Colori che svaniscono su tele morenti, affreschi inghiottiti nelle mura che gli diedero accoglienza. Tempo che non guarda in faccia nessuno, passa inesorabile, indifferente alla bellezza che fu… Ma il ricordo dei grandi Artisti permane e richiama. Ed è così che nascono i restauratori: artisti del nostro tempo che con rispetto, studio e talento rianimano opere di grande valore artistico-culturale, portandole al loro originario splendore. Una missione la loro. “Dove il tempo porta la fine… Loro riscrivono nuovi inizi.” L’espressione artistica è l’Anima! L’opera ne è il corpo. Il restauratore ne cura il corpo scalfito dalle incurie degli anni. Rispettoso però dell’Anima dell’artista, che riaffiorerà a restauro finito. Un artista lascia un segno tangibile del suo passaggio e solo un altro artista, con la dovuta sensibilità, può davvero riportare alle origini opere deturpate dal tempo e, dobbiamo dirlo, spesso dall’uomo stesso! Ma per farlo ci vuole conoscenza, tecnica, e tanta sensibilità.Cosa ne sarebbe stato dei grandi capolavori artistici se non ci fosse stata la mano attenta, amorevole, dell’arte del restauro? I restauratori hanno permesso, e permetteranno, a molte generazioni di vedere con i propri occhi capolavori che sarebbero svaniti, inevitabilmente. Il bisogno di conservazione, di tutela delle opere d’arti, non dovrebbe essere solo legato alla passione per la stessa. Ma dovrebbe essere un dovere in una società che ama il proprio Paese e gli artisti che ne diedero lustro nei secoli.
Oggi ne parliamo insieme ad una nota restauratrice che ha reso il suo lavoro una missione.
Conosciamola meglio
Eleonora Coloretti è nata a Firenze nel 1981 Restauratrice qualificata, laureata in conservazione e restauro del patrimonio storico artistico, completati gli studi universitari entra a far parte dei restauratori specializzati dell’Opera Primaziale Pisana, ente preposto alla tutela, al restauro e alla valorizzazione di Piazza dei Miracoli a Pisa (patrimonio UNESCO). Lavora sotto direzione tecnica di Gianni Caponi, Carlo Giantomassi e Donatella Zari, Gianluigi Colalucci, con supervisione scientifica di Antonio Paolucci.Perito esperto e consulente tecnico d’ufficio presso il tribunale di Massa, esegue attribuzioni, perizie, stime, valutazioni e certificazioni di opere d’arte.
Dell’arte dice: “Nell’arte ci sono le nostre radici e quando ti trovi davanti ad un’opera d’arte rovinata, sei assalita dal dolore nel notare il disamore che esiste nei riguardi del patrimonio artistico verso il quale abbiamo il diritto di goderne la bellezza, ma anche il dovere di preservare. E in quel momento vengono fuori l’amore e la passione: sono consapevole che sto facendo qualche cosa di buono, che con il mio lavoro posso recuperare e questo dà gioia e felicità perché stiamo recuperando un pezzetto di memoria”.
Innanzitutto la ringrazio di essere qui, e le chiedo quando è nata la sua passione per l’arte?
La mia passione per l’arte è nata molto presto quando ancora ero una bambina e mia nonna materna mi portava con sé in Chiesa. Ero affascinata dagli affreschi e dai dipinti custoditi in quei luoghi sacri e spesso così silenziosi e maestosi. Mentre lei pregava o sentivamo insieme la Messa, io ero molto più interessata a tutto quello che vedevo intorno a me, e alle storie che quelle opere raccontavano: ho capito subito che quella bellezza mi appagava, mi avvolgeva, mi faceva stare bene. Non ho più smesso di provare quella sensazione.
Ha lavorato come restauratrice alle opere dei monumenti di piazza dei Miracoli, con particolare riguardo al camposanto monumentale, ma anche in cattedrale, nel battistero, nella torre. Un ricordo di questa sua esperienza.
