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Penso a Pavese…

Sto ripensando Pavese.
Ho scritto per lui un monologo pubblicato in un libro di qualche anno fa che è stato rappresentato attraverso la magica voce di Giancarlo Davoli accompagnato al pianoforte dal maestro Rossella Mendicino: una potenza musicale che ancora oggi ricordo con profonda emozione.
Di Cesare Pavese penso molto spesso al suo “mal de vivre”, ai giorni contati della sua vita, un’attesa non priva di fatalismo per raggiungere il traguardo del gesto estremo e nello stesso tempo una speranza affinché il suo destino pressoché prestabilito potesse ritrovare quella luce abbandonata nelle Langhe della giovinezza.
La sua ricerca dell’amore era sentita come una necessità, per trasformare un doloroso sopravvivere in un “Vivere” autentico.
Invece, di vana attesa in vana attesa, quindi di delusione in delusione, nella sua anima anima prende sempre più piede la sensazione di buio, un “mal de vivre” che non gli prospetta alcun sopportabile futuro.
Aveva da poco vinto il Premio Strega, eppure si rende conto che il successo non colma vuoti, mancanze, né placa la fame d’amore, si rende conto che il successo acuisce la solitudine, quella solitudine che nasce dal profondo, dalle voragini senza fondo dell’interiorità.
Penso a Pavese, come a un nuovo Ortis, aggirarsi tra le ombre della sua mente, in piena estate (l’estate è una tragedia per gli infelici), in una anonima camera d’albergo.
E poi niente più… “La mort viendra et elle aura tes jeux“.

Tommaso Cozzitorto

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