Insegnare al tempo del Coronavirus lo

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Lo tsunami che ha travolto le nostre vite e ne ha falciate migliaia per sempre, ha sconvolto e radicalmente cambiato la didattica in questo mese appena trascorso.

Dopo un primo momento di smarrimento iniziale, un esercito di docenti facenti parte di una classe eterogenea per livelli di competenza, si è rimboccata le maniche e si è lanciata a capofitto in questa nuova esperienza e non per semplice senso del dovere.

E allora via con le lezioni su Skype, Classeviva, Weschool , Googleclassroom, con compiti di realtà, webquest… insomma,  un estremo saluto alla didattica tradizionale.

Abbiamo affrontato impavidamente l’impietosa webcam (che specialmente ad una certa età, senza il conforto di parrucchiere ed estetiste è veramente una sfida coraggiosa), la preparazione di lezioni, test on line.

Tutto questo solo per garantire il diritto degli studenti allo studio? Non solo per questo.

Ci si può chiedere infatti, se in un momento così tragico, con il dolore per la perdita inesorabile di tante vite umane, con l’incubo di una situazione di una gravità inaudita si debba dedicare e richiedere energie per lezioni, compiti, valutazioni.

La risposta è sì, ma non con l’obiettivo di recuperare solo contenuti e abilità. Vorremmo dare una parvenza di normalità ad una situazione che è al di fuori di ogni immaginazione. In questo tragico momento storico ci siamo resi conto di quanto siano importanti le relazioni umane (“Nessun uomo è un’isola”) e di come la scuola sia un luogo di relazioni umane per eccellenza: tra docenti, tra docenti e alunni, tra docenti e famiglie.

Dobbiamo stare lontani ma paradossalmente la tecnologia (spesso vituperata per l’uso eccessivo uso che se ne fa) ci ha fatto entrare nelle case degli alunni e gli alunni sono entrati nei nostri salotti, i nostri numeri di cellulare sono ormai pubblici come per gli operatori dei call center e scopriamo che i ragazzi sono così educati che ci chiedono mille volte scusa per il disturbo se sono costretti a interpellarci sul gruppo Whats App di classe.

Ci siamo sentiti così più vicini, siamo entrati in una dimensione diversa di relazione,realizzando anche quell’alleanza scuola famiglia tanto difficile da mettere in atto in tempi ”normali”; gli stessi alunni che esultavano a scuola alla notizia della nostra assenza, adesso ci tempestano di messaggi per chiederci quando faremo lezione, per lamentarsi del docente che ha messo la lezione nella stessa ora della nostra.

Abbiamo scoperto che questi studenti, che spesso dovevamo rincorrere per l’interrogazione, che ci facevano saltare i nervi con le loro intemperanze, eternamente dipendenti dal “dio-cellulare“, ci mancavano. Vediamo poi riprodursi nuovamente le stesse situazioni che si verificavano a scuola: gli alunni che trovano mille scuse (adesso fornite ad hoc dalle carenze della tecnologia) per le assenze e i compiti non svolti, quelli che cercano di sabotare la lezione disconnettendo i compagni dal collegamento. Sono però un numero molto esiguo: la maggior parte ha preso coscienza del momento drammatico e mostra grande serietà e diligenza.

E la valutazione?

E’ mia opinione personale che in questo particolare momento la valutazione degli apprendimenti non sia una questione fondamentale: se gli studenti hanno compreso oggi l’importanza dello studio come diritto e di conseguenza dell’apprendimento per la loro formazione, abbiamo raggiunto già uno splendido risultato.

E’ auspicabile che questo particolare momento drammatico possa far emergere nuovamente il valore della scuola come mezzo per far diventare gli studenti “cittadini e non sudditi” (per citare Don Milani) e per la sua fondamentale importanza per la crescita culturale, economica e sociale della nostra nazione.  

Sarebbe un meraviglioso risultato se gli studenti, quando riprenderanno le lezioni, si recheranno a scuola, non perché costretti dagli adulti ma “ansiosi per quel che ancor non sanno”.

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