Il fotoromanzo padre della telenovela

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Chi ha la mia età sa di cosa parlo, se dico Lancio cosa vi viene in mente?

I suoi fotoromanzi…

Il decennio di massimo splendore è quello degli anni ’70 quando io ero poco più che bambina. Si vendevano cinque milioni di fotoromanzi al mese, quindici milioni di persone (dati certi) li leggevano dal parrucchiere, nelle sale d’attesa dei medici, aspettando l’uscita in edicola o il prestito da un’amica.
La categoria dei lettori che più veniva catturata era quella delle tredicenni e quattordicenni. Noi ragazzine inesperte dei sentimenti e di sesso, avevamo un’amica appena più smaliziata che ci passava pacchi di fotoromanzi usati, con le pagine arricciate, con i cuori disegnati a penna sulle foto degli attori più belli.

Li accoglievamo a braccia tese come un bene prezioso, li tenevano nascosti nelle nostre camerette, perché madri e nonne storcevano il naso di fronte a quelle foto dove un uomo e una donna non sposati comparivano in un letto, distesi l’uno accanto all’altro, con un lenzuolo a coprirli fino alla gola.

Ma l’immagine lasciava intuire e sognare più di tante esplicite e prolungate scene di sesso nelle nostre fiction odierne, naturale evoluzione del genere.

Espressione della narrativa popolare un sogno cartaceo e fotografico, i fotoromanzi avevano trame coinvolgenti, avventurose e ricche di sentimenti.

Le protagoniste erano eroine belle, gentili, con le quali potevano identificarsi ragazze comuni.

La loro felicità era insidiata da rivali cattive, dall’eleganza accigliata, sempre predilette da future suocere intriganti. Tutto si risolveva, il lieto fine era assicurato, i cattivi venivano puniti, gli innamorati si sposavano.

Ma, soprattutto, quelli che ci facevano impazzire erano i protagonisti maschili, attori di cui tutte noi appendevamo il poster alla parete.

Primo fra tutti lui, l’icona, il bellissimo, la quintessenza della virilità Franco Gasparri. Occhi verdi, capelli neri, spalle poderose, il fotoromanzo della sua vita s’interromperà a trentadue anni, per una caduta dalla moto che lo costringerà su una sedia a rotelle fino alla morte, avvenuta nel ’99.
Gli anni settanta, dicevamo, segnano il boom del fotoromanzo, creando miti adorati dalle adolescenti italiane da Katiuscia, Michela Roc, Paola Pitti, le sorelle Claudia e Francesca Rivelli (Ornella Muti).

Una «sorta di nuova cultura che nasce dai bisogni delle masse che impongono una nuova interpretazione in antitesi con quella che era monopolio di un gruppo».

Qualche anno prima, il giovanissimo Enrico Berlinguer aveva compreso la reale portata di nuovo giornalismo letterario, con il suo mondo d’ingenuità, sentimentalismi, peccati e peccatucci spesso commessi con la fantasia piuttosto che nella realtà.

I fotoromanzi mostravano alle masse come si poteva raggiungere la felicità senza gabbie ideologiche e senza la divina provvidenza, sono quindi odiati condannati boicottati dalla Chiesa che teme i più disinvolti costumi sessuali in essi rappresentati.

E dal Partito Comunista che li detesta perché strappalacrime e intimisti, troppo hollywoodiani.
Entrambi si ricrederanno più tardi, senza grandi esiti: Famiglia cristiana fotoromanzerà alcune vite di santi e martiri, il PC progetterà con quel modello una serie divulgativa per contadini.
Ma dopo l’apice, la decadenza.

La lettura dei fotoromanzi scema nella seconda metà degli anni ottanta, soppiantata da altre forme d’intrattenimento popolare, dalle telenovelas alle fiction, e sono questi nuovi generi, da allora in poi, a dirci cosa e come dobbiamo sognare.

Angela Amendola

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