Bisognerebbe essere educati a riconoscerlo in tempo prima che sia troppo tardi.
Non stare con gli occhi chiusi o fingere di ignorarlo.
Riconoscerlo è essenziale per non sconfinare, per non oltrepassare quella barriera immaginaria, quella linea di demarcazione che non si vede, non si tocca, ma si sente.
Dietro questa barriera ci siamo noi che dovremmo tentare di resistere con tutte le nostre forze in un equilibrio che facciamo fatica a mantenere sempre più stabile.
Perché si avverte l’impercettibile volontà di scavalcarla e, al contempo, il bisogno di un immobilismo forzato, costruito, premeditato.
Un senso del limite che ci lascia in un limbo oltre cui c’è l’inatteso, un salto nel buio, che ci ricorda le nostre fragilità, che ci inchioda alle nostre responsabilità e alla necessità di esercitare una sorta di dominio sui fermenti bellici dei nostri impulsi, emozioni, che investono tutti i nostri sensi.
Accettare questo confinamento significa fare un patto di non belligeranza tra la liquidità dell’istinto e la fermezza, solidità della ragione. Rimanere confinati equivale anche a fare i conti con le rinunce, le incertezze caratteriali, e poi i rimorsi e i rimpianti, sensi di colpa.
Tutto ciò non sarà mai foriero di serenità e, anzi, si rivelerà fortemente destabilizzante a medio e a lungo termine.
Piera Messinese
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