“a tu per tu con…” Ghita Mezzina, mamma di Claudia

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Ghita Mezzina è la mamma di Claudia, una bimba autistica.

Quali sono le esperienze di una mamma con una figlia autistica?

Oggi ScrepMagazine ne parla con Ghita Mezzina, 40 anni, da sei mamma di Claudia, una ragazza autistica che frequenta la prima elementare.

Ghita mi accoglie nel suo appartamento di Bari, semplice e ordinato, ma ricco d’amore e di disegni in ogni singolo angolo.

Ci accomodiamo in salotto, di un bel rosso antico.

Antonella si siede su una poltrona, io sul divano.

Fiore – A quale età Claudia ha ricevuto la sua diagnosi?

Mezzina – Abbiamo  intrapreso  il  percorso  diagnostico  al  Policlinico  di  Bari  quando Claudia aveva due anni e mezzo. Verso i 18 mesi, mi resi conto che qualcosa non andava. Claudia  è  sempre  stata  una  bambina  sveglia,  attenta,  in  costante  e  preciso movimento… ma,  in  termini  di  comunicazione,  ha  sempre  espresso  una  certa unicità. Unicità  che,  con  la  diagnosi,  si  è  tramutata  in  “compromissione del linguaggio”. I suoi gesti ripetitivi, l’assenza anche di un tentato “Mamma”, il suo non voltarsi  dopo una serie di  richiami…  pensavo  fosse  così  e  basta.  Pensavo  le  servisse tempo. E, per me, andava benissimo così. C’era tutto il resto, ed ero gonfia di gioia nell’avere una figlia: la mia prima, meravigliosa bambina, tutta ciccia e sorrisi! Ma, nonostante questo, la mia testa cominciava ad affollarsi di dubbi, domande confuse. Le feci fare un test uditivo, giusto per togliermi il pensiero. Il test risultò perfetto. Allora  cominciai a  navigare  su  internet,  senza  neanche  sapere  cosa  stessi cercando. Poi arriva quella parola: AUTISMO. Sai,  ancora  ricordo  che  ore  erano,  il  modo  in  cui  ero  seduta  sul  letto  con  il  computer poggiato sulle gambe. Ero sola nella stanza. Mia figlia dormiva in camera sua.  Più leggevo l’intera lista dei “campanelli d’allarme” e più rivedevo Claudia e il grande  puzzle  che  andava componendosi. Un puzzle dai colori distorti. Sentivo mancarmi l’aria, un silenzio sordo nelle orecchie. Immediatamente scrivo   a mio marito e, anche se a distanza, avverto il  tonfo  dei  suoi  pensieri. Sapevamo  entrambi  che  la  ricerca  fatta era corretta. Lo sapevamo… pur non capendo realmente di cosa stessimo a parlare.

Fiore – Qual è il ritardo cognitivo di Claudia?

Mezzina – Claudia non ha ritardo cognitivo, anzi…Le sue difficoltà sono prettamente comportamentali. Nello specifico, siamo a  un  secondo  livello  dello  spettro,  con  compromissione  del linguaggio, come  ti accennavo prima.

Fiore – Come hai vissuto la notizia della diagnosi?

Mezzina – È stato difficile. Abbiamo ricevuto la diagnosi in assenza di empatia. Lo so, gli abbracci non fanno parte dell’iter. Ma, mentre ascoltavo la neuropsichiatra, sentivo freddo. La stanza,  in  cui  eravamo,  mi  appare improvvisamente mastodontica, gelida. Come se mi fossi trovata in una piazza ventosissima, nel cuore di un rigido inverno. Da lì si è inaugurata una fase di lutto piuttosto  “singolare”. La mattina, o dopo un  riposino  pomeridiano,  aprivo  gli  occhi  e  pensavo:  “È  stato  un  incubo!”  Nel giro di pochi istanti, però, facevo mente locale e cominciavo subito a piangere. È stato così ogni santo giorno, per diversi mesi.

Fiore – Perché dici  “singolare”?

Mezzina – Perché ho vissuto contemporaneamente lutto e reattività acuta. Il giorno successivo alla diagnosi sono in giro per Bari a caccia di associazioni, studi  di professionisti, mentre col telefono stano gruppi Facebook sull’autismo. Nel giro di niente trovo le prime fonti da cui attingere. “Fino ai 6 anni bisogna lavorare a tambur battente”. Ed io ero pronta a cominciare in quel preciso istante, ovunque. Sapevo che non c’era tempo da perdere. Ma, attenzione, trovare le prime fonti non significa aver acciuffato le soluzioni. Era il 16 dicembre. La prima professionista l’abbiamo incontrata a fine marzo, mentre la terapia ABA fatta in studio l’abbiamo intrapresa solo a   fine maggio del 2019.

