In questi giorni, le cronache rimandavano le notizie della lunga e articolata vicenda tra il tennista Novak Djokovic e l’Australia, stato che ospita una manifestazione sportiva alla quale il campione vorrebbe partecipare. Lo sportivo, però, essendo no-vax avrebbe cercato di aggirare i divieti imposti dall’Australia per arginare l’epidemia di cui tutti ormai siamo edotti.
La vicenda non ha suscitato particolarmente il mio interesse non seguendo questo sport, ma riprovo i tentativi ingannevoli addotti per avere ragione, o pensando di passarla liscia solo perché si è famosi e danarosi.
Ciò che mi è tornato in mente è l’Australia, terra di cui non sentiamo spesso in cronache televisive, paese scoperto dagli europei nell’epoca dei grandi viaggi intercontinentali dell’età moderna.
Alla fine del Settecento, fu l’Inghilterra, grazie al capitano James Cook, a giungere in quelle lontanissime terre circondate dall’oceano Pacifico e da quello Indiano e ad una prima osservazione inospitale: enorme e in gran parte desertico, tanto che la scarsa popolazione locale viveva sulle coste meridionali dell’isola dove, il clima più temperato rendeva più agevole la vita.
Per questo motivo la lontana isola, per la propria inospitalità diventò una colonia penale del Regno Unito. I primi deportati giunsero nel 1788, in gran parte uomini e poche donne.
Nel XVIII secolo, la legge inglese prevedeva che, per i reati gravi, gli uomini venissero impiccati, le donne bruciate vive. Il rogo, però, per la sua atrocità, veniva condannato dall’opinione pubblica, soprattutto perché le condanne non sempre corrispondevano a reati gravi.
Per risolvere il problema anche le donne iniziarono ad essere deportate, in tal modo si metteva a tacere il dissenso, si comminava la pena e si popolavano terre in cui gli europei non volevano andare, sia per la lontananza dall’Europa che per le difficoltà di adattamento di cui si raccontava.
Fu così che navi cariche di ladri, falsari, assassini, sia uomini che donne partivano dai porti inglesi per approdare mesi dopo nel miserabile porto di Sydney, un cumulo di capanne intorno ad un fortino.
Pare che all’arrivo della prima nave con le donne, il governatore di Sydney si sia lamentato perché, invece di inviare provviste, il governo inglese avesse inviato un inutile gruppo di donne.
Non erano dello stesso parere i soldati e i poveri coloni che ebbero proprio ciò che desideravano di più, avere delle donne che “allietassero” la loro prigionia; infatti solo pochi uomini erano rinchiusi nelle celle dove dovevano sopportare violenze, terribili abusi e torture.
La maggior parte dei deportati veniva fatta lavorare nei campi o al servizio di coloni o di rappresentanti del governo inglese. Per anni seguirono matrimoni e battesimi, ladri e prostitute stavano formando il primo nucleo di una nuova popolazione: di origine inglese e con un nuovo spirito imprenditoriale.
Furono proprio loro, i figli dei ladri e delle prostitute che vollero liberarsi del marchio che opprimeva i genitori e chiesero all’Inghilterra di non inviare più detenuti in Australia. La richiesta fu accolta e dal 1853, i criminali non furono più deportati nelle colonie.
Passano gli anni, le lotte per la libertà sono riuscite a rendere libere le terre che una volta erano colonie ed oggi l’Australia, nonostante faccia parte del Commonwealth e riconosca come regina Elisabetta II d’Inghilterra, è un paese giovane, moderno, progredito.
Non sono mai stata in Australia ma dai racconti di chi c’è stato e da ciò che leggo immagino un paese con zone molto belle e di grande interesse naturalistico, le foto che ho visto mi fanno pensare ad ardite e moderne costruzioni. Sydney che nel Settecento era un miserabile porto oggi è un porto moderno e funzionale; sulle spiagge che videro in passato arrivare J. Cook, oggi arrivano schiere di appassionati di surf.
Sulla vicenda da cui sono partita aggiungo solo che mentre sto scrivendo è arrivata la notizia che, essendo stato respinto l’ultimo ricorso del campione, questi non potrà giocare e quindi ritornerà a casa.
Si potrebbe dire <<dura lex, sed lex >>, bene ha fatto Djokovic ad accettare senza polemica il verdetto della giuria australiana.
Il rispetto delle leggi è un atteggiamento importante se si vuole costruire un mondo basato su un diritto condiviso e non su un anarchico: faccio quello che mi va. In un giusto equilibrio tra esigenze individuali e bisogni collettivi risiede il senso dello stare insieme e di continuare ad essere una società solidale.
È stato lungo il cammino perché l’uomo, animale dotato di logos, diventasse persona con una propria individualità e dignità inserito in un contesto di relazioni in cui viene riconosciuto.
È stata soprattutto la filosofia che ha interpretato l’evolversi dell’uomo nella storia, sarà sempre lei a metterci in guardia contro le violazioni dei diritti.
Gabriella Colistra
” Ubi societas ibi ius “: come da sempre ed in tutte le società ( la Storia insegna! ).
Ciò sia per Novak DJOKOVIC sia per qualsiasi altra persona: ” Dura lex sed lex “.
Questo vale anche – se non soprattutto – per le” regole ” anti pandemia.
Intelligenti pauca.
Sono d’accordo con lei, non c’è società dove non sia rispettato il diritto di ognuno. Ma anche le leggi, come lei fa opportunamente notare.
Un cordiale saluto, Gabriella Colistra
[…] Seguendo la cronaca […]