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Incertezza

Viviamo in un’epoca di grande incertezza che genera grandi insicurezze. Lo vediamo oggi più che mai visto che la pandemia ci impedisce di progettare un futuro certo. I colori cambiano, sono ora rosso, ora arancione, ora giallo, i vaccini sono ora efficaci, ora insicuri, poi di nuovo una salvezza, poi dopo qualche ora un disastro. Per vivere la vita in tranquillità, avremmo bisogno di cose certe, sicure, tali che accompagnino il nostro cammino.

Fin dall’antichità, gli uomini hanno cercato la verità o almeno qualche certezza che rendesse la loro vita più sicura e senza errori grazie alla conoscenza di ciò che li circondava. Cercavano la verità nelle stelle, negli elementi della natura e nei fenomeni fisici. Le risposte erano diverse.

I presocratici contrapponevano l’opinione che derivava dai sensi alla verità che derivava dalla ragione. Anche Platone e Aristotele, i maggiori filosofi dell’antichità, ritenevano che la conoscenza sensibile fosse meno importante di quella razionale alla quale, quindi, spettava l’appellativo di scienza.

Per Platone, conoscenza vera è quella conoscenza che, liberatasi dagli ostacoli posti dai sensi, è visione di un mondo ideale puro, per esempio: non l’amico ma l’idea di amicizia.

Per Aristotele che non rifiutava l’apporto dei sensi, la vera conoscenza è la percezione sensibile dell’oggetto “proprio” di un senso, per esempio: un colore per la vista, o l’intellezione di una forma intellegibile.

Nel XIII secolo, Tommaso d’Aquino scrisse che la verità è l’adeguarsi dell’intelletto alle cose (veritas est adaequatio intellectus et rei), in ciò interpretava e sintetizzava il pensiero di Aristotele.

In questo contesto, però, un altro grande filosofo dell’antichità, Socrate, aveva già posto in dubbio la possibilità di conoscere con la sua affermazione: so di non sapere. Per Socrate la vita è un’ininterrotta ricerca del bene, delle virtù che abitano dentro di noi; dobbiamo cercarle. A cosa serve conoscere il mondo se non conosciamo prima di tutto noi stessi, è una considerazione che nasce leggendo il filosofo.

Anche gli scettici, nel periodo dell’ellenismo, fanno del dubbio il criterio della loro ricerca che si conclude con la convinzione che i sensi non siano affidabili e che la ragione possa ingannarsi. Per questi motivi, non può avere valore di verità né la conoscenza sensibile né quella razionale.

Nell’età moderna, il problema è ancora aperto e si vengono a formare due correnti: razionalismo ed empirismo.

Per i primi la conoscenza avviene quando la realtà viene descritta e definita dalla ragione. Il fondatore di tale corrente è R. Cartesio, filosofo e matematico, che riteneva che bastasse un metodo di ricerca efficace per conseguire verità e certezze.

Gli empiristi, invece, pensavano che nella nostra mente tutti i contenuti venissero dall’esterno e quindi solo il fare esperienza delle cose ci potesse portare ad un’accettabile grado di certezza. Le due correnti ebbero molto seguito fino al ‘900, ma ebbero anche i loro critici.

Contemporaneo di Cartesio, B. Pascal, filosofo e fine matematico, si oppose alle certezze di Cartesio sostenendo che l’uomo è un essere instabile in cui non è bene riporre grandi aspettative. Arrogante e superbo l’uomo viene infastidito da un’inezia, una mosca che gli ronza vicino all’orecchio gli fa prendere la decisione sbagliata e perfino un naso, quello di Cleopatra, può cambiare il corso della storia:

<<Chi vorrà conoscere a pieno la vanità dell’uomo non ha che da considerare le cause e gli effetti dell’amore. La causa è un non so che e gli effetti sono sconvolgenti. Questo non so che, tanto poca cosa che non la si riesce a determinare, sconvolge tutta la terra, i principi, gli eserciti, il mondo intero. Il naso di Cleopatra: se fosse stato più corto, tutta la faccia della terra sarebbe mutata>>. Pascal, Pensieri I,180

Non va molto meglio con le scienze. Esse sono destinate ad essere insicure perché il loro contenuto cambia e gli ambiti delle scienze sono molteplici. La storia ha dimostrato che guardare le stelle con un telescopio fa vedere cose diverse che se si guardasse ad occhio nudo e fa crollare secolari certezze.