Fiore – A diagnosi ricevuta hai avvertito una sorta di steccato tra te e Claudia, considerato che certe forme di autismo alzano muri, anche nei confronti di chi li ha messi al mondo e che una madre, per un soggetto autistico, può essere una perfetta estranea?

Mezzina – Anche se a tratti, il muro c’è sempre stato. Già a pochi mesi di vita, ogni tanto mi fissava, quasi  come non mi  riconoscesse. Era strano, “imbarazzante”. Non capivo ma, anche lì, per me lei era così. Punto. Dall’anno di età avevo fame della parola “mamma”. Gli abbracci non rientravano nei canoni, ma prendevo tutto ciò che a modo suo mi dava. Adesso è diverso: mi stringe a sé, mi riempie di baci. Tutto ad alta velocità. Ci  sono  i  “buongiorno  mamma!”,  oppure  i bigliettini  lasciati sotto  la  porta  del bagno, seguiti da uno squillante “per te!”. Diverso  è  stato  per  mio  marito:  Claudia  sembrava  avere  quasi  un  rifiuto nei  suoi confronti. A suo modo, vedeva solo me. C’è da dire che il papà non ha mai investito tanto tempo per lei. La  nascita  di  Claudia, infatti,   ha  segnato  un  profondo  spartiacque  nella  nostra  vita  di coppia. Io  mi  sono  scoperta  madre,  ma  sola  nella  relazione di coppia. Mi  sono  tramutata  in  ponte tra padre e figlia, fungendo anche da collante tra i due. E  viene  da  sé  capire  che la  diagnosi ha  lentamente  contribuito a segnare la fine  del mio matrimonio.

Fiore – Continua… ti ascolto.

Mezzina – Eventi così forti uniscono  ancor  più  una  famiglia oppure  la disuniscono. Il  papà  della  bambina  già  non  sembrava  aver  accettato il  suo  status di “padre”: ecco perché, a diagnosi ricevuta, immaginavo in cuor mio dove saremmo andati a parare. 

Fiore – I problemi percepiti li avevi mai messi in connessione con l’autismo?

Mezzina – Assolutamente  no.  Non  avevo  mai  avuto  a  che  fare  con  soggetti autistici prima (o almeno, così pensavo..!). Senza  alcuna  esperienza  palese  e  diretta,  avevo  ricondotto tutto  a  questioni   caratteriali, di crescita, allo stile di vita che conducevamo al tempo, al bilinguismo  dentro casa (il papà di mia figlia è di altra nazionalità )… e, in ultimo, avevo pensato  anche a cause dovute al difficile parto avuto con Claudia.

Fiore – I momenti positivi di Claudia?

Mezzina – È  un’entusiasta,  una creativa, è figlia  della  natura  più  selvaggia. Claudia sarebbe  sempre  felice  se  immersa  nel  verde,  in  prossimità  del  mare,  con  fogli  e colori a portata di mano. Ama le novità, le cose belle… anche quelle più semplici. Adesso comincia ad aprirsi al mondo, alla gente. Esiste reciprocità nei rapporti con gli  adulti di  fiducia  (con  i  pari  ancora  no! )…  ed  è  bello  vederla  esprimere  la  sua affettuosità,   mentre   cerca   il   suo   modo   e   le   sue   vie   verso   l’empatia e   la condivisione.

Fiore – E i negativi?

Mezzina – Ciclicamente  Claudia  tende  a  sviluppare  delle  vere  e  proprie  “fisse” e dei forti interessi che, chiaramente, non  sa gestire e centellinare autonomamente. Ma al momento siamo lontani da fasi negative, complesse.  Claudia sta crescendo tanto, è diventata più flessibile, disposta a seguire direttive e consigli… il che è dire davvero tanto! Quindi è su questo che ci concentriamo al momento. Forse,  però,  a  questa  domanda  potrebbero  rispondere  le  persone  che  non  sono entrate in sintonia con lei! Claudia,  nonostante  le  sue  difficoltà,  è  una  bambina  semplice. Basta  poco,  con  le giuste  modalità,  per  far  rientrare  un  raro  e  famigerato “comportamento-problema”. Basta poco per lasciarsi supportare… come basta poco, in negativo, per farla esplodere come una bomba. Serve sempre la persona giusta, insieme ai modi giusti.

