelta personale ben precisa e riccamente spesata da parte del singolo interessato. Ai ruoli di sostegno approdano, per esempio, anche persone munite di laurea in giurisprudenza, completamente crude di esperienza di sostegno, perché solo grazie ai punteggi acquisiti possono entrare in graduatoria per successivi incarichi. Mentre altre, sempre non qualificate, mirano a scontare i 5 anni di sostegno, per poi ottenere un posto fisso a scuola come docente. E questo è un problema. Infatti molti di essi pur sapendo di non essere preparati tentano di ficcarsi a tutti i costi nelle nostre vite creando notevoli disagi psicologici. Ma, ahimè, il problema più grande sta un po’ più su, oltre alla singola scuola. La disabilità resta un fastidio. La disabilità è quella macchia nell’ombra alla quale nessuno vuole avvicinarsi davvero tant’è che vengono prese decisioni molto discutibili e generiche, senza testa e senza coda. “Diamo la possibilità a chiunque di lavorare come insegnante di sostegno, così qualcuno ci pensa a tenere i disabili a scuola” è il leitmotiv in circolazione. Poi però ci sono le giornate nazionali e mondiali dedicate all’autismo, per esempio, in cui le facciate dei comuni vengono illuminate di blu per 24h, sostenendo per questo cifre da capogiro, anche se lo stesso comune non garantisce le ore di assistenza da parte di un’educatrice professionale a scuola. Ore aggiuntive al sostegno che ci spettano di diritto. Con i soldi spesi per le lampadine blu, i Comuni potrebbero, per esempio, organizzare giornate di formazione ABA per il personale scolastico. Ma prima o poi a questo dovremmo arrivarci. Non lo dico io, ma le statistiche: 1 bambino su 77 è affetto da autismo nel nostro paese.
Fiore – E’ vero che tutto quello che hanno gli autistici è solo qualche ora di logopedia e psicomotricità alla settimana?
Mezzina – Dipende da quanto una famiglia sia in grado di spendere! Sì, parlo già di terapie private, perché con il pubblico noi non abbiamo mai avuto l’onore di avere a che fare. Liste di attesa interminabili in primis: dopo la diagnosi, la nostra ASL ci disse che c’erano due anni di attesa per cominciare un percorso logopedico. L’ABA, fra gli interventi terapeutici più importanti, in Puglia viene fatta solo privatamente. L’ASL può concedere solo un piccolo rimborso e forse un “in bocca al lupo”! Ci sono tanti modi di intervenire, a seconda dei bisogni ma anche degli interessi del bambino. Per mia figlia, per esempio, è stato necessario introdurre la logopedia e l’ABA. Ma esiste anche la TMA (Terapia Multi sistematica in Acqua) che per Claudia è stata da subito un toccasana, avendo una grande passione per il mare e la piscina. Ma c’è chi sceglie l’ausilio della musicoterapia o della Pet Therapy, magari accompagnate da altro intervento specifico. Esiste la neuropsicomotricità e psicomotricità individuale o anche di gruppo. Forse mi sfugge qualcosa… ma garantisco che, una volta capito il meccanismo, se così si può dire, tutto può diventare utile e terapeutico. Anche un pomeriggio di pasticci culinari a casa, un’uscita al parco o al supermercato di zona. Subito dopo la diagnosi, contavo i singoli minuti di terapia effettuata, facendo calcoli settimanali per poi dire : “Avrà fatto abbastanza? Mezz’ora di scuola in meno la farà regredire in qualcosa?” Col tempo ho fatto pace con la diagnosi, con gli imprevisti, con l’assenza di personale adatto e l’assenza di sufficiente denaro per tutto. Leggendo, informandomi, seguendo i consigli dei terapisti e vivendo mia figlia passo passo, mi sono slegata da quella trappola disperata di rigidità del “o tutto o niente” . E sono io stessa a contribuire con il lavoro che viene eseguito dai “pochi ma buoni” . La diagnosi è pur sempre e solo un pezzo di carta. Il resto è vita. È tua figlia.
Fiore – Da quello che mi risulta ci sono leggi a favore dell’autismo, ma male applicate o interpretate nelle varie Regioni con la conseguenza che ogni realtà territoriale si organizza come vuole dando origine così a un sistema a macchia di leopardo e non in grado di dare risposte omogenee. Cosa ne pensi?
