L’Abbandono
Capitolo uno
Era una fredda mattina di novembre, e la donna avvolta in un mantello scuro stringeva con forza le mani delle sue due bambine, Maria e Isabella. I suoi occhi, nascosti dall’ombra del cappuccio, erano pieni di lacrime trattenute, mentre cercava di mantenere un’apparenza di calma per le sue figlie. Ogni passo che la avvicinava all’orfanotrofio pesava come un macigno sul suo cuore.
Quando finalmente arrivarono davanti all’imponente edificio con la targa “Orfanotrofio delle Piccole Speranze”, la donna si fermò, incapace di andare oltre. Si inginocchiò davanti alle bambine, tentando di imprimere nei loro volti ogni dettaglio: i riccioli biondi di Isabella, il sorriso coraggioso di Maria che cercava di essere forte per la sorellina.
Con la voce tremante, la donna sussurrò: “Siate coraggiose, mie amate. Qui sarete al sicuro. Un giorno, tornerò a prendervi.” Sapeva che queste parole erano un fragile conforto, una promessa incerta in un mondo crudele. Abbracciò le bambine con tutto l’amore che poteva trasmettere in quell’ultimo, disperato gesto.
Le sue mani, tremanti e gelide, si staccarono lentamente dalle manine calde delle figlie. Un singhiozzo le salì in gola, ma lo soffocò. Doveva essere forte, almeno per loro. Si alzò e fece un passo indietro, sentendo il cuore frantumarsi con ogni metro che la separava dalle sue bambine.
Quando finalmente girò le spalle e si allontanò, il mondo le sembrò privo di colori e suoni. Ogni passo era un atto di volontà pura, un tentativo di staccarsi dal dolore che minacciava di sopraffarla. Le lacrime, finalmente libere, scorrevano sul suo viso mentre ripeteva a se stessa che stava facendo la cosa giusta, che stava salvando le sue figlie da un destino ancora più terribile.
Ma nel profondo del suo cuore, sapeva che quel giorno avrebbe segnato per sempre la sua anima. La sensazione di vuoto e perdita non l’avrebbe mai abbandonata, e ogni notte sarebbe stata tormentata dal ricordo degli occhi delle sue bambine che la guardavano con paura e speranza.
Angela Amendola