Anche l’altra corrente dell’età moderna, l’empirismo, mostra i suoi limiti perché l’osservazione ripetuta e metodica degli eventi non sempre porta ai risultati attesi. Ce lo dimostra una storia raccontata da B. Russell, quella che ha come protagonista il tacchino induttivista (induzione è il metodo usato dagli empiristi e consiste nel passare dall’osservazione particolare ad una legge universale).

Un tacchino si trovava in un allevamento e fin dal primo giorno notò che il cibo veniva portato alle nove del mattino. Fu così ogni giorno della settimana, sia che facesse caldo, sia che facesse freddo; sia che ci fosse il sole, sia che piovesse. Da buon induttivista il tacchino, sommando i particolari, giunse ad elaborare una legge generale che diceva così: <<Tutti i giorni alle nove mi danno il cibo>>. Il povero tacchino e il metodo induttivista furono smentiti la mattina della vigilia di Natale!

L’empirismo e il suo metodo induttivo avevano avuto molto successo nella storia del pensiero scientifico; nel Novecento Russell, Popper ed altri filosofi hanno dimostrato che la conoscenza scientifica non è assolutamente certa.

Se non è certa la scienza, a maggior ragione abbiamo difficoltà noi uomini comuni a trovare le cose certe, forse dovremmo pensare come, sempre nei Pensieri scriveva Pascal:

<< Bisogna conoscere sé stessi. Anche se ciò non servisse a trovare la verità, serve almeno a regolare la propria vita, e nulla vi è di più giusto >>.

Forse dobbiamo abituarci a pensare che nel mondo ci sia più incertezza di quanto sembri, e non solo perché lo sentiamo in questo momento per la situazione che stiamo vivendo. Quante volte nella nostra vita i nostri progetti sono falliti per un imprevisto; quante volte ci rendiamo conto che le cose non hanno il verso che vorremmo e poi, un’improvvisa virata ci fa scoprire il bello che avremmo voluto. Quante volte abbiamo sentito incertezza fuori dalla porta di un ospedale o prima di affrontare esami scolastici importanti, o pensando al futuro dei nostri figli o viaggiando verso mete sconosciute, abbiamo sentito l’incertezza dentro di noi.

Meglio di me, lo dice Pascal:

<< Desideriamo la verità e in noi non troviamo che incertezze. Ricerchiamo la felicità e non troviamo che miseria e morte. Siamo incapaci di non desiderare e la verità e la felicità, e non siamo capaci né di certezza né di felicità. Questo desiderio ci è lasciato, tanto per punirci quanto per farci sentire da dove siamo caduti >>. Pascal, Pensieri I, 270

Pascal crede che l’incapacità della ragione, il suo ondeggiare dipenda dal fatto che la miseria dell’uomo deriva dall’essere un re decaduto. Il filosofo scriveva che un grande limite dell’uomo è quello di non saper stare da solo in una stanza. Noi, di stare soli, ne sappiamo abbastanza ma la solitudine di cui parla Pascal non è quella derivante da una pandemia, è un bisogno interiore che ognuno di noi dovrebbe sentire, quello di raccogliersi con i propri pensieri e magari pensare che i momenti di incertezza, per quanto possano essere lunghi e difficili, aprono sempre nuove prospettive.

Che siano le nostre prospettive aperte su un mondo diverso, migliore di quello a cui pensiamo con nostalgia e sapendo che faremo affidamento sulle poche sicurezze che abbiamo e sulla forza e l’equilibrio interiore che abbiamo costruito dentro di noi per affrontare le incertezze che prima o poi si presenteranno.

Gabriella Colistra

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