Fiore – Ti sei mai sentita rifiutata da tua figlia?

Mezzina – Mai.  Come  dice  mio  padre,  sin  dai  primi  mesi  di  vita  di  Claudia: “Quando  entri  tu  nella  stanza,  il  viso  di  Claudia  si  illumina”.  Ed  è  così.  Abbiamo una  connessione  fuori  dal  comune,  che  va  oltre  l’immenso  legame  fra  madre  e figlia. Un legame messo a dura prova dai momenti difficili, di ingestibilità, dove è servito e serve riportare l’ordine con estrema fermezza. Ma, anche dopo fasi di tempesta, ci ritroviamo sempre. Lei conosce il mio cuore, ed io il suo. Certo,  non  tutto   avviene  tramite  l’amore  di  mamma  e  basta!  Abbiamo  una psicologa  clinica  al  nostro   fianco,  che ci segue sin dal dopo  diagnosi.  È  il nostro angelo custode: un po’ maga, un po’ psicologa, così come piace dire a me. L’impegno  è  stato ed è nostro,  ma  la  forza  ed  esattezza  delle  sue  direttive tengono banco.

Fiore – I medici e l’autismo: quanti conoscono questa neuro diversità?

Mezzina – La parola autismo si usa ( ed abusa ) molto di più adesso. Ma non basta conoscerne  l’etichettatura. Non  basta  neanche  un  primo  corso  di  studi  per  potersi definire  professionisti.  La  medicina  è  in  continua  evoluzione.  E  lo  è  ogni  singolo essere umano, con tutte le sue peculiarità. Lo studio, gli aggiornamenti costanti, l’esperienza sul campo… il tutto ben  mescolato a una gran dose di empatia ed interesse.  Ecco, in questo caso si può dire: il professionista X è esperto e porrei mia figlia nelle sue mani senza neanche battere ciglio. Mi  chiedevi  dei  medici… ma  questo  discorso  vale  per  tante  altre  categorie  di persone che si accostano necessariamente ai nostri figli.

Fiore – Il percorso di Claudia dalla diagnosi all’ante iscrizione alla prima elementare?

Mezzina –  … ed è proprio qui che volevamo arrivare, giusto?

Sorride scherzosa, Ghita.

Fiore – Già…

Mezzina – La diagnosi  apre una finestra su una serie di scenari danteschi: ricerca di luoghi, persone, uffici, maghi e santoni. La  burocrazia  incomprensibile  e  scellerata.  A  distanza  di  anni,  mi  faccio, ogni tanto, un  applauso  da  sola  per  essere  riuscita  ad  inserirmi  nel  calderone  con  una certa rapidità! L’ingresso  alla  materna  con  l’ausilio  del  sostegno  scolastico lo  si  fa  dopo  aver affrontato la combo INPS/ASL. Mia figlia, avendo un’invalidità civile pari al 100% e quindi  in godimento dell’art.3, comma 3 della legge n. 104/92,  ha  diritto al  rapporto  uno  ad  uno  con  la  docente assegnata. La prima che si è affacciata a scuola non si è più vista dal giorno successivo. Si  era  presentata  piuttosto  malamente,  affermando:  “Non  ho  mai  visto  gli  autistici  in  giro,  ma  una  mia  amica  sì”. Bene. Dopo aver sentito questo, le  racconto in breve quali  fossero  i  comportamenti problematici di mia figlia, chiedendole come intendesse supportarla nell’eventualità di una forte crisi. Fuggita via, veloce come il vento. Diversi giorni dopo incontriamo una nuova docente: alta, viso dolce, dall’ andatura distesa  e  rassicurante. Tra  lei  e  Claudia  c’è  immediatamente  un  colpo  di fulmine. Affetto  ed  intesa  che  le  legano  ancora  oggi  e  di  cui,  senza,  non  avremmo mai  fatto i  passi  da  gigante  che  sono  stati compiuti  e  che  ancora  compiamo  insieme. La  docente  si  era  appena  specializzata  nel  sostegno  e  Claudia  è  stata  la  sua prima bimba nello spettro. Perché dico questo? Perché questa persona ha messo in gioco le sue (al tempo poche) conoscenze ma,  soprattutto, la passione e dedizione per il suo lavoro. È  una  donna  che  ha  sempre  creduto  in  ciò  che  faceva,  anche  in  momenti  di perplessità… ed ha sempre creduto in mia figlia. L’ha accolta, accettata e mai l’ha guardata come “diversa” . La  docente  venuta  dopo  di  lei,  invece  (si,  perché  la  parola  CONTINUITÀ  non  è concepita  nel  mondo  scolastico),  non  aveva  esperienza,  voglia  e  nessun briciolo di empatia. Quest’anno  stessa  cosa:  abbiamo  cominciato  la  prima  elementare  e  non  siamo state affiancate dalla persona giusta. Mi  ritrovo  a  dover  spendere  tanto ed ulteriore  denaro  per  far  accedere  i  nostri terapisti privati  a  scuola,  così  da  garantire alla  docente  di  sostegno  un  po’  di serenità. Hai  sentito bene,  Vincenzo:  garantire  alla  docente,  non  a  mia figlia!  Perché mia figlia è sempre quella di prima: basta la persona giusta con i modi corretti, e lei si allinea a vele spiegate alla classe.