Mezzina – L’ASL di Terni in Umbria passa la terapia ABA in convenzione. In Puglia si va privatamente, con un conto di circa € 1000 mensili per aver effettuato 4 ore settimanali di terapia. È giusto un esempio. L’autismo è una realtà. È un’emergenza, se mi è concesso dirlo. Servirebbe un piano uguale per tutti a livello nazionale. Ormai le diagnosi vengono sfornate alla velocità della luce, non è più quello il problema. Ma, una volta usciti dal reparto di neuropsichiatria infantile, con una diagnosi e due nomi di cooperative scritti su un pezzo di carta… che si fa? Ci sono famiglie che si perdono nella loro stessa città. Si perdono nelle loro case, nei loro pensieri. A diagnosi ricevuta tutto cambia. Guardi fuori dalla finestra lo stesso panorama di ogni giorno. Eppure sembra diverso, sconosciuto. Le famiglie hanno bisogno di supporto, di uscire dall’ospedale ed entrare direttamente in un ufficio dove qualcuno offra supporto psicologico e dica: “ Bene, lasci qui le carte che all’iter successivo ci pensiamo noi”. Un genitore così consuma il suo sacrosanto diritto di viversi questo lutto, di stringere il proprio figlio un po’ di più. Acquisisce il diritto di piangere più a lungo, senza doversi fermare di botto e dire: “ Ah, no aspetta! Adesso devo scappare lì per la diagnosi funzionale”. A notizia ricevuta, si dovrebbe venir spinti automaticamente in questa direzione. Tu dirai: “ Eppure tu ce l’hai fatta da sola”. Sì. Ma c’è chi non ce la fa. C’è chi non inizia neanche, perché non sa dove mettere le mani. C’è chi non inizia proprio perché non accetta la diagnosi del proprio figlio. La chiude nel cassetto e manda la creatura fuori allo sbaraglio. C’è chi non inizia e nasconde figlio e diagnosi in casa, per paura della gente. C’è chi inizia e poi si ferma, perché capisce di non poter sostenere economicamente alcuna terapia. Famiglie perse, figli persi. E che facciamo? Questa gente ha bisogno di essere sostenuta, abbracciata forte. Nel presente e nel pensiero futuro del “Dopo di noi”.
E poi…
Questa gente, così come lo sono io, ha bisogno di fare rete. Si deve concepire ed accogliere l’idea di una grande comunità, dove tutti siamo legati e collegati. È così che una madre come me comincerà a vivere in pace e ad accettare che, un giorno, la propria bambina resterà sola… senza di lei. Nell’abbraccio vero di una comunità nazionale, nessuna famiglia sarà sola… nessun bambino resterà solo.
Fiore – Tu, come mamma di Claudia, hai dato e fatto tutto quello che era nelle tue possibilità? Hai qualcosa da rimproverarti?
Mezzina – C’è sempre qualcosa da fare e da imparare. È ancora presto per potermi rimproverare davvero qualcosa. Adesso che ci stiamo lasciando alle spalle le chiusure dovute dall’emergenza sanitaria, voglio cominciare a viaggiare. Claudia deve scoprire sé stessa nel mondo. E io, guardando lei, scoprirò nuove forme di felicità…
L’intervista finisce.
Antonella si offre di accompagnarmi alla macchina parcheggiata nei pressi di Largo 2 giugno e mi chiede se nel tragitto ci si può fermare in un bar a bere un caffè.
Attraversando Largo 2 giugno mi prega di annotare negli appunti dell’intervista della gioia che prova quando Claudia si ritrova a passeggiare in quel luogo e le corre incontro quasi per abbracciarla.
Guardo Antonella, la fisso e leggo nei suoi occhi i brividi della mamma amata dalla sua piccolina… quasi a voler dire: ”Perché non succede sempre?”
Non le dico nulla, la saluto e vado via… e penso: ”Come sarà il futuro di Antonella e Claudia?”
Non ne ho parlato perché forse avrei interrotto l’incantesimo di quella gioia…
01″a tu per tu con…” Ghita Mezzina, mamma di Claudia
a cura di Vincenzo Fiore
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