Il ricordo più nitido e vivo è quello del mio primo giorno in cantiere presso il Camposanto Monumentale: la reverenza, mista a sana paura, che provai nel trovarmi davanti al primo affresco che restaurai: una scena di Taddeo Gaddi. Non dimenticherò mai quel momento in cui l’emozione quasi mi bloccò, e devo ammettere che, davanti a qualsiasi altra opera d’arte da quel momento in poi, è stata sempre la stessa emozione.
Nelle sue prime esperienze come restauratrice, di fronte ad un’opera d’arte di millenni, che emozioni ha provato?
Emozioni contrastanti: prima tra tutte, come già ho accennato, la sana paura, poi la reverenza ed il rispetto nel trovarsi davanti alla storia: questo tipo di emozioni ti permettono di approcciarti in modo cauto e prudente, di non perdere la lucidità e di essere consapevole del tuo operato. Successivamente subentrano la gioia, lo stupore, l’orgoglio e la soddisfazione di poter svolgere quel tipo di lavoro che non è un lavoro, ma una pura passione ed una scelta di vita.
A quale tra i restauri realizzati nel tempo avrebbe voluto partecipare?
Sicuramente al recupero degli Affreschi di Giotto ad Assisi, dopo il terribile terremoto che colpì l’Umbria nel 1997. Non soltanto per l’importanza delle opere colpite, ma anche perché, durante quell’episodio, ci fu una vera e propria gara di solidarietà collettiva che coinvolse tutti: dai tecnici, agli studiosi, agli storici, ai volontari, agli studenti. L’amore per il nostro patrimonio culturale fu così potente da smuovere le coscienze di tutti e, questo, è il grande potere dell’arte.
Ha avuto l’occasione di collaborare con il compianto Gianluigi Colalucci, conosciuto per aver restaurato la Cappella Sistina in Vaticano. Un suo personale ricordo.
Gianluigi Colalucci è stato per me un grande maestro e devo a lui molto di quello che sono diventata. Ho un bellissimo ricordo di lui, permeato di grande affetto. Di lui ricordo l’umiltà, caratteristica dei grandi, la gentilezza, la semplicità e la grande passione per l’insegnamento: non si è mai risparmiato nel dare consigli, nel divulgare, nel raccontare il mestiere senza esserne geloso. Questo ha fatto di lui non solo la persona meravigliosa che era, ma anche il grande restauratore di fama internazionale che poi è meritatamente diventato e che noi tutti conosciamo. Abbiamo perso molto con la sua scomparsa, anche se lui resta nelle grandiose opere che ha restaurato.
Se potesse viaggiare nel tempo e conoscere uno degli artisti delle opere che ha restaurato, chi sarebbe e soprattutto cosa gli chiederebbe?
Sicuramente Benozzo Gozzoli, soprattutto perché gli anni in sua compagnia sono stati molti, ed ho avuto modo di poter mettere mano su molti dei suoi monumentali affreschi. Queste meravigliose scene, che adornano le pareti del Camposanto di Pisa, erano ricchissime di dettagli naturalistici e paesaggistici riportati con una maestria e precisione certosina da sembrare vere e proprie fotografie: tante volte ho cercato di capire se, e da dove, fossero stati tratti questi scenari, così fedeli alla realtà, nella loro rappresentazione. Mi piacerebbe chiedergli dove aveva visto questi paesaggi, sicuramente reali, se nella nostra Toscana o in qualche altro luogo, e cercarne ancora qualche traccia per confermarne la presenza.
È importante tutelare il patrimonio artistico, quanto educare i giovanissimi alla sua esistenza. Cosa fare per incentivare i giovani ad interessarsi all’arte?
Credo sia necessaria, nel momento storico in cui viviamo, una rieducazione al bello e che questo percorso debba partire proprio dai più piccoli: già dalla scuola materna è importante avvicinare i bambini all’arte, alla storia, al riconoscimento del patrimonio culturale come bene comune. Educare l’occhio al bello, all’armonia, alla bellezza. Per natura siamo portati a questo: si tratta solo di capire quali siano gli strumenti adatti da utilizzare per crescere in questo percorso, ed arrivare ad essere adulti consapevoli che l’arte fa parte di noi e della nostra essenza, e che è stato il principale mezzo attraverso il quale ci siamo affermati come identità culturale.
