Da diversi giorni è iniziato il processo ad Alessia Pifferi.
Ma chi è Alessia Pifferi?
È la donna che ha lasciato la sua bambina di un anno e mezzo, sei giorni da sola in casa, sita alla periferia di Milano, per recarsi a Bergamo, dall’uomo che frequentava da qualche tempo.
La piccola è morta di stenti per la fame e la sete, disidratata a causa del grande caldo di quei giorni e nel suo stomaco, sono state trovate tracce del cotone del pannolino.
La piccola Diana, così si chiamava, se n’è andata nell’abitazione da sola, vuota e serrata senza un filo d’aria nonostante il caldo per non far sentire il suo pianto ai vicini.
La madre, definizione ardua in questo caso, aveva lasciato nel lettino da campeggio dove la bimba dormiva, un biberon nel cui latte, e secondo gli inquirenti aveva versato mezza boccetta di benzodiazepine, un calmante.
Ha raggiunto il suo nuovo compagno a Bergamo e lí é rimasta.
E nonostante sia tornata un pomeriggio a Milano accompagnandolo per commissioni, non le è passato in testa, neanche per un attimo di andare a vedere come stava la figlioletta.
Ai carabinieri al momento dell’arresto ha detto : “Sapevo poteva accadere qualcosa a Diana, ma non volevo perdere il mio compagno e farlo arrabbiare“.
“Rivolevo sentirmi libera”: così ha provato a giustificarsi.
Si era sposata e si era separata, poi si univa a uomini conosciuti sui siti di incontri, lasciando spesso Diana sola.
Prima ore, poi pomeriggi, poi giorni.
I vicini la descrivono una madre anaffettiva al massimo, raccontano che teneva la figlioletta con evidenti problemi psicologici e deambulatori quasi sempre sul passeggino, anche quando si portava gli uomini in casa per “esercitare il mestiere più vecchio del mondo”.
Alla sorella che abitava vicino, l’aveva allontanata per non farle sapere ciò che combinava.
Ma aveva detto al compagno che poteva stare tranquillo, perché la bimba l’aveva lasciata con la sorella al mare: “Così respira”.
Insomma, una serie di bugie raccontate e che ricostruiscono i diciotto mesi del piccolo angelo, come un calvario.
Gli psichiatri arrancano nelle loro teorie. La donna non si può incasellare in nessuna categoria già conosciuta. Alessia Pifferi inaugura una nuova categoria: le madri omicide che hanno smarrito il femminile e la maternità.
Ma com’è possibile che ciò accada?
A mio avviso quanto successo non ha nulla a che vedere con la pazzia, la droga o l’indole criminale.
La tremenda fine di Diana, morta a 18 mesi, abbandonata da una madre che rivendica orribilmente il diritto di sé, della sua indipendenza, diventa una vicenda anche sociale e politica.
Non ci sono i servizi sociali, mai stati presenti nemmeno dopo che è arrivata in ospedale per il parto raccontando l’ennesima bugia, quella che non sapeva di essere incinta.
Bugia sconfessata dalla mamma di Alessia, che già dai primi mesi di gravidanza era a conoscenza della gravidanza.
Ma è inaccettabile la morte di Diana, per sei giorni chiusa in casa senza che nessuno l’abbia mai cercata, sentita, o vista in videochiamata come faceva spesso la nonna, nessuno che si sia preoccupato di lei, un padre, la madre, un assistente, un vicino, non si è preoccupato nessuno.
Di Diana restano foto, un video, una festa di compleanno.
Non più una creatura viva da accudire e da crescere, non più una figlia viva, ma per sei lunghi giorni Diana è stata un cuore battente tra pannolini pieni di vermi, un cuore che ha finito di battere tra stenti e morsi al cuscino e al pannolino.
Non è accettabile, è davvero inumano, malvagio quello che questa donna ha fatto alla sua bambina.L’ha uccisa senza sporcarsi le mani .
Cosa si nasconde nella figura di Medea, la donna che, dopo aver dato la vita, la sottrae?
Medea non è un’aliena.
E raramente uccide senza complici. I suoi complici quasi sempre sono nascosti in mezzo a noi e talvolta ci assomigliano. Sarà per questo che la fantasia collettiva, quando accade rimuove, rifiuta: come può una mamma ammazzare il proprio figlio?
Chi è e in quali oscurità va aggirandosi la donna che strappa il legame più viscerale?
E’ una parabola di paradossi, quella del figlicidio materno. Compreso quello che più di tutti gli altri rifiutiamo di accettare: una madre che uccide suo figlio non è un mostro, quasi mai. Una madre che uccide suo figlio, quasi sempre, è una donna sprofondata in un abisso, dove nessuno è riuscito a tenderle una mano.
Chissà quello che è successo a questa mamma. Le nuove Medee sono donne malate, il disagio è interiore e prevenibile nei limiti del possibile e della famiglia in cui vivono.
Capovolgere l’istinto materno in modo verticale, trasformandolo nel suo contrario: istinto omicida.
Nella maggior parte dei casi i figlicidi potevano essere evitati.
Come?
“Facendo attenzione ai campanelli d’allarme”, dice lo psichiatra Mastronardi. “In questo la famiglia gioca un ruolo importante. Le madri, spiega, non uccidono i propri figli di punto e in bianco ma arrivano a compiere questo gesto estremo lentamente, lanciando tanti piccoli segnali”.
Secondo me, infatti, siamo in un momento storico drammatico.
Nell’evidente declino di una civiltà tanto ingolfata nei suoi insostenibili consumi.
Occorre un nuovo Umanesimo Laico nel senso più Cristiano del termine, insomma occorre ritrovare un senso.
Perché quando accade che vengano uccisi dei bambini, i bambini sono di tutti noi, non solo dei loro genitori.
È per tutti un dolore becero, insensato, il segno, che si comincia a perdere l’essenziale.
Angela Amendola
Clicca il link qui sotto per leggere il mio articolo precedente: