Sono le 5, la sveglia suona, inizia un nuovo giorno.
Quando esco il silenzio e le prime luci del mattino mi avvolgono.
Mi fermo a scattare una foto all’alba, la luce, i colori sono spettacolari.
Tanta bellezza mi emoziona e mi dà speranza, la speranza che andrà tutto bene.
Per arrivare al lavoro percorro circa 40 km.
in macchina da sola nella mia mente si affollano cento pensieri. Il primo pensiero è rivolto alle persone che amo, specialmente a quelle lontane che non vedo da tempo. In questo brutto periodo la mancanza si sente più forte, a volte mi toglie il respiro. Allora metto la musica a tutto volume, la voce del mio cantante preferito cancella tante preoccupazioni e i miei pensieri volano liberi come gabbiani.
Il panorama è stupendo, da mozzare il fiato, dall’alto del mio paese posso ammirare Roma ancora addormentata. Così addormentata come non l’avevo vista mai. Le strade deserte, il G.R.A. senza traffico, un paesaggio surreale.
Eccomi arrivata, all’improvviso un senso di ansia, di angoscia mi riporta alla realtà.
Entro in ospedale, stranamente silenzioso, percorro i lunghi corridoi e sento solo il rumore dei miei passi.
Ecco che mi viene incontro la mia bella collega, ci guardiamo, facciamo un bel respiro profondo e diamo il via ad un’altra giornata in reparto.
Abbasso lo sguardo e leggo “PERCORSO PROTETTO COVID 19”: da un giorno all’altro ci siamo trovate catapultate qui, a combattere contro un mostro sconosciuto e invisibile.
Comincia la “vestizione”, la nostra corazza contro “il nemico”.
Bardate così, ci sentiamo un po’ goffe e cerchiamo di scherzarci su. È questa la cosa bella di noi infermiere, anche in mezzo a tanto dolore, indossiamo sempre il nostro sorriso più bello.
Il lavoro procede a ritmi serrati, nemmeno il tempo di scambiarci due parole, ma tra colleghe affiatate basta un’occhiata per capirci.
Campanelli che non smettono di suonare, arrivi di corsa per vedere che succede: molte volte i pazienti vogliono solo essere rassicurati, dietro quella maschera d’ossigeno hanno gli occhi smarriti, si affidano a te, che sei un’estranea e così bardata incuti timore, possono vedere solo i tuoi occhi e vogliono il tuo sguardo, ti fissano cercando risposte che diano speranza, la speranza che andrà tutto bene.
Finalmente il turno è finito, mentre mi spoglio di tutti gli strati protettivi, mi rendo conto di essere stremata, tolgo la mascherina e sento la pelle che brucia, il naso dolorante, i solchi sul viso.
Raccolgo la poca energia rimasta e arrivo in macchina.
Mi guardo allo specchio e quello che vedo non mi piace, spero di non incontrare nessuno che mi conosce.
Allora mi vengono in mente quello che dicono e scrivono sui social… c’è gente che conta i giorni di quarantena, chi si sente carcerato, chi si lamenta che si annoia a stare dentro…
vorrei annoiarmi anch’io!
Apro la porta di casa, però mi accorgo che il mio cuore è rimasto lì, in corsia.
Domani andrò di nuovo a riprenderlo più FORTE DI PRIMA.
Mariella Pagliuso 21 marzo 2020
In queste prime settimane di quarantena abbiamo sperimentato un cambiamento drastico del nostro stile di vita. La routine stravolta, un lavoro da riorganizzare e farlo da casa quando si può, e troppo tempo da passare in casa, magari con la famiglia, tra quelle quattro mura che fino a un mese fa molti frequentavano solo le ore della cena e del riposo notturno.
Passato lo stordimento iniziale, abbiamo iniziato a prendere confidenza con questa nuova quotidianità che sta diventando la nostra normalità. Sì, perché il concetto stesso di normalità è destinato a cambiare, per lungo tempo. Finché nel mondo continuerà a girare questo virus e non si sarà trovata una cura.
È un cambiamento che dovremo interiorizzare in fretta, anche se ci fa star male, ci tiene distanti gli uni dagli altri, i padri dai figli, ci tiene distanti dalle amicizie e l’isolamento ci sta portando sempre più verso forme depressive.
Siamo stati privati dalla libertà di muoverci liberamente nelle nostre città, nella nostra nazione o nel mondo. Ci lamentiamo tutti della noia di dover stare a casa ma se ci fermiamo un attimo a riflettere, pensiamo a chi ogni giorno passa delle ore in ospedale a combattere un nemico invisibile che sta uccidendo migliaia di persone.
Pensiamo a chi al rientro a casa si deve privare di un abbraccio dei familiari per paura di aver portato a casa inavvertitamente il mostro invisibile e allora forse capiremo che noi siamo più che fortunati a dover stare chiusi in casa circondati dai nostri cari e che i nostri pomeriggi a fare shopping con le amiche o gli apericena non sono mica necessari per vivere.
Forza Mariella…siamo con te, siamo con tutti quelle e quelli che come te sono in prima linea ogni “santo giorno”!
Angela Amendola