Quanto incide il desiderio di maternità su ciascuna donna?
Non è di certo possibile operare generalizzazioni in merito alla faccenda, né tanto meno si rivela possibile pensare di poter evincere, per sommi capi, l’eventuale peso statistico che determina l’intensità di una specifica esigenza.
In linea di massima una donna avverte la necessità di procreare almeno un figlio, poiché sente fortemente che un evento tanto importante quanto impegnativo si erge a completamento di un’esistenza vissuta a metà , che arreca probabilmente delle appaganti soddisfazioni solo parzialmente.
La nascita di un figlio comporta una gioia grandiosa e smisurata, ma peccheremmo d’ipocrisia se trascurassimo il lato oscuro di un “post partum” che annienta sovente le giovani puerpere, fenomeno che interessa, per sommi capi, il 12% delle neomamme.
Comincia tutto con una spiccata difficoltà d’accattamento con il nascituro.
E seppur il sistema nervoso del neonato si riveli, in questa fase, caratterizzato da un’importante immaturità fisiologica, le dinamiche di un legame madre- figlio di tipo deficitario impongono le proprie ripercussioni a partire da quest’epoca.
In sostanza : il bambino sottende un mondo che non è possibile esplorare con la facilità che crediamo, né attraverso un pressapochismo oltremodo dannoso.
Sono una madre come tante altre e come tale ho avuto molte gioie e parecchie difficoltà.
È così impervio il cammino che conduce a delle adeguate strategie educative!
Proprio l’altro ieri, attendendo come sempre mio figlio all’uscita della scuola, rivolsi accidentalmente lo sguardo verso una targhetta posta sulla parte centrale del portone principale.
Su quella targa placcata in oro, v’è incisa l’intitolazione di uno degli istituti elementari maggiormente rinomati della mia città : “Maria Montessori”.
Sono cinque anni che ho piena contezza del nome della scuola frequentata da mio figlio ma non riesco a spiegare a me stessa il perché, proprio in quell’occasione, sentii l’esigenza di lasciarmi andare in riflessioni desuete:
-“Quant’è bello che la scuola del mio bambino sia stata intitolata ad una delle più grandi menti di sempre!”
-” E insomma, mia cara, ho cercato di realizzare , come meglio ho ritenuto, tutto ciò che nel tempo ho escogitato.
-Ma, soprattutto, ho tentato di portare a compimento molto di quello che ho amato”.
Qualcuno mi stava rispondendo.
Ma l’aspetto che più mi sorprese è che non avesse interagito in merito ai miei enunciati.
Aveva, contrariamente , intercettato miracolosamente il mio pensiero.
Eppure io, quella signora dal sorriso rassicurante e con i capelli semi raccolti, da qualche parte l’avevo già conosciuta.
Ma dove? Dov’è che l’avevo vista?
Caspita, sulle mille lire!!!
-” Che ne pensa se ci sedessimo su questa bella panchina all’ombra? Oggi pare che il sole ci voglia abbrustolire”
Di certo balbettai qualcosa, ma non ricordo assolutamente quel che le risposi.
Fatto sta che ci trovammo vicine, fianco a fianco, su una seduta un po’ traballante e decisamente precaria, ed io stentavo assolutamente a realizzare l’accaduto.
-” Ma guardi un po’, mi hanno pure intitolato una scuola! E pensare che ne feci di battaglie per convincerli ad abbracciare le mie intuizioni . Lei lo sa che si andava avanti a bacchettate sulle mani e a sostar sui ceci? I bambini erano imprigionati nella morsa del nozionismo. Null’altro che si contemplasse! Solo lingua italiana, aritmetica, condottieri e battaglie. E poi? La fantasia del discente, a quali ininfluenti e penosi margini veniva relegata? Quest’ultima aveva la stessa valenza di un bicchiere di latte per un merluzzo. Non avrei potuto accondiscendere a quell’assetto pseudo educativo, mai, nemmeno se m’avessero fatta fuori!”
Stavo ferma, immobile.
Ascoltavo le parole di Maria Montessori come si ascoltano le sonorità prodotte dallo sciabordio delle onde sugli scogli.
” La prego, Dottoressa, continui a farmi comprendere quali sono le vere regole che possano rendere la scuola un autentico luogo improntato su una vera educazione”.
” Vede, mia cara, ai quei tempi mi battei perché determinati concetti fossero chiari ed imprescindibili: è assolutamente necessario che l’educazione dell’allievo poggi le sue fondamenta sul profondo rispetto per i bambini. Questi ultimi sono entità irripetibili e bisogna aiutarli nel loro naturale processo di sviluppo. E poiché non è possibile operare generalizzazioni di sorta, dobbiamo sempre tenere ben presente il fatto che ogni bambino è assolutamente diverso dall’altro. Ragion per cui è necessario rispettare i personali tempi di apprendimento, costi quel che costi, ci volesse finanche un’eternità.
L’insegnante deve evitare di porsi come un “accessorio” avulso dal resto del contesto e deve fare da guida attraverso un processo di collaborazione attiva con i suoi alunni.
Bando all’eccessiva rigidità e ai posti assegnati con autorità e rigore! Che il bambino sia libero di muoversi nel rispetto delle regole, che si senta padrone di sperimentare spazi e oggetti, che viva serenamente le proprie frustrazioni, che giunga al loro superamento acquisendo fiducia in se stesso. Signora cara, i bambini sono adulti in miniatura. Hanno solo bisogno di strategie adeguate per crescere. Se le suddette strategie saranno affini alla personalità dell’infante non formeremo futuri uomini, bensì capolavori”
Quanta aulica saggezza in quelle espressioni forbite!
Ciò che mi colpì in modo particolare fu il fatto che, nonostante si trattasse di una delle più grandi personalità di tutti tempi, il suo atteggiamento mi ricordava le anziane ed amorevoli figure materne, quelle con le mani che odorano di burro e di vanillina, quelle che dispensano, spontaneamente, generosi ed autorevoli consigli.
Quasi una nonna che vive per il bene dei suoi nipoti o una balia sensibilissima e ricca d’esperienza e di valori, così profondamente legata ai piccini che ha allevato da non poter fare a meno di continuare ad amarli più di se stessa, persino al di là della vita.
“Signora, mi dica la verità : ma in tutto questo tempo, gli insegnanti mi hanno presa sul serio almeno un pochino?”
“Dottoressa Montessori, temo non tutti”.
“Grazie signora”
“Non c’è di che, Dottoressa”.
Si fecero le 13.45. Il suono della campanella distolse l’attenzione dai miei stessi pensieri.
Mio figlio scese allegramente le scale, insieme con tutti i suoi adorabili e gioiosi compagni.
-“Mamma, oggi la maestra ci ha detto che andare a scuola ci serve per diventare futuri uomini.”
-“No amore mio, andare a scuola vi serve per diventare dei capolavori”
Bambini
I sogni svolazzano intorno alla stanza
e della realtà non si curan le menti,
l’acerbo pensiero improvvisa una danza
gioiosa ed avulsa da pene e tormenti.
Sfumando la vita con tenui pastelli
adagiano il cuore su fragili idee,
così vulnerabili come castelli
da sempre in balìa delle alte maree.
Gli sguardi fugaci immortalano il mondo
giammai l’occhio vispo tralascia o trascura,
ignari che esista quel senso profondo
carpiscon segnali per loro natura.
Le stelle racchiuse in un soffio d’infanzia
conducono a viaggi , ma senza ritorno,
così si dissolse quell’alito d’ansia,
scoprendo che brillano anche di giorno.
Maria Cristina Adragna