Fiore – Un disastro…

Mezzina – Assolutamente sì…Con  l’insegnante  assegnataci  è  tutto un  disastro:  Claudia  non  viene  capita, rassicurata,  gestita  e  contenuta. 

Fiore – Perché?

Mezzina – Perché  per  alcuni  “autismo”  è  solo  sinonimo  di maleducazione  (e  anche  di  deficienza). Quindi,  non  avendo  Claudia  buone maniere, significa che a casa la madre è una poco di buono. I figli vanno addrizzati a  casa,  non  a  scuola! Perciò  mia figlia  non  ritrova  il filo  del  discorso,  la  consueta routine fatta di regole ferme, ma fornite con cortesia. Scuola  e  terapisti dovrebbero  fare  rete,  così  da  poter  tutti lavorare  allo  stesso modo e sulle stesse cose contemporaneamente. Una rete di supporto nella quale una bimba autistica,  in  questo  caso  mia figlia, non   si  dovrebbe  mai  sentire  smarrita se il lavoro trova i suoi capisaldi anche nella continuità della didattica e nella chiarezza della terapia scolastica. Tutti “dovrebbero  fare  rete”,  ma  poi capita  l’insegnante  che  si  oppone perché non interessata e tutto va a rotoli.

Fiore – Con i compagni di classe si verificano problemi?

Mezzina –  No! Come dicevo prima, Claudia non ha ancora sviluppato forte interesse  nei  confronti dei pari. Curiosità, certamente. Se presa per mano e inserita in un momento di condivisione sociale di suo interesse (ad esempio l’ora di educazione fisica), allora condivide volentieri spazio e tempo con altri bambini. Ma  finisce lì. Quindi, non essendoci contatto e ricerca degli altri da parte sua, non c’è neanche possibilità che insorgano problemi, litigi.

Fiore – L’autismo, secondo te, dai docenti di sostegno è stato capito? C’è in loro  una formazione corretta o molti di loro sono inadatti al ruolo?

Mezzina – C’è docente e docente. Ci sono quelli qualificati  e quelli che non lo sono. In entrambe le categorie è possibile trovare persone eccelse o pessime. La  formazione  è  una  scelta  personale  ben  precisa  e  riccamente  spesata  da  parte del singolo interessato. Ai ruoli di sostegno approdano, per esempio, anche persone munite di laurea in giurisprudenza, completamente crude di esperienza di sostegno, perché solo grazie ai punteggi acquisiti possono entrare in graduatoria per successivi incarichi. Mentre  altre,  sempre  non qualificate, mirano a scontare i 5 anni di sostegno, per poi ottenere un posto fisso a scuola come docente. E questo è un problema. Infatti molti di essi pur sapendo di non essere preparati tentano di ficcarsi a tutti i costi nelle nostre vite creando notevoli disagi psicologici. Ma, ahimè, il problema più grande sta un po’ più su, oltre alla singola scuola. La disabilità resta un fastidio. La  disabilità  è  quella  macchia  nell’ombra  alla  quale  nessuno  vuole  avvicinarsi davvero tant’è che vengono prese  decisioni molto discutibili e generiche, senza testa e senza coda. “Diamo la possibilità a chiunque di lavorare come insegnante di sostegno, così qualcuno ci pensa a tenere i disabili a scuola” è il leitmotiv in circolazione.  Poi però ci sono le giornate nazionali e mondiali dedicate all’autismo, per esempio, in cui le  facciate  dei  comuni  vengono  illuminate  di  blu  per  24h,  sostenendo  per questo cifre da capogiro, anche se lo  stesso  comune  non  garantisce  le  ore  di  assistenza  da  parte  di un’educatrice professionale a scuola.  Ore aggiuntive al sostegno che ci spettano di diritto. Con i soldi spesi per le lampadine blu, i Comuni potrebbero, per esempio, organizzare giornate di formazione ABA per il personale scolastico. Ma  prima  o  poi  a  questo  dovremmo  arrivarci. Non  lo  dico  io,  ma  le  statistiche:  1 bambino su 77 è affetto da autismo nel nostro paese.

