Mara Venuto, poeta, drammaturga e ghostwriter freelance, nasce a Taranto e vive a Ostuni.
Ha collaborato con le più note testate giornalistiche pugliesi: dalle televisive alle cartacee alle online; ghostwriter ed editor, ha curato romanzi di grande successo per editori come Mondadori, Piemme, Edizioni Paoline.
Ha pubblicato numerose antologie di prosa e poesia, tra cui un ciclo di volumi al femminile; è inclusa in opere collettive di poesia, prosa e teatro; è presente in saggi critici dedicati alla poesia italiana femminile contemporanea.
Suoi testi originali e corti teatrali sono stati rappresentati con buon riscontro di pubblico e critica e inseriti in cartelloni e rassegne nazionali.
Ha fondato nel 2016 la Compagnia teatrale Voci del Mare, con l’attore e regista Vladimir Voccoli.
Sue poesie sono state tradotte e pubblicate in sette lingue.
Tra le sue pubblicazioni premiate: i monologhi teatrali Leggimi nei pensieri, The Monster, testo finalista al Mario Fratti Award 2014; le raccolte poetiche Gli impermeabili, Questa polvere la sparge il vento, La lingua della città, Vora.
È stata ospite di Festival internazionali di Poesia, tra cui: il IX Festival di Poesia Slava a Varsavia nel 2016; il XV Festival Trirema e poezisë Joniane a Saranda (Albania) nel 2021; il XXVI Festival Ditët e Naimit a Tetova (Macedonia) nel 2022.
Ha curato numerose pubblicazioni come l’antologia di racconti Il caldo buono e un ciclo di volumi al femminile come l’antologia di racconti e poesie Amori Liquidi, la raccolta di racconti e poesie Le due facce della luna, l’antologia di racconti e poesie Le Ali – La Libertà è Donna, Viola – il corpo e l’anima della donna.
Il suo dramma Faith è in traduzione presso la Saint Thomas University di Miami, dipartimento Human Trafficking, e sarà pubblicato in doppia lingua nel corso di quest’anno.
Alcuni suoi testi teatrali rappresentati sono Dall’Inferno di Dante all’Ilva di Taranto, regia di Alfredo Vasco, Gli Argini di Spoon River, regia di Vladimir Voccoli, Faith, regia di Elisa Barucchieri, N.N., regia di Giancarlo Luce, Gli Eroi, regia di Gianni Filannino, The Monster, regia di Vladimir Voccoli, Leggimi nei pensieri, regia del Maestro Giuseppe Maradei.
Fiore – Il primo autore, uomo o donna, che ti ha colpito come poeta?
Venuto – A livello puramente cronologico, il primo autore che mi ha affascinata è Lucrezio, scoperto al liceo con il “De Rerum Natura”, ripubblicato di recente con la nuova traduzione di Milo De Angelis.
Un classico che, lungi dall’alimentare la distanza dalla poesia trasmessa in ambito scolastico, da adolescente mi ha attratta per la forza e l’attualità e degli interrogativi, la riflessione sulla morte e il libero arbitrio.
Tra le reminiscenze liceali, mi sento anche di citare il Manzoni con le Odi sacre, in particolare “La Pentecoste”, per la forza della conversione, e poi “Il cinque maggio” per la visione profondamente umana dell’epopea napoleonica; infine, il Foscolo con “In morte del fratello Giovanni ” per l’immortalità dei sentimenti umani.
Fiore – Il primo libro di poesia che hai acquistato o cercato in una biblioteca?
Venuto – Ho acquistato negli anni ’90 le poesie d’amore di Nazim Hikmet. Prima ancora che lo rendesse più noto la cinematografia di Ferzan Ozpetek, da adolescente ebbi la possibilità di leggere un articolo sulla sua vicenda di poeta dissidente e perseguitato politicamente.
La lettura dei suoi versi e, in particolare, la vividezza delle immagini del Bosforo e la poetica dell’esilio, hanno creato tracce profonde dentro di me.
Fiore – Quando e in quale occasione hai scritto i primi versi?
Venuto – Ho scritto versi, per lo più epigrammatici, sin da ragazzina, ma senza mai identificarli come poesie e tenendoli rigorosamente privati. Finché nel 2008, dopo aver pubblicato il mio primo libro di monologhi teatrali, ho aperto uno dei tanti blog che fiorivano in quegli anni, e sono stati i lettori a dare ai miei testi la definizione di “poesie”, spingendomi a sistematizzare ciò che scrivevo ai fini di una eventuale pubblicazione.
Pubblicazione arrivata in realtà diversi anni dopo, nel 2016, dopo la menzione d’onore al prestigioso Premio Alinari per gli inediti.
Fiore – Cos’è per te la poesia?
Venuto – Mi sento di citare Ungaretti perché nella sua famosa intervista televisiva ha consegnato una definizione di poesia che sento molto vicina:”La Poesia è poesia quando porta in sé un segreto. Se la poesia è decifrabile nel modo più elementare non è Poesia, anche quella che pare semplice deve contenere un segreto”.
