TIZIANO VECELLIO (parte quarta)
“Danae” olio su tela (120×172 cm) realizzato nel 1545.
Museo di Capodimonte di Napoli.
Il soggetto mitologico della “Danae” è uno dei più famosi nel Rinascimento.
A un pittore come Tiziano non poteva sfuggire un tema come quello di “Danae” nel quale la luce, come Caravaggio, è una grande protagonista.
Tiziano si era già imbattuto in soggetti erotici, basti ricordare la famosa “Venere di Urbino”, che ho trattato precedentemente nella seconda parte, dove una donna è distesa nuda su un letto e guarda in modo “ammiccante” gli spettatori.
La “Danae” di Tiziano riprende il soggetto della “Venere di Urbino”, ma elevandolo sulla scala del mito.
Per chi non conoscesse la storia, Giove, innamorato di Danae, figlia del Re di Argo Acrisio, si tramutò in nuvola per poterla possedere.
Il padre della giovane infatti, aveva avuto un brutto presagio dall’oracolo: il futuro figlio della figlia lo avrebbero detronizzato.
Per evitare questo infausto avvenimento, la rinchiuse in una torre. Questo ostacolo però non fermò Giove che riuscì a unirsi alla fanciulla.
Nacque così Perseo.
Il quadro, ritornando a “Danae”, è di una dolcezza sconvolgente, come d’altronde tutti i quadri mitologici di Tiziano.
Il soggetto iconografico ha dei precedenti, da ravvisare nella già citata “Venere di Urbino” e nella “Leda” di Michelangelo.
Probabilmente proprio quest’ultima è il modello iniziale che Tiziano prese in considerazione. La posa è in effetti molto simile.
La prima versione di cui stiamo parlando è stata commissionata dal cardinale Alessandro Farnese (evidentemente ben poco scandalizzato dalla posa inequivocabile della procace donna nuda).
Fu infatti il Farnese stesso ad inviare a Tiziano una miniatura in modo che potesse rappresentarla nel quadro.
In questo modo la “Danae”, probabilmente, raffigurerebbe l’amante del cardinale Farnese.
“DANAE”
Il singolare concepimento di Danae è stato rappresentato da più artisti nel corso del Quattrocento e Cinquecento.
Un tema, quello dell’amore venale, molto frequente nell’arte in cui il denaro è presente in modo diretto o indiretto.
Lo stesso Tiziano esegue nel corso degli anni più versioni di questo stesso soggetto.
Quella che ci descrive l’artista, la prima, è un’immagine estremamente passionale: Danae è distesa sul letto, mentre riceve l’abbraccio di Giove in un atteggiamento di abbandono, con le gambe leggermente aperte per accogliere meglio la pioggia d’oro che cade copiosa dall’alto.
Gli è accanto, in piedi, il giovane dio dell’amore Cupido, figlio di Venere, pronto a propiziare l’unione dei due.
Le intense tonalità cromatiche, la carne che risalta sul bianco del lenzuolo esaltandone la scena, rendono ancora più fluidi e compatti i colori, incastonando l’opera tra le migliori raffigurazioni dell’opulenza femminile cinquecentesca.
Eppoi c’è dell’altro. La vera capacità dell’artista è quella di aver saputo raccontare con le sue pennellate la storia di questo pulviscolo dorato e, attraverso questo, il momento dell’estasi dell’amore.
Una poesia mitologia fatta di luce e colori che rappresenterà per i contemporanei di Tiziano, e per i suoi seguaci, il vertice di tutta la sua produzione artistica.
PER CONCLUDERE:
É una bellezza carnale quella delle donne di Tiziano, assai sensuale ma mai volgare…
Tanto belle ed eleganti quanto raffinate e dolci, ci parlano del corpo femminile e della loro bellezza
La Danae di Napoli è una delle tante versioni che si ritrovano sparsi nei più grandi musei del mondo.
Ma, forse, quella conservata a Capodimonte, che vi ho appena descritto, è sicuramente la più bella.
I colori, le forme e la complessa struttura dell’opera, sono marchio inimitabile dello stile di Tiziano.
Da ammirare più che altro quanto acceso sia questo puro realismo della scena e delle carni e di quanto il pittore sia stato bravo a cogliere l’attimo di attesa.
È il grande merito di Tiziano: mostrarci i suoi personaggi sotto una dimensione intima umana cogliendo i lati più emotivi, profondi.
Come la “Danae”, dove il volto esprime una forte estasi di grande piacere, di meraviglia e di desiderio, nel capolavoro di Tiziano Vecellio.
Bruno Vergani
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