Fiore – E’ vero che tutto quello che hanno gli autistici è solo qualche ora di logopedia e psicomotricità alla settimana?

Mezzina – Dipende da quanto una famiglia sia in grado di spendere! Sì, parlo già di terapie private, perché con il pubblico noi non abbiamo mai avuto  l’onore di avere a che fare.  Liste di attesa interminabili in primis: dopo la diagnosi, la  nostra  ASL  ci  disse  che  c’erano  due  anni  di  attesa  per  cominciare  un  percorso logopedico. L’ABA,  fra  gli  interventi  terapeutici  più  importanti,  in  Puglia  viene  fatta solo privatamente. L’ASL può concedere solo un piccolo rimborso e forse un “in bocca al lupo”! Ci sono tanti modi di intervenire, a seconda dei bisogni ma anche degli interessi del bambino. Per mia  figlia, per esempio, è stato necessario introdurre la logopedia e l’ABA. Ma  esiste  anche  la  TMA  (Terapia  Multi sistematica  in  Acqua)  che  per  Claudia  è stata da subito un toccasana, avendo una grande passione per il mare e la piscina. Ma c’è chi sceglie l’ausilio della musicoterapia o della Pet Therapy, magari accompagnate da altro intervento specifico. Esiste la neuropsicomotricità e psicomotricità individuale o anche di gruppo. Forse mi sfugge qualcosa… ma  garantisco che, una volta capito il meccanismo, se così  si  può  dire,  tutto    può  diventare  utile  e  terapeutico. Anche un pomeriggio  di pasticci culinari a casa, un’uscita al parco o al supermercato di zona. Subito  dopo  la  diagnosi,  contavo  i  singoli  minuti di terapia effettuata,  facendo  calcoli  settimanali  per  poi  dire : “Avrà  fatto abbastanza?  Mezz’ora  di  scuola  in meno la farà regredire in qualcosa?”  Col  tempo  ho  fatto pace  con  la  diagnosi,  con  gli  imprevisti,  con  l’assenza  di  personale adatto e l’assenza di sufficiente denaro per tutto. Leggendo, informandomi, seguendo i consigli dei  terapisti e vivendo mia figlia  passo passo, mi sono slegata da quella trappola disperata di rigidità del “o tutto o niente” . E sono io stessa a contribuire con il lavoro che viene eseguito dai “pochi  ma buoni” . La diagnosi è pur sempre e solo un pezzo di carta. Il resto è vita. È tua  figlia.

Fiore – Da quello che mi risulta ci sono leggi a favore dell’autismo, ma male applicate o interpretate nelle varie Regioni con la conseguenza che ogni realtà territoriale si organizza come vuole dando origine così a un sistema a macchia di leopardo e non in grado di dare risposte omogenee. Cosa ne pensi?

Mezzina – L’ASL di Terni in Umbria passa la terapia ABA in convenzione. In Puglia  si  va  privatamente,  con  un  conto  di  circa  € 1000  mensili  per  aver  effettuato 4 ore settimanali di terapia. È giusto un esempio. L’autismo è una realtà. È un’emergenza, se mi è concesso dirlo. Servirebbe un piano uguale per tutti   a livello nazionale. Ormai  le  diagnosi  vengono  sfornate  alla  velocità  della  luce,  non  è  più  quello  il problema.   Ma,  una  volta  usciti dal  reparto  di  neuropsichiatria  infantile,  con  una diagnosi e due nomi di cooperative scritti su un pezzo di carta… che si fa? Ci sono famiglie che si perdono nella loro stessa città. Si perdono nelle loro case, nei loro pensieri. A diagnosi ricevuta tutto cambia.  Guardi fuori dalla finestra lo stesso panorama di ogni giorno. Eppure  sembra diverso, sconosciuto. ​Le   famiglie   hanno   bisogno   di   supporto,   di   uscire   dall’ospedale   ed   entrare direttamente in un ufficio dove qualcuno offra supporto psicologico   e dica: “ Bene, lasci qui le carte che all’iter successivo ci pensiamo noi”. Un  genitore  così  consuma  il  suo  sacrosanto  diritto di  viversi  questo  lutto,  di stringere il proprio figlio un po’ di più. Acquisisce  il  diritto di  piangere  più  a  lungo,  senza  doversi  fermare  di  botto e  dire: “ Ah, no aspetta! Adesso devo scappare lì per la diagnosi funzionale”. A notizia ricevuta, si dovrebbe venir spinti automaticamente in questa direzione. Tu dirai: “ Eppure tu ce l’hai fatta  da sola”. Sì. Ma c’è chi non ce la fa. C’è chi non inizia neanche, perché non sa dove mettere le mani. C’è chi non inizia proprio perché non accetta la diagnosi  del  proprio figlio.   La  chiude  nel  cassetto e  manda  la  creatura  fuori  allo sbaraglio. C’è chi non inizia e nasconde figlio e diagnosi in casa, per paura della gente. C’è chi inizia e poi si ferma, perché capisce di non poter sostenere economicamente alcuna terapia.  Famiglie perse, figli persi. E che facciamo? Questa gente ha bisogno di essere sostenuta, abbracciata forte.  Nel presente e nel pensiero futuro del “Dopo di noi”.

