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Essere o non essere: questo è il problema

Ricorro alla drammatica domanda di Amleto, principe di Danimarca nella tragedia di Shakespeare, per introdurre uno dei primi problemi filosofici che produsse contrasti e ripensamenti tra coloro che si fecero coinvolgere dalla questione e che è oggetto di discussione tra filosofi, ancora oggi.

Il primo a porre il problema dell’essere fu Parmenide, filosofo vissuto ad Elea, colonia della Magna Grecia, nel VI secolo a. C. Nei frammenti del poema Peri physeos, il filosofo enuncia le sue tesi sull’essere:

L’essere è (via della verità)

Il non essere non è (via dell’errore)

Pensare ed essere sono la stessa cosa.

Se osserviamo ciò che dice ancora Parmenide, notiamo che per lui solo l’essere contiene la verità e questa dobbiamo seguire, il non essere logicamente non esiste e quindi non è una via percorribile e dobbiamo abbandonarla.

Ma cos’è l’essere per Parmenide? Semplificando la questione, che ha diverse interpretazioni, direi che l’essere esprime la totalità delle cose, è tutto ciò che esiste. Naturalmente ci sono le cose differenti una dall’altra ma sono tutte accomunate dall’avere un elemento in comune che è appunto l’essere, l’esistere. Ancora nel poema, Parmenide fissa le caratteristiche dell’essere che è unico, immobile, senza fine, ingenerato, imperituro e simile ad una “rotonda sfera. Si comprende dunque che per Parmenide non esiste il mutamento e non esiste il tempo perché l’essere non nasce e non muore, la realtà è immobile, non è soggetta al divenire.

Dopo aver definito l’essere, Parmenide sconsiglia di seguire coloro che si affidano ai sensi, a ciò che sembra. Infatti scrive:

<<Da questa prima via di ricerca infatti ti allontano,

eppoi da quella per la quale mortali che nulla sanno

vanno errando, gente dalla doppia testa. Perché è l’incapacità che nel loro

petto dirige l’errante mente; ed essi vengono trascinati

insieme sordi e ciechi, istupiditi, gente che non sa decidersi,

da cui l’essere e il non essere sono ritenuti identici

e non identici, per cui di tutte le cose reversibile è il cammino>>

Chi è la “gente dalla doppia testa” per cui di tutte le cose reversibile è il cammino?

Probabilmente è la gente comune, quella che si ferma all’apparenza delle cose ma potrebbe esserci un riferimento ad Eraclito, filosofo di Efeso, che nel frammento 60 della sua opera Sulla natura scrive:<< Una e la stessa è la via all’in su e la via all’in giù>>. Per una stessa via, saliamo e scendiamo, questa idea non è di certo condivisa da Parmenide.

Eraclito è infatti il filosofo del divenire, del mutamento. Nel frammento 33 scrive:<<La stessa cosa sono il vivente e il morto, lo sveglio e il dormiente, il giovane e il vecchio: questi infatti mutando son quelli e quelli di nuovo mutando son questi>> e ancora nel frammento 34: <<Le cose fredde si scaldano, il caldo si fredda, l’umido si secca, ciò che è arido si inumidisce>> e nel frammento 35 <<Nello stesso fiume non è possibile scendere due volte>>.

Come si vede in questi frammenti, Eraclito crede che il divenire sia il risultato della trasformazione di ogni elemento nel suo opposto ed è proprio nella trasformazione che gli opposti si uniscono: <<Comune infatti è il principio e la fine nella circonferenza del cerchio>>.

Gli opposti, quindi, che per Eraclito unendosi creano nuove armoniche realtà, per Parmenide costituiscono il non essere che non può essere né pensato né espresso con le parole. Le due filosofie esprimono due modi diversi di intendere il mondo e le cose. Parmenide ha bisogno di un punto fermo, stabile, che sia alla base di ogni ragionamento che si compendia nell’affermazione: l’essere è. Eraclito crede che la vita sia movimento, continua lotta e conflitto <<è fuoco sempre vivente, che si accende e si spegne seconda giusta misura>> fr. 37 è <<polemos (la guerra) è padre di tutte le cose, di tutte re; e gli uni disvela come dei e gli altri come uomini, gli uni fa schiavi gli altri liberi>> fr. 31.

La questione non si ferma qui, dopo circa un secolo Platone, filosofo ateniese, annuncia di aver commesso il parricidio di Parmenide. Platone aveva concepito le idee che avevano le stesse caratteristiche dell’essere parmenideo, erano immutabili e universali, tuttavia sentiva la presenza della molteplicità che non pensava di dover eliminare.

Il dualismo che ne deriva può risolversi solo percorrendo una terza via, cosa che fa Platone scrivendo il Sofista, un dialogo in cui sostiene che al vertice delle idee ci sono i generi sommi, cioè quelli che comprendono sotto di sé altri generi, e sono: essere, identico, diverso, quiete, movimento; il rapporto tra identico e diverso può sostituire il non essere parmenideo che indicava l’errore.

Per esempio: un’idea è identica a sé stessa, è diversa rispetto ad un’altra che è opposta. In conclusione, il non essere che per Parmenide era “il nulla”, per Platone diventa “il diverso”. In ciò sta il parricidio nei confronti di Parmenide che aveva sostenuto che non si possa pensare <<che il non essere in qualche modo sia>>, Platone con la sua argomentazione ha dimostrato che il “non essere” diventa “diverso”.

Il problema dell’essere non viene definitivamente risolto da Platone, i filosofi successivi, a iniziare da Aristotele, continuarono ad occuparsi della questione che è ancora aperta nella filosofia contemporanea. Vanità della filosofia? No! Ricchezza del pensiero e delle sue infinite possibilità di interrogarsi e di dare risposte che indicano modi di essere e di vivere, dandoci un mondo che è bello perché è vario; la filosofia, soprattutto, impedisce l’appiattimento acritico su posizioni e teorie divulgate dal maestro di turno che vuole addormentare le nostre capacità intellettive e logiche con sfavillio di luci e vacuità di parole.

Pensare, ragionare, questa è la lezione degli antichi e sempre attuali maestri che ci insegnarono che logos è parola, discorso, ragione.

<<La Sibilla che ha la bocca delirante dice cose non liete senza abbellirle e senza adornarle, e oltrepassa con la sua voce i millenni per incitamento del Dio>> Eraclito

Gabriella Colistra

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