Un giorno un rapace, stanco del suo vagabondare, posò le sue enormi ali sul ginkgo dalle foglie appena germogliate.
Il ginkgo amava il sole, con l’aiuto del vento muoveva lentamente le sue giovani foglie che crescevano al suo calore e cantava la libertà che scorreva nei suoi rami.
Quell’uccello dalle grandi ali e dalle larghe piume colorate, posandosi, quel giorno, gli aveva coperto il sole, senza ragione.
Non crescevano più foglie sui suoi rami.
La tristezza le inaridiva prima ancora di sbocciare.
Come ti chiami?
Chiese timidamente il ginkgo intirizzito.
Mi chiamo amore, quello gli rispose e ti terrò per sempre sotto le mie ali.
Il ginkgo lo guardò stralunato.
Amore?
Sussurrò piano.
I merli che mi vengono a trovare e parlano tra i miei rami raccontano che amore è un cielo trasparente dove ci si può specchiare, vedere se stessi, volare e ritornare.
Mentre tu sei l’ombra, la più scura, quella che non mi fa respirare.
Taci !
Disse il rapace, io volo alto e tu non lo potrai mai fare.
E’ vero, disse il ginkgo e con uno scatto di orgoglio drizzò le sue foglie rimaste, io non potrò mai volare ma metto radici profonde e vivrò mille anni.
Io sono l’albero della vita, io sono Amore.
Il vento che ascoltava discreto, volle aiutare il ginkgo che era insorto, mostrando coraggio, così gonfiò il suo petto e si mise a soffiare.
Soffiò così forte che il rapace perse molte piume e spaventato se ne andò prima di non poter più volare.
Lina Lombardo 17 gennaio 2017
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