Libro deriva da liber, cioè libero.
Ma se chiunque è libero di scrivere un libro, anche io devo essere altrettanto libero di decidere quale libro leggere.
E, invece, l’ultima moda di questi ultimi anni di nichilismo culturale, vorrebbe impormi cosa leggere.
Di più, vorrebbe obbligarmi a comprare libri che non sono libri.
Da qualche anno in qua, in ogni anfratto italico, viene presentato un libro, e poco importa che non valga nulla.
L’importante è “presentare” una qualunque schifezza editoriale, col pretesto di “fare cultura”.
Si tratta di un’attività compulsiva, di un vizio che ha tutte le caratteristiche di una turbe psichiatrica, che potremmo definire bibliomania.
Cioè, la febbrile e spasmodica tendenza a scrivere di tutto e spacciarla per prodotto letterario.
Sedicenti scrittori, sedicenti poeti, sedicenti critici letterari, sedicenti editori alla riscossa.
Tutti uniti a combattere in trincea contro l’ignoranza, nell’eroico tentativo di rivitalizzare la moribonda cultura nazionale.
Intanto, la Cultura non è e non può essere solo e soltanto presentazioni di libri.
Tutt’altro.
Questa estate, mosso da semplice curiosità, ma pure da un sadico compiacimento nel cogliere le fallanze espressive di presentatori e autori, ho partecipato a tantissimi “eventi c.d. letterari”.
Taccio, sull’ignobile operazione di vilipendio che ha subito e subisce quotidianamente la lingua italiana.
Raramente, gironzolando di qua e di là, ho sentito cose serie e di una certa levatura.
Per il resto, anzi, per la stragrande maggioranza, solo immondizia.
Se questa è cultura!
Ora, a parte l’infimo livello dei libri, ci sarebbe un altro appunto da fare.
Secondo me, non conta tanto quello che si scrive, ma come si scrive.
Mi spiego meglio.
Innanzitutto – ma credo sia un pensiero diffuso – mi sono stufato di leggere solo e soltanto di dolore, di disperazione, di malinconia, di tristezza, di cataclismi, di mafia, di morti ammazzati, di pessimismo cosmico, di noia, di guerre e pandemie.
L’umanità ha bisogno di leggerezza, di allegria, di respiri di felicità; ha bisogno di colorarsi la mente, insomma, e di ripulirsi l’anima da quella patina grigia e fuligginosa che le rende angusta la vita.
Ci sono grandi poeti e grandi scrittori che concettualmente avranno espresso delle banali ovvietà, ma lo hanno fatto con una scrittura superlativa.
Cioè, hanno saputo magistralmente “come scrivere“.
“Cosa scrivere“, lo sanno fare tutti, ma il “come scrivere” è per pochi.
Dunque, questo mercimonio di prodotti pseudoculturali, cui prodest?
Ve lo dico io: giova alle case editrici, che hanno bisogno di soldoni.
E, gli allocchi, malati di incorreggibile narcisismo, abboccano.
Le case editrici gongolano e gli autori pagano.
Che senso ha? Ma, di chi è la colpa?
Delle case editrici?
Degli autori?
Del mercato?
No, la colpa è di chi, per carità pelosa (il libro lo ha scritto il mio amico, posso non comprarlo? posso non dirgli che è bravo?) o pietas cristiana (ma, poverino, pure lui ha bisogno di vendere qualche copia) contribuisce a sostenere questo ignobile sistema marcio, oramai diventato un vizio immorale.
Pino Vitaliano
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