E poi…

Questa gente, così come lo sono io, ha bisogno di fare rete. Si  deve  concepire  ed  accogliere  l’idea  di  una  grande  comunità,  dove  tutti siamo legati e collegati. È  così  che  una  madre  come  me  comincerà  a  vivere  in  pace  e  ad  accettare che,  un giorno, la propria bambina resterà sola… senza di lei. Nell’abbraccio  vero  di  una  comunità  nazionale,  nessuna  famiglia  sarà  sola…   nessun bambino resterà solo.

Fiore – Tu, come mamma di Claudia,  hai dato e fatto tutto quello che era nelle tue possibilità? Hai qualcosa da rimproverarti?

Mezzina – C’è sempre qualcosa da fare e da imparare. È ancora presto per potermi rimproverare  davvero  qualcosa.  Adesso  che  ci  stiamo  lasciando  alle  spalle  le  chiusure dovute dall’emergenza sanitaria, voglio cominciare a viaggiare. Claudia  deve  scoprire  sé  stessa  nel  mondo.  E  io,  guardando  lei,  scoprirò  nuove forme di felicità…

L’intervista finisce.

Antonella si offre di accompagnarmi alla macchina parcheggiata nei pressi di Largo 2 giugno e mi chiede se nel tragitto ci si può fermare in un bar a bere un caffè.

Attraversando Largo 2 giugno mi prega di annotare negli appunti dell’intervista della gioia che prova quando Claudia si ritrova a passeggiare in quel luogo e le corre incontro quasi per abbracciarla.

Guardo Antonella, la fisso e leggo nei suoi occhi i brividi della mamma amata dalla sua piccolina… quasi a voler dire: ”Perché non succede sempre?”

Non le dico nulla, la saluto e vado via… e penso: ”Come sarà il futuro di Antonella e Claudia?”

Non ne ho parlato perché forse avrei interrotto l’incantesimo di quella gioia…

01″a tu per tu con…” Ghita Mezzina, mamma di Claudia

a cura di Vincenzo Fiore

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Sono Vincenzo Fiore, nato a Mariotto, borgo in provincia di Bari, il 10 dicembre 1948. Vivo tra Roma, dove risiedo, e Mariotto. Sposato con un figlio. Ho conseguito la maturità classica presso il liceo classico di Molfetta, mi sono laureato in Lettere Moderne presso l’Università di Bari con una tesi sullo scrittore peruviano, Carlos Castaneda. Dal 1982 sono iscritto all’Ordine dei Giornalisti, elenco Pubblicisti. Amo la Politica che mi ha visto fortemente e attivamente impegnato anche con incarichi nazionali, amo organizzare eventi, presentazioni di libri, estemporanee di pittura. Mi appassiona l’agricoltura e il mondo contadino. Amo stare tra la gente e con la gente, mi piace interpretare la realtà nelle sue profondità più nascoste. Amo definirmi uno degli ultimi romantici, che guarda “oltre” per cercare l’infinito e ricamare la speranza sulla tela del vivere, in quell’intreccio di passioni, profumi, gioie, dolori e ricordi che formano il tempo della vita. Nel novembre 2017 ho dato alle stampe la mia prima raccolta di pensieri, “inchiostro d’anima”; ho scritto alcune prefazioni e note critiche per libri di poesie. Sono socio di Accademia e scrivo per SCREPMagazine.

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