Il segreto della poesia non è solo riconducibile all’interpretazione, ma allo sguardo del poeta capace di cogliere nella realtà ciò che è “sottile”, quei dettagli che comunemente passano inosservati, è la percezione dell’invisibile pur nella concretezza.
La mente e sensibilità del poeta sono portati per la complessità, intesa come rifiuto del “riduzionismo concettuale”, come negazione delle semplificazioni.
Fiore – Come e perché ci si appassiona?
Venuto – Perché la vita come spesso è, ossia prosaica, volgare, materiale, esteticamente dozzinale, non basta, crea dissonanze e necessità di sviluppare o alimentare una visione diversa, ricercare un’elevazione, con un approccio simile a quello che è all’origine della vocazione religiosa.
Esiste una connessione tra istinto poetico e attitudine spirituale, senza che in ciò sia coinvolto alcun dogmatismo: mi riferisco all’ispirazione del cercare, confidando nella manifestazione, nell’illuminazione nel quotidiano, cogliendo la sacralità e l’atto generativo prodotto dalla parola.
Fiore – Sembra che il silenzio sia il grembo idoneo per la nascita della poesia… sei d’accordo?
Venuto – Nel mio caso sì, ma so di poeti che scrivono con playlist metal. Per me la condizione di vuoto è importante, uno spazio sacro, ripeto, perché è da esso che emergono i miei versi migliori, una traduzione sintetica e simbolica della realtà esteriore ed interna.
Ad ogni modo, ho scritto versi anche in aereo, su una motonave affollata, in autobus; in effetti, assieme al silenzio e al vuoto, per la mia poesia è importante anche la dimensione del transito fisico, del passaggio.
Fiore – Da cosa trai l’ispirazione per le tue liriche?
Venuto – Da tutto… devo rispondere, in ogni caso, con una banalità che, tuttavia, rappresenta la verità.
Potenzialmente ogni dettaglio del reale può suscitare e diventare poesia, anche perché la poesia, come i poeti sanno, non è nel “cosa”, ma nel “come”, non nel contenuto ma nel linguaggio, nella resa estetica che distingue un componimento poetico da un testo in stile (simil) poetico.
Ribaltando in negativo la domanda, posso dire che non traggo ispirazione dalla stretta attualità, non scrivo poesie dopo un fatto di cronaca nera o se sono molto felice o infelice.
La scrittura ha bisogno di stati neutri.
Fiore – La poesia si legge poco… di chi è la responsabilità?
Venuto – Cito un aneddoto noto: nel 2012, nel corso del programma televisivo “ Che tempo che fa”, Roberto Saviano lesse una poesia della poetessa polacca Wisława Szymborska, scomparsa pochi giorni prima.
Nonostante avesse vinto il Premio Nobel nel 1996, in Italia era pressoché sconosciuta, o meglio, era sconosciuta al pubblico dei non addetti ai lavori.
Il giorno dopo quella lettura televisiva, in tutta Italia si vendettero circa duemila copie dei suoi libri.
Ed è ancora più noto ed evidente il peso avuto da Maurizio Costanzo nella costruzione del mito poetico di Alda Merini.
In definitiva, se la poesia divenisse mainstream, trovando più spazio sui media non solo di settore, potrebbe sicuramente appassionare più persone; in fondo il Premio Strega aperto da quest’anno alla Poesia è un tentativo che va in quella direzione.
Premesso l’ovvio, sono anche consapevole che la maggior parte dei poeti, e io fra loro, pur desiderando una maggiore ribalta non vogliono che la poesia diventi troppo popolare, perché è molto alto il rischio che per incontrare i gusti di un pubblico più vasto si corrompa un linguaggio e un genere letterario ancora abbastanza preservato dall’eccesso di semplificazioni e dalla mediocrità.
Fiore – Conclusione… ti chiedo di offrire ai lettori di ScrepMagazine tre tue liriche:
Venuto – Offro tre poesie dalla mia ultima raccolta poetica “Vora”, Pequod 2023:
Nascere a Natale,
in corsia puerperi e aborti insieme,
le donne in una gerarchia violenta.
Raccontare di un parto
come dell’avvento di Cristo
e crocifiggere sul nascere l’umanità
di quel figlio.
*
Dove siamo nati non è dove morremo,
in fondo è una parentesi questa inclinazione,
la grandezza e la miseria
avvinte in una cellula piccola,
un’idea del vero nel quadro.
È ingombrante la tua presenza, la tua ambizione
violenta la nostra affezione alla fragilità,
alle picche sui cuori, alla danza
prima di crescere in strada
dove il nostro palcoscenico erano solo gli altri.
*
Il perdono della casa si rintana
dove deposita il gocciare dei vetri,
lavanda nelle fughe nere.
Grugano nella gola dei vecchi
le parole,
dire ai bordi delle finestre che illudono
di arrivare al ramo del tiglio,
dire che ieri l’anniversario di matrimonio
è stato confuso con un quiz,
indovinare la risposta e festeggiare
come se non mancasse nessuno.
La fine di ogni colpa è tutto ciò che resta.
Vincenzo Fiore
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