In un articolo a lei dedicato dice: “Ho provato ad entrare all’Opificio delle Pietre Dure ma non ci sono riuscita, non c’erano scuole e allora ho iniziato a frequentare le botteghe, lavavo i pennelli e intanto imparavo. Un restauratore deve saper fare di tutto, deve capire di che cosa si sta parlando”. Le va di raccontarci un aneddoto di questa esperienza.
Il percorso di un restauratore, come qualsiasi altro mestiere, conta sconfitte e vittorie: a diciannove anni provai ad entrare all’Opificio delle Pietre Dure a Firenze, ma le prove erano dure ed io troppo acerba e frettolosa di imparare. Abbandonai, pensavo momentaneamente quella strada, e decisi di andare ad imparare subito da chi poteva insegnarmi il mestiere e soprattutto da chi aveva voglia di insegnarmelo, e così feci. Sono stati gli anni più belli del mio percorso. Presso il primo restauratore che mi accolse passai un anno a togliere chiodi dai dipinti: ero lenta ed inesperta, la sera tornavo a casa con le mani tagliate ma il mattino dopo ero ancora lì… e adesso… sono ancora qui.
Ha da poco pubblicato il suo primo libro “Guardare il Restauro” edito dalla Campisano editore, Le va di parlarcene?
Il libro raccoglie cinque interviste inedite da me ideate e raccolte, a cinque dei più importanti restauratori italiani: Gianluigi Colalucci, Carlo Giantomassi e Donatella Zari, Guido Botticelli e Antonio Forcellino. Il libro racconta il restauro da un punto di vista nuovo ed insolito, cioè attraverso le parole di chi ha effettivamente progettato ed eseguito il delicato lavoro che sta dietro al recupero ed alla conservazione delle opere d’arte. Nella seconda parte del volume, ogni restauratore ha scelto di condividere un intervento di restauro particolarmente emblematico e rappresentativo della propria carriera. Chi acquisterà “Guardare il restauro” troverà nel libro testimonianze autentiche e inedite, aneddoti e curiosità riguardo alcuni dei più famosi e conosciuti capolavori della storia dell’arte italiana come la Cappella Sistina, La Tomba di Giulio II in San Pietro in Vincoli, il celebre dipinto di Caravaggio Giuditta e Oloferne, la Madonna del parto di Piero della Francesca.
George Bernard Shaw diceva: “Si usa uno specchio di vetro per guardare il viso e si usano le opere d’arte per guardare la propria anima.” Una sua considerazione.
Le opere d’arte sono, in effetti, espressione pura e primitiva della nostra anima: attraverso l’arte riusciamo a parlare un linguaggio universale, potente, che supera i confini del tempo e dello spazio e questo non è altro che quello che le nostre anime fanno, e che sempre faranno, unendo mondi e persone apparentemente diversi e lontani.
Progetti futuri?
Molti, sia nel campo del restauro che in quello della divulgazione e dell’educazione all’arte. Non meno importante la promozione di “Guardare il restauro” che mi aiuta a raggiungere luoghi e persone e che mi ha permesso di mettermi in contatto con moltissimi giovani studenti che partecipano attivamente alle presentazioni. Come io ho imparato anni fa, vorrei poter lasciare per loro qualcosa di buono da imparare: la nostra più grande responsabilità e felicità dovrebbe proprio essere il tramandare e per me, lo è, proprio perché non dimentico mai da dove sono partita e in che modo.
E giungo alla mia ultima domanda, ha ancora un sogno nel cassetto?
Continuare a fare questo lavoro migliorandomi sempre di più: non si smette mai di imparare, di crescere e di innamorarsi, se possibile, ancora di più, del proprio mestiere: se è vero che il primo amore non si scorda mai io aggiungo che mi auguro che mai mi lascerà.
Ringraziando Eleonora Coloretti per il tempo dedicatomi, ricordo agli amici di ScrepMagazine che potete acquistare il suo libro a questo link
Intevista a cura di Monica Pasero